Poesie | lunedì 16 febbraio 2009

Carlo Di Legge

Madre scrittura



È un po’ che ti conosco: madre
scrittura – mi rendi la
vita
una festa di vessilli colorati al vento – la mente,
come un albero, i rami ricchi delle
più suggestive e
malinconiche musiche, di parole sospese.
A volte, non ti fai
viva, tu, che conosci fin troppo i
miei silenzi,
e resti silenziosa.
Mi sembra di comprenderti, ché vieni in ogni
modo, di luce in luce, per ombra.
Nella fame mi offristi cibo e vino, m’hai
ospitato, aprendomi la porta se non avevo casa, o
anche mandato via, mai tuttavia per sempre.
Evitarti? Ci sai fare – sei
vento di questa pianura: forte,
se vuoi, oppure
sommessa e inesorabile, come una direzione, che
sorga da me stesso.
Sempre tu, mille forme: preziosa compagna, ma
anche nemica, delle occasioni,
vibrazione
di pietà, tenerezza e compassione.
Quando risalgono dal buio
coloro che di me s’occuparono,
della mia sorte, e dormono per sempre,
tu li accogli:
che almeno la scrittura li ricordi. O ti protendi al
futuro, a loro due bambine, che mi crescevano
accanto, le sentivo respirare – e ora vanno per il
mondo.
Per questa
presenza d’opposti, di lontane vicinanze, del
passato che resta, allontanandosi,
ho palazzi fantastici
di rovinate dimore occhi-vuoti- che-guardano.


Ti chini poi sul presente: per quanto
remota, ogni volta che t’affacci, d’ogni metallo o
d’altro mi riveli l’oro, facendomi inebriare delle
cose: atmosfera sempre viva,
creatura di terra e di cielo.
Sei tutt’intorno, e dentro, come l’elemento del
respiro: viaggi
nell’aperto, navighi
nella brezza,
ma ti muovi altrettanto nell’indizio.
Se non ti mostri, vengo in cerca di te, perché mi dia
da vivere.
Non ci vuol molto a trovarti, a farti uscire dalle
tane del niente, ove sonnecchi, tuttavia sempre
vigile, in ascolto di voci, parlando in dormiveglia.

Quando il tuo viso d’aria si disegna,
lavoro sulle immagini,
con l’attenzione che non cede,
altre ne trovo,
a volte sospettoso e prevenuto.
Mi regali gioielli sconosciuti: collane di pensieri,
bracciali indiani di crepuscoli e d’alba,
rivelazioni, come anelli scintillanti, un
caos, in cui cerco
tracciati inapparenti.

È molto che ci sei, madre scrittura. Mi
accompagni, nei giorni e negli anni.
Incomincio a conoscerti: almeno sembra
di poterti cercare,
e tu sempre rispondi, e ti ripensa il cuore,
sgattaiolando nei vicoli
della sua pace appena mossa.


Febbraio 2009


Su Carlo Di Legge
È stato a lungo in Puglia ma è nato per puro caso a Salerno, poi ha trascorso gli anni a trasferirsi per l’Italia. Serba uno scrigno incantato del passato e inventa cattedrali benevole per l’avvenire. Spera di essere, in questo, come tutti. Negli ultimi tempi dice d’essersi iscritto alla scuola del presente. Scrive di filosofia, di tango e di poesia, è vero, bisogna ammetterlo.

Sulla rubrica Poesie
A volte c’è un bisogno di sospensione. Di densità diversa. Di tempo trasognato. Di spazio poco arredato. Di un posto delle fragole nell’anima. Di silenzi gentili che non sono di solitudine, ma di rade presenze discrete. A volte c’è un bisogno di sorpresa, di lampi improvvisi, accensioni impreviste. C’è un bisogno di respiro irregolare, di battito lento. Di ricerca segreta tra le pieghe del sogno e le unghie della realtà. A volte c’è un bisogno di attesa. Di ricordo. Di sguardo lontano, distante. Di confini indistinti, di profili scontornati, nuovi. A volte c’è un bisogno di poesia. In quest’angolo di rivista se ne trova di nuova, di inedita, di molto famosa, di nascosta, di quella che addolora e di quella che consola. Basta cercare. Basta aver voglia di scoprire parole segrete. Basta trovare un piccolo tempo anche per la poesia.

Sentire il tango argentino. Dieci lettere e una poesia, di Carlo Di Legge (Fuori Collana, 2011)
Il candore e il vento, di Carlo Di Legge (Fuori Collana, 2008)