Poesie | giovedì 8 dicembre 2011
Carlo Di Legge
Trenta novembre
Sei vicino e lontano, qui e sempre altrove,
evidente e nascosto, assente atteso.
Posso pensarti influente ma inoperoso.
Nome innominabile, cifra dell’indicibile.
Non materia, forse, ma anche ciò che chiamo materia,
perché vicino;
forse non spirito, ma, poiché lo spirito ti domanda,
sei nella domanda.
Non spirito senza materia,
non vento senza spazio,
ma non l’uno né l’altra.
Gran dio: sei nel microscopico vivente
che comporta la domanda,
negli immensi spazi vuoti e freddi,
nei plessi umidi e ribollenti, nell’inospite
e nell’ospite,
nel respiro espansivo dell’universo.
Devi essere certamente ovunque,
o posso pensare un luogo senza di te?
Nello spazio, ma senza direzioni,
e nelle direzioni senza spazio.
Come posso pensarti, posso sentirti.
Ti sento in emozione come ti avverto in pensiero,
ma non sei differenza,
e né emozione, né pensiero;
in tristezza e letizia ti sento, come in vita e morte,
e come dire che tu non sei bene né male,
eppure anche bene e male, insieme;
e bene e male sono nomi,
li diamo al mondo incessante e ambiguo.
Ma sei digrignare della belva che s’avventa,
e sei ferocia,
e sei soccombere della vittima inerme,
e sei terrore.
Sei nello scellerato,
e nell’azione che combatte
l’uguale con l’uguale, nel nome del giusto:
perché nel pieno dell’azione sei,
che scaccia l’ombra,
nella strage, nel fuoco che distrugge e purifica,
nelle grida contro i tuoi nomi,
eppure sei rifugio nella meditazione,
tregua che restituisce ombra alle cose,
azione e meditazione, insieme,
veloce cavalcatura e tenda,
e non l’una, né l’altra.
Sei l’onda che si solleva e si abbatte,
sei deserto che inaridisce,
sei veleno che s’infiltra e paralizza;
e sei rifugio certo al sollevarsi dell’onda,
o anche l’essere esposto,
o acqua che ristora, o non acqua,
ma la sete stessa, per eccellenza;
sei l’antidoto che salva, ma non veleno, né antidoto.
Dio paradosso, provvido e astratto,
non sempre ovunque né allo stesso modo,
eppure sempre identico,
poiché operante, intimi ad alcuni il fare,
poiché negligente e distratto, dici il non fare.
Calda prossimità, mi chiedi di amarti;
perché distanza, mi disponi al disamore.
Oppure, non amarti, né non amarti,
ma, a causa del non somigliarti, indichi
il dissomigliarti, l’ugual moneta.
Dio silenzioso e nascosto – niente ti si accosta,
eppure a te porta tutto ciò che lo spirito vede e ode.
Ti chiama nelle distanze,
dall’alba alla notte che precede l’alba,
e non può neanche cercarti.
Dio vicino e spesso dimenticato,
alla domanda risponde l’enigma,
ma il domandare insufficiente a rispondere
è tutto quel che ho;
sei qui, evidenza di povera gloria oscura,
ma così nascosto
che non posso neanche cercarti,
nonostante domandi di te.
Dio: non terra nella terra,
non aria dov’è l’aria, non forma dov’è forma,
ma forma dell’informe,
non scrittura dov’è scrittura, né linguaggio,
eppure segno,
non nome eppure nome di tutti i nomi.
Con fervore ti cerco,
e nella mia stessa febbre m’inganni: e mai ti colgo.
30.XI.2011