Poesie | martedì 10 novembre 2009

Carlo Di Legge

Nuova esercitazione sul tempo

Quasi cinquant’anni, da allora,e ancora l’Adriatico
con onda lunga e rabbiosa
batte su un’illusione d’immenso – quando la tramontana
spazza l’aria,
e s’alza sull’altra sponda
un’alta barriera di montagne.

Giro la città, fotografo i luoghi, cala la sera.
La cattedrale costruita sul mare è più solitaria che mai,
una luce irreale di lampioni illumina i palazzi.
Percorro le altissime navate, maestosa e spoglia severità di
pietra.
Animali e maschere di pietra sporgono tutt’intorno,
li dicono segni del tempo, sono almeno mille anni.
Mi presento forse come un turista.

Ma dove nessuno può seguirmi,
nel mio invisibile motore, tu prova a seguirmi,
senz’attesa di spiegazioni.
Infatti ho presenti vivi e morti,
e in me i tempi a stento si distinguono.
Tempo e memoria non sono che parole, ma il tempo
è reale?
Negozi e piazze ci sono. Rendo presenti i morti, essi
ci sono.
Ma non nello stesso modo, dicono. E gli stessi palazzi
cambiano.
Io stesso sono mutato. Capelli bianchi, corpo diverso,
ho esperienza. Dove non potevo andare, nei vicoli, non
ci sono più i monelli seminudi e aggressivi;
ma entro con sicurezza, forse ho un aspetto
rispettabile, un fare distante, un po’ oscuro; e, anche se
tutti possono somigliarsi,
so che non devo cercare che un volto mi parli.

Ora le piazze e le chiese non sono
al modo di ieri,
io non sono qui come un ragazzo,
sono del tutto cambiato,
eppure riconosco il dialetto.

Ma, mentre guardo il presente, ecco che cambia,
e un altro presente si presenta.
Il ricordo si fa scosceso, austero come le mura della
cattedrale, e dice: mai più sarà ciò che è stato.
Ma si ribella: come può l’inferriata d’una finestra
sopravvivere a un uomo?
Qualcosa è qui, come allora, risalendo
pareti severe,
senza spiegazioni.

Oltre il movimento, permane qualcosa,
nel mare incessante,
e può mostrarsi.
Ciò ch’è stato una volta, è per sempre.
Se non pensi così, neghi
lo stesso presente, che è solo una volta,
adesso.
Ma si moltiplicano,
esercitandomi sul tempo,
le cose che non so.


Su Carlo Di Legge
È stato a lungo in Puglia ma è nato per puro caso a Salerno, poi ha trascorso gli anni a trasferirsi per l’Italia. Serba uno scrigno incantato del passato e inventa cattedrali benevole per l’avvenire. Spera di essere, in questo, come tutti. Negli ultimi tempi dice d’essersi iscritto alla scuola del presente. Scrive di filosofia, di tango e di poesia, è vero, bisogna ammetterlo.

Sulla rubrica Poesie
A volte c’è un bisogno di sospensione. Di densità diversa. Di tempo trasognato. Di spazio poco arredato. Di un posto delle fragole nell’anima. Di silenzi gentili che non sono di solitudine, ma di rade presenze discrete. A volte c’è un bisogno di sorpresa, di lampi improvvisi, accensioni impreviste. C’è un bisogno di respiro irregolare, di battito lento. Di ricerca segreta tra le pieghe del sogno e le unghie della realtà. A volte c’è un bisogno di attesa. Di ricordo. Di sguardo lontano, distante. Di confini indistinti, di profili scontornati, nuovi. A volte c’è un bisogno di poesia. In quest’angolo di rivista se ne trova di nuova, di inedita, di molto famosa, di nascosta, di quella che addolora e di quella che consola. Basta cercare. Basta aver voglia di scoprire parole segrete. Basta trovare un piccolo tempo anche per la poesia.

Sentire il tango argentino. Dieci lettere e una poesia, di Carlo Di Legge (Fuori Collana, 2011)
Il candore e il vento, di Carlo Di Legge (Fuori Collana, 2008)