Poesie | lunedì 16 giugno 2008

Carlo Di Legge

Eredità

A Seamus Heaney,
vent'anni dopo averlo letto





Sento la familiarità del golfo: questo spettacolo
mi è noto e caro, come fu a lei, mia madre.
Dalla collina, sull'area di servizio dove andavamo
ancora la scorsa estate, per le nostre ultime
passeggiate,
un farsi e disfarsi di nuvole sul golfo.
Sento in me come un'eco di mare, anche se non
lo amo, e forti risonanze di montagna e di fiori.
Non un pensare, ma un sentire il suo amore
per l'acqua di mare e per il nuoto, le montagne e i
fiori.
Nella mia pacatezza c'è la sua mansuetudine -
porto cose di lei, non solo i suoi ultimi giorni e le
sue parole.
Era una bambina di quasi cent'anni: impossibile
separare le sue foto da bambina dalle sue ultime.
Anch'io, a volte, mi sento piccolo, senza esserlo.
Ma non è questo: avverto che il mio sentire si
confonde col suo, come
se, benché io abbia avuto una vita così diversa,
ora porti i suoi tanti rimpianti e le sue povere
gioie.
Non è il condividere, né la nostalgia. Ma
un sentire involontario si fa propriamente mio.
Scruto in me ciò che resta di lei e ciò che è mio,
e vedo qualcosa che è entrato - non so quando, o
forse già c'era, e adesso s'impone e lo riconosco,
immediato come una sensazione.
Deve provenire da un fondo comune di terra e di
foglie, questo sentire radicato e lieve.
Lieve e forte: come un amore nascente, o come la
stessa vita, passione delle passioni.
Adesso io divento questo, che lei fu, e posso vivere
lei
come lei visse me, con qualche variazione: un
uomo adulto, un po' bambino, con una casa e
un'esperienza.
Intorno a me aumentano i mobili e gli oggetti che
ricordano. Insieme al nuovo, dispongo e curo l'antico.
Ma il passato c'è ben oltre i mobili di famiglia, io
stesso
sono un corriere del tempo per un tratto
assegnato, che porta messaggi di corpo e di sentire
insieme,
consonanze di mari e di musiche, di
luoghi e fiori - e altri saranno me.
Forse di antichi mobili non ci sarebbe necessità,
ma il viaggio è anche circostanze e cose di
mondo.
Non ho incertezze d'identità e tuttavia non coincido
del tutto con me stesso ma con altri. Comincio a
comprendere chi sono, ma
non sono del tutto io. Più sono me stesso, meno lo
sono.
Più l'identità diviene compatta, più si rivela altro da
sé. Respiro, ed è anche un respirare d'altri. Se godo
sole e colore, godono in molti, che non sono più.
Il sentire di uno
sta in una lunga transitività di donne e uomini,
alcuni dei quali mai conoscerò: ma esisto e vado nel
mondo, e altri lo fanno in me.
Niente di macabro - solo un significato completo,
come per una ruota.
Il mio volto è una serie di volti e la mia esperienza
rinnova e ripete esperienze di altri.
Sono meno un individuo, mi scopro più come
abissale passaggio di moduli e di potenze viventi
oltre la morte, sono un intreccio di relazioni nelle
generazioni, tra chi ci lasciò, chi è venuto da poco e
chi verrà.
Miei prossimi - so che ogni tanto, d'ora in avanti,
mi farete visita in qualunque momento del giorno
e della notte, sorprendendomi non solo perché
ricordo, ma perché vivo: e mi preparo ad essere
ospitale.
Che vi abbia appena conosciuti,
oppure per lungo tempo, o mai - seppure
potessi dimenticarvi, se
anche la vostra immagine si dissolvesse in me come
nuvola sul golfo, o sogno, tuttavia il mio solo vedere
e udire basterebbero
a riportarmi alla vostra materiale presenza, e
le mie stesse percezioni vi appartengono.

Giugno 2008


Su Carlo Di Legge
È stato a lungo in Puglia ma è nato per puro caso a Salerno, poi ha trascorso gli anni a trasferirsi per l’Italia. Serba uno scrigno incantato del passato e inventa cattedrali benevole per l’avvenire. Spera di essere, in questo, come tutti. Negli ultimi tempi dice d’essersi iscritto alla scuola del presente. Scrive di filosofia, di tango e di poesia, è vero, bisogna ammetterlo.

Sulla rubrica Poesie
A volte c’è un bisogno di sospensione. Di densità diversa. Di tempo trasognato. Di spazio poco arredato. Di un posto delle fragole nell’anima. Di silenzi gentili che non sono di solitudine, ma di rade presenze discrete. A volte c’è un bisogno di sorpresa, di lampi improvvisi, accensioni impreviste. C’è un bisogno di respiro irregolare, di battito lento. Di ricerca segreta tra le pieghe del sogno e le unghie della realtà. A volte c’è un bisogno di attesa. Di ricordo. Di sguardo lontano, distante. Di confini indistinti, di profili scontornati, nuovi. A volte c’è un bisogno di poesia. In quest’angolo di rivista se ne trova di nuova, di inedita, di molto famosa, di nascosta, di quella che addolora e di quella che consola. Basta cercare. Basta aver voglia di scoprire parole segrete. Basta trovare un piccolo tempo anche per la poesia.

Sentire il tango argentino. Dieci lettere e una poesia, di Carlo Di Legge (Fuori Collana, 2011)
Il candore e il vento, di Carlo Di Legge (Fuori Collana, 2008)