Poesie | sabato 18 febbraio 2006
Carlo Di Legge
Facciamo il punto, amico, su di noi
A volte
spossa, l’incalzare di vita; ma le forze
sembrano crescere. E quel silenzio
che accoglie.
Guardiamoci. Libero, almeno dagli altri? Sempre
di più diffido
di me, come di loro. E amo, e
mi fido.
Ho traversato agguati. Solo
mi accompagnava
l’amore,
compagno forte e insidioso (che in persona non basta
a se stesso). Con lui fondai
esili passaggi
sull’assurdo.
Non coltivo difetti, ho stranezze (di poco
conto), curo
creazioni. Ma tutto insieme. Forse più adatto
al mondo inapparente, trovo stupendi
i sensi.
Oblio, smarrire e perdere, fili
disomogenei
interrotti nelle vie dell’attenzione; improvvisi rimedi.
Mi è noto, tutto questo. Mi frequenta
o sbaglio strada, per
pensare ad altro. Poco
male; a volte,
rimedio, appena in tempo
Ne rido, anche da solo. E – nonchalance.
Ebbi anche un impero: la
memoria. Fu disfatto a posta,
aumentando il disattento e l’impreciso. Ora
gli effetti cattivi della cura svaniscano, e
restino i buoni. Ora la cerco,
e sia pure
per compiti da poco. Anche essere
al mondo: parlare
con altri,
essere presentabile. Organizzare. Scrivere,
farmi comprendere, ascoltare.
Ma in qualche modo, vigile
(diversamente) ai moti impercettibili
più che alle cose.
Vengono
come vogliono. Tracciati folgoranti. Fertile
stato, meraviglia, come
per una mente
che mostra, e più nasconde. Mi
svegliano
di notte, perché
scriva.
Faccio qualcosa, o sto con altri: e pure vengono.
Ma soprattutto in quel silenzio, immagini
come bambini prepotenti. Poche
righe: poi
ci pensa il pensiero, fino
alle soluzioni.
Amministro ricchezze che non ho
ma che
una fonte dona.
Rendo in parole un’assenza che
parla.
Per i versi anelanti
sole e corpo, forse uomo
mediterraneo. O d’altro luogo caldo, denso di storia,
di sensi. Ma conta
che possa riconoscere in me stesso
l’umanità.
Non domandiamoci – fingiamo
che nel tempo abbiamo carte da giocare.
Niente di stabilito, conti aperti. E in tutto l’infinito
resto, non guardiamoci:
guardiamo.