Poesie | giovedì 8 aprile 2010
Carlo Di Legge
Alto mare
Nella sala-fumo i camionisti parlano lingue dell’est
e bevono birra.
Gli studenti inseguono il giovane prete.
Alto mare.
Ancora terre e lingue sorgono.
Qui verticali olimpi tentano il sempre lontano cielo
alla tavola calda il cuoco scherza sul Che Guevara
e le donne servono cibi sconosciuti.
Dagli spazi le immagini vengono
con ali d’aria senza ferire la montagna.
Aspetti silenzioso come gli ulivi e i capri
in te l’attesa di alfabeti del senso.
Guarda
sfogliando le mappe
come s’alzano i nomi nobili uccelli
guarda come vengono
impregnati d’acqua originaria.
Il mare stringe le mani della pietra
così la parola si articola all’immagine
che il sentimento mostra:
grondano le parole
sotto la pioggia.
Fissa le immagini che vivono
e questa religione di passioni
così evidente.
Non è passione che non sia nome divino o mito:
un ragazzo che ti sfiora per strada può essere Pan
e qualche ninfa si nasconde in reception.
La vita si nutre di passioni.
Per quanto piccole
sono mare:
mare grande come questo della parola.
Quale solitudine oggi sopporta. Quale assenza.
Il dio vertiginoso non ti affascina più.
Sul monastero
il niente si profila
tra i santi bizantini rigidi e stralunati.
Quale silenzio dietro le campane.
Sei cambiato: con orrore chiami i giovani
che si spingono a due passi dall’abisso
tanto simile a loro dismisura – non sei più tu
eppure riconosci qualcosa:
stavi dimenticando.
Quale deserto.
Ognuno è la montagna abbandonata.
Solo sai le parole
che filtrano
le immagini-passioni.
Da quali domande
giovane prete
a quale assenza di domanda.
Verso quale tenebra t’incammini
acqua senza sponda.
Meteora-Atene, marzo 2010