Poesie | domenica 12 ottobre 2008
Carlo Di Legge
Vertigine di settembre
Sto ritornando al viaggio – una vertigine, questo
settembre. Nei treni o nelle sale d’attesa
mi assalgono
le immagini, che da un po’ mi giravano intorno.
Un viaggio in treno: viaggiatori,
clochard che
ancora dormono sui cartoni, alla stazione di città, il viso nascosto
da coperte di lana: una
società di monadi, ebbre di solitudine, in
qualche modo attraenti.
Sono vicino a loro, solo che a me
la vita parla
in altri modi,
immagini povere e semplici:
ed è come se avessi soluzioni in arrivo.
Avviene invece almeno questo – bastano carta e penna,
ovunque mi trovi,
per accogliere figure, ospiti del giorno e della notte, e per
sollevarmi oltre il momento.
Una immagine domina: una cassa per la biancheria.
Nessuno ricorda i suoi anni, non si comprende il colore, è molto
scuro. Una volta portava
un tesoro di lenzuola di lino ricamato,
adesso è in soggiorno.
Niente pregi, sta un po’ misera tra i mobili di
famiglia, ormai tirati a lucido. All’inizio avevo fretta di farla
ripulire. Il falegname era certo: anche il
rivestimento interno, una carta a minute figure, un po’
logora, va tolto. A ogni uomo, radici
e identità – ho sùbito avvertito resistenze;
In realtà la cassa è buia: è un veicolo notturno che viene a me,
intatto, a sua volta viaggiando, ma
dal passato, notte nella luce, luce del presente,
un’entità strana e inquietante, testimone solidale,
ineffabile e trasandata presenza di lontananze.
Quasi non volendo la guardo – è in vista – e più mi attrae. I
traslochi e gli anni, forse anche i viaggi in treno, l’hanno messa
alla prova, e tuttavia
mantiene un’apparenza solida e affidabile,
squadrata a perfezione, rugginose borchie e fasce di metallo,
spigoli e angoli rinforzati, due serrature e introvabili
chiavi, maniglie scurite.
La base è molto segnata, il legno quasi del tutto allo
scoperto: decenni di stracci bagnati e detersivi per pavimenti hanno
lavorato a scrostare la vernice.
C’era già con i nonni e prima del matrimonio
dei miei genitori, ha visto nascere figli, visite di parenti e
amici, uscite domenicali, il primo giorno di
scuola, le bande musicali che sfilavano sotto
casa, quel neon verde del bar che si riverberava sul soffitto,
di notte. C’era nei giorni sempre uguali e nei momenti decisivi.
Mia madre vi si sedeva sopra, anche verso la fine, per parlare o
riposare.
Proprio i segni non voluti sulla superficie, come le fessure
corrispondenti alle assi, richiamano
i cercatori di tempo.
Ha vita propria: modificarla adesso disturberebbe
l’ascolto. Forse un giorno qualcos’altro
emergerà. Non c’è fretta.
Nel tempo, arresti e
ripartenze sono occasioni, coincidenze di treni,
incontri di viaggiatori, con volti e storie.
Esistere è avanzare ricordando. I significati sono in memoria, nelle
circolazioni di figure, a volte crude e precise, o dolci o
sfuocate.
Forse un clochard ha tagliato ponti. Io
intendo conservarli. Immagine dei ponti:
del tempo indecifrabile
ho solo date, e nomi e verbi.
Ogni cosa del passato dimostra il
misterioso accadere di ogni attimo, come voltarsi indietro, dal
presente che vacilla, al niente
di ciò che fu: paradosso del niente che si presenta, e che posso
toccare e ricordare.
A volte, come adesso, si
affollano i detriti, confusi alle acque del momento,
acque del tempo gonfie e affollate; li
distinguo, e ho bisogno d’una penna e di un foglio,
per sostenere la ricchezza del disordine.
Le poesie sono povere, come la
vita d’ogni giorno.
Dunque in ogni giorno può esserci poesia,
nelle braccia, divenute accoglienti,
dell’ovunque.
Aspetto a volte nelle stazioni ferroviarie,
tra barboni
e giovani studenti, con
pezzi di carta in tasca,
che scarabocchio, come il treno mi consente.
Verso le montagne magiche di
San Gregorio Magno, il 23.9.2008