Siedo a tavola silenzioso, assente, nascondo la mia delusione, la mia tristezza, continuo a ripetere di esser solo stanco. Lascio che siano degli stupidi dialoghi in tv a distoglier l'attenzione dalle mie bugie. Finita la cena aiuto a sparecchiare e fingendomi stanco vado a letto.
A? la??alba, stamattina ho preferito restare qualche minuto in piA1 sotto le lenzuola, farA2 tardi ma che importa, nessuno mi aspetta, anche le mie bugie possono aspettare. Sono veloce nel vestirmi, faccio colazione in piedi, accanto al tavolo. Bacio ancora mia moglie, sfioro la sua pelle come fosse ancora e ancora una scoperta. Le mie dita si calano, salpano dagli zigomi per scivolare lungo le guance e affondare nelle piccole fossette di fianco le labbra. Bacio mia moglie in silenzio per non destare i suoi profondi sogni, bacio mia moglie sperando di lasciar un segno del mio risveglio, del mio passaggio prima di fuggire. Non ho ancora avuto il coraggio di parlarle, non ho avuto ancora il coraggio di lasciar sciogliere queste bugie nei suoi occhi, di lasciar depositare queste bugie sulle sue labbra.
Il tempo scorre, i gesti e gli orari di una vita sembrano non appartenermi piA1 in questa farsa di certo ben recitata. I miei occhi si raccontano, ormai non hanno piA1 speranze e non riescono piA1 a nasconder il loro dolore, sembra stia degenerando tutto, anche la??amore. L'ascensore continua a cigolare, prima o poi qualcuno dovrA? far qualcosa, non posso far finta di aver tempo, devo far finta di lavorare. Sono di nuovo fermo alla fermata dell'autobus, stesso orario, stessa gente. Sono stanco di fingere. Oggi a mezzogiorno ho un nuovo colloquio, stesse domande, stessi sguardi, sono troppo vecchio per queste cose, troppo vecchio perchAc qualcuno creda ancora in me ora che i miei occhi hanno perso ogni riflesso di speranza. La mia esperienza non A?N scritta negli occhi ma solo su fogli di carta, carta semplice, formato A4, che poco desta la curiositA? del tatto. Oggi proverA2 a lavar via questa strana e insensata rassegnazione, forse basterA? un po' d'acqua fredda, forse oggi tornerA2 a casa con un nuovo lavoro, potrA2 raccontare il mio dolore e sciogliermi di nuovo come neve fra le braccia di mia moglie, forse domani potrA2 fare una sorpresa alla mia piccola stella, A?N tanto che non le regalo un nuovo gioco. Solita fermata, solite attese. Sono passate sei settimane dal mio primo giorno di lavoro fuori da queste mura, fuori dal mio ufficio e sono sempre meno i minuti che mi soffermo alla??ingresso, sempre meno i minuti che ricordo il mio vecchio ufficio. E' sempre piA1 veloce il passo che mi conduce lontano da questo luogo un tempo cosA?? familiare. Faccio una passeggiata nel parco qui accanto, qui ho nuovi amici, nuovi colleghi. Hanno qualche anno piA1 di me. Seduto su una panchina continuo a scorrere le pagine del giornale, a cerchiare i nuovi, i vecchi, gli ennesimi annunci di lavoro.
Ogni tanto alzo lo sguardo, mi distraggono le grida dei bambinia?| penso che forse le mie bugie mi stanno allontanando anche dalla mia bambina e che forse potrei spendere meglio il mio tempo, A?N un pensiero fugace, malinconico che cerco di scacciar via. A? tempo che vada. Mancano pochi minuti a mezzogiorno, sono in questa sala grande qualche decina di metri quadri, pareti bianche, una vetrata illuminata dal sole di punta, nessun rumore. Ho lavato il viso con acqua fredda come mi ero promesso di fare, guardo il mio riflesso nell'angolo dell'ampia vetrata, intravedo le mie rughe, i segni del tempo. Una voce femminile mi chiama, mi chiede di entrare nello studio, la stanza A?N enorme, sulla mia sinistra c'A?N una libreria in legno e di fronte a me lo sguardo, il volto dell'ennesima delusione o di un nuovo viaggio. Chiudo per qualche istante gli occhi, rivedo il sorriso della mia piccola stella e so che fra qualche ora mi stringerA? forte e farA? in mille pezzi una coloratissima carta da regalo.