La??ultimo natale della mia vita A?N stato diciannove anni fa. E cadde il 23 dicembre.
Ricordi? La mostra sul Caravaggio e le tartine con la mousse di salmone. Anche questa??anno ca??A?N stata una mostra sul Caravaggio dal luttuoso sottotitolo a??la??ultimo tempoa??. Ma la mousse di salmone, oggi, mi disgusta. Come ogni altra cosa fatta col burro. O quasi.
In quel natale del 23 dicembre 1985, invece, le dita di tutti scivolavano allegre e affamate sulle tue tartine al salmone, alle acciughe, al prosciutto e maionese, si tuffavano nelle ciotole di olive bianche, nere, e schiacciate col peperoncino, razziavano mandorle salate e anacardi.
I miei amici di quel natale ti piacevano in modo speciale perchAc bevevano molto e bene, alcuni perchAc veneti, altri perchAc solo piA1 adulti di me che, a quel tempo, intrattenevo con la??alcol rapporti immaturi e discontinui. Deludenti, per te. E intorno al tavolo con la tovaglia, rossa come la bandiera, i racconti di tutti si intrecciavano nella coloritura delle diverse inflessioni regionali. La mostra, che allora esibiva il sontuoso titolo a??I Seicento Napoletania??, aveva esaltato i miei amici che non smettevano di parlarne. Tu ed io ci guardavamo sorridenti e orgogliosi quasi fosse merito nostro.
Se non della mostra, perA2, di quella straordinaria serata un poa?? di merito ce la??avevamo. Tu, in special modo, che avevi avuto la fantastica idea di giocare il tempo e dichiarare il natale con due giorni da??anticipo. Io perchAc gli amici erano miei. La??indomani sarei partita con loro per un viaggio lungo e scomodo, di quelli che amano i giovani perchAc assomigliano ai loro sogni. Tu ti eri ormai adattato ad aggiustare la realtA?, il quotidiano. Anche con qualche trucco, se necessario. Come avrei presto capito.
A volte penso che tu abbia accelerato il mio apprendistato di vita.
Non ne abbiamo mai parlato, ma mi piace pensare che anche tu ricordi il giorno esatto in cui, per caso, iniziasti il mio svezzamento.
Avevo quindici anni e durante le vacanze di natale venivo in ufficio da te a mettere in ordine la??archivio. Mi piaceva moltissimo condividere il tuo spazio fuori casa, anche se allora non la??avrei messa in questi termini. Mi comportavo con un certo sussiego, una specie di maschera per una ragazzina timida e impacciata. E, soprattutto, ansiosa di piacerti.
Tu eri proprio come il Che, sapevi esser duro senza mai perdere la tenerezza. Almeno A?N quello che amo ricordare. Mi insegnavi cose sempre con una certa impazienza, lasciando che mi arrangiassi da sola per colmare i buchi di informazioni che, a volte, minacciavano di risucchiarmi. Mi insegnasti una cosa fondamentale allora, ma oggi trascurata dalla??uso comune: nella??ordine alfabetico i cognomi con a??D apostrofoa?? precedono i a??Dea??, i a??Dia?? e tutte le altre versioni articolate. A? buffo, ma mi viene in mente ogni volta che consulto un catalogo, uno schedario, un elenco del telefono.
Poi mi insegnasti qualcosa a cui non ero preparata.
In quei giorni la??ufficio era un delirio, il pubblico affollava il salone, gli impiegati, pre-computerizzati, dattiloscrivevano documenti su qualsiasi macchina disponibile, occupando tutte le scrivanie. Stavo entrando nella tua stanza, in cerca da??asilo, con il cassetto delle E / F da ordinare, quando ti sentii schioccare stupidi bacini nella cornetta del telefono. Un attimo dopo vidi le tue belle labbra sporgere dal riparo dei baffi alla ricerca di un insano contatto con la bachelite traforata. Davvero non so perchAc, ma neanche per un istante pensai che dalla??altro capo del filo ci fosse mamma.
Forse perchAc sono di razza adulta, per quelli cosA?? la??etA? anagrafica conta poco.
Le E e le F furono scosse da un sussulto tellurico, inutile.
Per anni ho rimpianto di non aver cercato di ferirti almeno col rumore del cassetto lasciato cadere.
Lo tenni ben saldo, invece, e lo appoggiai su di una scrivania libera e, per tenere salda anche me, ti voltai le spalle. Il tuo silenzio, al momento e per sempre, mi fece capire che si trattava di una??altra lacuna che avrei dovuto riempire da sola.
Come quando, la sera della vigilia di natale, sfilasti da un pacco tra gli altri un bellissimo cardigan di lana spessa e morbida, azzurro e marrone. Ti serviva fargli fare la??ingresso ufficiale tra le tue cose, cosA?? lo presentasti come regalo dei colleghi da??ufficio.
Io, che ero stata presente allo scambio di doni della mattina, stavo imparando a tacere.
Quasi dieci anni dopo, saresti stato tu a dover tacere per me. Neanche tu mi sorridesti. Non ca??era approvazione nel tuo silenzio piA1 di quanta ce ne fosse nel mio, ormai annoso. Non una complicitA?, piuttosto una sobria solidarietA? tra mostri dal volto umano. SA??, sorrido, naturalmente. Non ho mai pensato a te come ad un mostro, nAc mi sono mai sentita io cosA??. Eppure, tecnicamentea?|
Ma no, una delle cose che ho imparato da te A?N stata considerare ogni persona come una forma geometricamente complessa, anche se, posti i tuoi rapporti con la geometria, tu non avresti mai usato questa espressione.
E, in realtA?, su molti argomenti tu non hai usato nessuna espressione. Non di parole, almeno. Le parole, tra noi, erano per la politica, lo studio, il lavoro. Per il resto ci siamo comportati come un romanzo e il suo lettore. Tu lasciavi scorrere la tua vita sotto i miei occhi, allusioni alle zone da??ombra comprese, ed io ti leggevo. Con attenzione, con amore, con la curiositA? di sapere come andavi a finire. E, magari, per similitudine, provare a immaginare come sarei andata a finire io. Tutte le molteplici io.
Da te ho imparato che A?N doveroso indignarsi, incazzarsi, combattere e onesto giudicare con parsimonia, preferibilmente, in via provvisoria. Ti sei battuto tutta la vita per non morire democristiano e poi hai voluto che a celebrare il mio matrimonio fosse il tuo amico democristiano. E io, ancora acerba di certezze giovanili, mi sorpresi a guardarmi e guardarvi commossi.
Ogni persona A?N tante persone e non dobbiamo mica prendercele tutte, nAc odiarle tutte, nAc per sempre, leggevo nelle tue azioni. E, soprattutto, non dobbiamo cercare di far stare ad ogni costo una persona dentro le parole che conosciamo.
Infine, credo che la cosa piA1 importante che tu mi abbia insegnato, il vero segreto che mi hai svelato, sia stato il silenzio. Quel vuoto di parole dentro cui risuona la vita.
Se ti capita, papA?, torna qualche volta.
Nel silenzio di un sogno, in una notte di natale.