Poesie | giovedì 23 febbraio 2017
Carlo Di Legge
Il lavoro dei morti
Ci sono cose
per troppo tempo nascoste,
o meglio, erano anni che venivano fuori e scomparivano,
come presenze a loro modo vive,
e me ne dimenticavo.
Così ho disteso
le foto dei morti sul pavimento
(per la visione d’insieme,
prima di sistemarli nell’album).
Ma nulla di più inafferrabile dei morti,
e così vanno in giro, qui in casa.
Qualsiasi foto può portare ovunque,
nelle terre del ricordo e della suggestione.
Il tempo, con i suoi passaggi,
in molti casi ne fa immagini d’ignoti,
e restano i volti o le figure.
In quegli atteggiamenti
si legge qualche intento o un segno di passione,
mentre so bene che, chiunque fosse,
è sfumato, come un’illusione,
e non si sa più chi sia.
Lavorando ai morti,
pensando ancora come fosse qualcuno
quel nulla di cui restano le foto,
ed è come avere un piccolo regalo di verità.
Così vanno le cose.
E non solo trovo immagini, ma partecipazioni di morte,
con le preziose date, in modo che per un attimo
il tempo si riappropri un senso.
Il figlio alla madre,
la suocera alla nuora,
quella mano tremolante
che ben conosco:
ogni vita sembra essere qui, dalla foto del neonato al funerale.
Resta l’illusione sull’individualità dell’anima,
ma è percepibile in una minima distanza
ciò che separa l’inizio dalla fine.
In fin dei conti, devono essere loro, i morti, a farsi avanti,
i morti che lavorano, di certo,
a decine, forti
e impercettibili, eppure presenti,
come l’aria.
So che d’improvviso, ancora,
da un momento all’altro, qualcuno di loro può saltar fuori,
e già mi preparo,
sentendomi un po’ in colpa,
a dirgli qualche parola, come a me stesso:
coraggio, amico, non è niente.
Nocera Inferiore, 18-19/1/2017