Si sente al capolinea del proprio fallimento. Lontana da ideali, vuota di desideri. Nessuna speranza risuona in lei. Ha solo un amore piantato giusto al centro della??anima. Un amore di cui porta la responsabilitA?, ma che ha vita propria e capelli scuri. Ha occhi nuovi e impazienza scontrosa. La sua assenza le fa male come fa male una gamba amputata.
Margherita potrebbe pensare infinite cose. Altre potrebbe ripensarle. Magari pentirsene o difenderle contro il tempo che le cambia, le trasfigura. Potrebbe leggere libri o lamentarsi di non poter che leggere libri. Ha tempo per qualsiasi cosa e pochissime cose per tutto questo tempo. E tutte troppo uguali. Ha troppa energia, troppo corpo per uno spazio cosA?? piccolo. Gambe troppo sane per questo vuoto di scale, di strade, di salite. La??attivitA? inesausta delle sue cellule riempie di inutilitA? i pochi metri quadri di pietra in cui A?N rinchiusa.
Irene segue con i polpastrelli una??ipotesi lungo un muro di mattoni in tufo. Le sue dita hanno fiutato la traccia di una??incongruenza. Il cartellino con la descrizione rassicura i visitatori e placa le ansie classificatorie della soprintendenza. Ma lei A?N in buoni rapporti con il dubbio. A? abituata alla tendenza della terra a nascondere, a confondere. Si ferma a pensarci. Le dita sospese su una fenditura segreta. La penombra degli scavi A?N una condizione estesa di miopia, una menomazione della??abitudine che puA2 essere compensata solo da una??attenzione interiore. Una??attenzione fluida, come una??acqua che si insinua tra le pietre e nella grana della terra, in profonditA?. E apre strade nuove, prospettive inverse, altri possibili. Bisogna solo darsi un tempo diverso. Essere capaci di pausa, di arresto.
Margherita ha il permesso di tenere il computer in cella. Il delitto per il quale A?N stata condannata A?N vecchio di venticinque anni e lei non A?N una criminale abituale, perciA2 non ca??A?N pericolo che le sue e-mail infettino la societA? di fuori o tengano in caldo qualche complice. In ogni caso, questa storia del computer A?N una specie di privilegio, una??eccezione al regolamento che le permette di essere accompagnata ogni sera nella??ufficio della direttrice dove, per cinque minuti, puA2 collegarsi a una presa del telefono e spedire e ricevere posta. Margherita non ha fatto niente per meritarsi questo trattamento di riguardo, non sorride, non regala pacchetti di sigarette, parla poco. In realtA? continua a meravigliarsi di questa cosa ed A?N terrorizzata dalla??idea che da un momento alla??altro, per una recrudescenza di scrupolo procedurale, possano impedirle di comunicare con sua figlia. Quando entra nella??ufficio ha sempre la??aria di un animale randagio che fiuta il pericolo di un cambiamento di umore. La direttrice A?N a disagio, pensa che abbia poco senso mettere in carcere una donna dopo venticinque anni. Venticinque anni sono una generazione, A?N come condannare la figlia per la??omicidio commesso dalla madre. A? condannare una??altra persona. E per di piA1, con certezze processuali che quasi a tutti sono sembrate insufficienti. Ma questi non sono pensieri convenienti alla direttrice di un carcere. CosA?? le rivolge un sorriso asciutto, sempre lo stesso, falsamente impersonale. Poi svia lo sguardo, quella donna reclusa lA?? la fa sentire una carceriera, non una semplice funzionaria dello Stato.
A??Che novitA? da sua figlia?A??.
A??Cose di figli. I corsi alla??universitA?, gli esamia?|A??.
A??E i ragazzia?|A??.
A??GiA?A??.
Invece, nelle e-mail non ca??A?N quasi altro che una ripetizione ossessiva: A??Chiedi la graziaA??. Margherita non risponde mai in maniera diretta. Le scrive a lungo, sugli argomenti piA1 vari. A volte le trascrive intere poesie o frammenti densi con cui le parla di sAc e, molto piA1 spesso, di lei, del suo futuro.
A??PerchAc continui a scrivermi di tutte le tue riflessioni politiche, le conosco a memoria, A?N una vita che te le sento ripetere, A?N tutta roba vecchia! Non vedi che non ci pensa piA1 nessuno?A??.
A??Hai ragione, non ca??A?N nulla di nuovo, sono tutti pensieri che avevo. A? che sto cercando di smettereA??.
A??Tu stai smettendo di ragionare! Devi chiedere la grazia, mamma, che te ne importa di quello che significa e di cosa penseranno tutti? La??unica possibilitA? di uscire A?N chiedere la grazia. Devi farlo se ti importa di meA??.
A??Sai bene che tu sei la??unica cosa al mondo di cui mi importi. A? per questo che non posso farlo. a??Nel cielo senza luce ca??A?N un vago desiderioa??A??.
A??Non so che farmene delle tue poesie, mammaA??.
A??Ti sbagli, figlia, la poesia serve. SempreA??.
Intorno al carcere femminile la cittA? batte il suo tempo incoerente. Il ritmo A?N quello irregolare della coesistenza di epoche diverse, mai archiviate nella soliditA? del passato. Bocche di terra si aprono alla??improvviso a restituire vestigia di pietra che nuovi ponti di ferro e cemento cercano di occultare. Il traffico di auto invade ogni strada come una colata lavica. I mercati si aprono con le luci del giorno e si richiudono con il buio come il lento boccheggiare di un pesce eternamente agonico. I traghetti salpano dal porto per altrove troppo vicini e ritorni in giornata.
Due donne dagli occhi dello stesso colore camminano lungo le larghe curve del teatro romano, la piA1 giovane distribuisce la??inquietudine sui gradini muovendo passi verticali. La??altra le racconta della??anfiteatro.
A??Fu fatto costruire da Vespasiano per ringraziare la cittA? della??appoggio offertogli contro il rivale Vitellio. A? in opus reticulatum ed A?N il terzo in Italia per dimensionia?|A??.
Tace. La confidenza con le pietre non la??ha resa meno sensibile agli umani. Prende per mano la ragazza che non si sorprende e si affida al suo corpo piangendo con rabbia.
A??PerchAc si rifiuta di chiedere la grazia? Tu sei sua sorella, devi convincerla. Dimmi perchAcA??.
Ancora silenzio per qualche attimo. Poi:
A??Per accostarti a un altro mondo, devi fermarti un attimo. Rallenta e poi fermati. So che non A?N facile alla tua etA?. A? una cosa che si impara, se si impara, vivendo un poa?? piA1 a lungo di quanto abbia fatto tu finoraA??.
Lei si scioglie dalla??abbraccio della zia e corre per la??intero perimetro della cavea con furore mitologico. La donna dagli occhi uguali la guarda allontanarsi e poi tornare, si siede ad aspettare. Quando la ragazza la raggiunge, i suoi occhi sono asciutti. Le si siede accanto, senza fiato.
A??Sono pronta adesso. Sono fermaA??.
A??Ci sono grandi delusioni o grandi errori nella vita che possono farti perdere la??interesse verso te stessaA??.
La ragazza annuisce, ma Irene sa che A?N solo un gesto anticipato, una??intenzione di ascolto e niente di piA1.
A??Tutti noi ci muoviamo nella vita come un compasso, facendo centro su noi stessi. E allarghiamo il braccio quanto basta a toccare le persone di cui ci importaA??.
La ragazza annuisce piA1 lentamente, A?N assorta. Cerca di capire. La punta della??indice sottile si insinua in una scanalatura della pietra, tra una striscia di muschio e un passato remoto.
A??Alcuni provano ad allargare il raggio al massimo per includere nel cerchio della propria esistenza quanti piA1 altri possibile. Sono quelli che fanno politica, quelli che ci credono. Quelli che hanno sogni in cui ca??A?N spazio per tutti e dove tutti hanno uno spazio. Quelli a cui puA2 capitare, quando si svegliano, di non trovare piA1 il loro spazioA??.
La ragazza non annuisce piA1, forse comincia a capire.
A??Tra questi ci sono quelli che hanno creduto alla giustizia come al modo migliore per stare insieme nello stesso cerchio, ma che sono caduti in un sogno sbagliato di violenza. E oggi tanto gli basta per accettare la punizione, anche se questa li colpisce per un errore della legge degli uomini. Per queste persone la giustizia non sta nei codici, ma in una certa coscienza di sAc. Per qualcuno, la stupiditA? A?N una colpa immedicabile. Questa condanna era solo un castigo disponibile che Margherita ha adottato per il suo vero delitto. Forse per lei tutto A?N piA1 chiaro che per noi. Nel a??Mito di Sisifoa??, a un certo punto, Camus dice a??a?|capisco che si puA2 voler morire perchAc piA1 nulla ha importanza rispetto a una certa trasparenza della vitaa?|a??.
Margherita non A?N mai stata come la voleva qualcun altro, una madre, un marito, che so, un professore. PerA2 A?N come se a un certo punto non fosse stata piA1 neanche come si voleva lei. E forse ha visto questo in trasparenza, attraverso il cumulo da??anni, di persone, di oggetti, di fatti che ammassiamo per tutta la vita. Capisci?A??.
La ragazza guarda dritto in quegli occhi uguali ai suoi e piange, tranquillamente. No, non capisce, non si puA2 a venta??anni. A? solo nel suono delle parole che le sembra arrivino da un altro mondo che intuisce una spiegazione possibile. Questa nuova calma la sfibra, non smette di piangere.
Improvvisamente, il respiro della cittA? si rompe in un singhiozzo di terra. I gradini della??anfiteatro vibrano come tasti di uno xilofono spastico. Le cime dei pini ondeggiano senza vento. I palazzi oscillano per incertezza atavica, incapaci di decidere se resistere o cedere finalmente alla vertigine della??abbandono. Un treno fermo in stazione si muove su un orizzonte instabile.
Un boato sordo, non si sa se da??acqua o di pietra, buca la??aria.
Il vecchio carcere borbonico partecipa al sabba tellurico spandendo intorno grosse briciole di sAc. Le sbarre di metallo trattengono nella stessa misura le vecchie mura e le detenute. Strano a dirsi, ma qui, le voci della paura non sono urla. Le urla sono tutte alla??esterno, nei mercati, nel porto, nelle case, nelle strade. Qui le donne sconfitte non si scompongono, non possono. Sono tutto quel che hanno. Le sorveglianti corrono ad aprire le celle per far scendere le detenute nel cortile, al sicuro. Margherita ha dimenticato il computer, torna indietro di corsa sfuggendo alla??ordine della guardia che cerca di raggiungerla a distanza.
E la sua cella la colpisce con una grossa briciola di tufo che si stacca dal soffitto.
Irene A?N sul promontorio della??antico quartiere svuotato da secoli di bradisismo e rinnovato da poco, in attesa di nuovi abitanti. Guarda lontano. Camus, compagno di inquietudine e solaritA? da tutta la vita, le accarezza la??anima. A??Il mare mi porta la tranquillitA? di ciA2 che non muoreA??. Ma neanche in questa tranquillitA? puA2 trovare una sola, piccola risposta. Facciamo infinite cose nella nostra vita, ma sono gli sbagli che la segnano. PerchAc?
A??Ho visto la??inferno laggiA1 e mi sarA? permesso di possedere la veritA? in una??anima e un corpoA??.
Ma non sarA? per questa volta. Non cosA?? semplicemente. Margherita A?N viva. Sdraiata sul letto della??infermeria del carcere, guarda fuori, oltre il riquadro della finestra rigato di ferro. Dalla sua posizione puA2 vedere solo la??azzurro immobile e indifferente del cielo. Almeno adesso il corpo le serve a rimarginare la ferita alla testa. Per poi farne cosa, non sa. Ma, in ogni modo, non tocca a lei decidere. A? cosA?? che vanno le cose. E lei, se lo A?N giA? dimostrato, non puA2 cambiarle. Non sa. Pensa a sua figlia, un poa?? meno libera ogni giorno, costretta dalla??assenza a pensare a sua madre infinitamente di piA1 di quanto faccia una qualunque altra ragazza. Un arresto domiciliare sentimentale: puA2 andare alla??universitA?, studiare, vedere gli amici, divertirsi, ma poi deve sempre ritornare al pensiero della madre in carcere. Il disordine delle madri ordina prima e diversamente la vita delle figlie. Margherita riconosce che sono strani questi pensieri che la attraversano. Fluidi. Piuttosto una corrente che veri e propri pensieri. A? come se la sua mente si muovesse in uno spazio nuovo dove le abituali categorie hanno una densitA? diversa, diluite in soluzioni inaspettate. E sente di poter andar dietro a ogni rivolo di pensiero, alla ricerca di nuove, minute, veritA? provvisorie che cadenzino il tempo dilatato della riflessione privata del corpo. Fuori dai corpi le idee svaporano. Fuori dal carcere i corpi liberi svaporano in idee dure.
A? un buon momento per addormentarsi.
Aprile 2005