"Ciao, mamma". Peppe si alzA2 leggermente in punta di piedi e schioccA2 un bacio sulla guancia della madre. Sarebbe stato impossibile non riconoscere i geni che gli avevano donato quegli occhi scuri e conturbanti, che tanto avrebbero fatto penare le ragazzine, qualche anno piA1 in lA?, cosA?? come quelli della madre avevano incatenato tanti cuori.
"GiA? sveglio, Giuseppe?" sua madre, il bel volto stanco e tirato dalle preoccupazioni, dal dolore, dalla fatica, gli sorrise. Un sorriso che partiva dagli occhi per estendersi fino al cuore. Peppe ne era sempre molto colpito. Mamma, sei cosA?? bella pensA2, ancora una volta.
"Questo A?N un giorno importante" disse, con tutta la serietA? possibile per i suoi nove anni. La donna sorrise e gli carezzA2 dolcemente il mento.
"Lo so, cucciolo. Sono cosA?? immensamente felice che Don Ciccio ti abbia permesso di prendere parte alla funzione. E' una cosa molto seria."
Peppe annuA??, vigorosamente. "Non vedo l'ora di andare in chiesa, ho tante cose da fare, devo vestirmi, e... e..."
Sua madre rise di cuore. "Devi solo mettere il vestito e stare con Don Ciccio come se fossi un segugio, capito? Mi raccomando, lascia in pace gli adulti. Non dar loro fastidio."
Peppe annuA?? ancora, serio come mai era stato prima d'allora. Si sentiva investito di una carica importante, il cuore gonfio d'orgoglio, come se avesse il petto trapunto di medaglie. Un comandante vittorioso ancor prima di aver combattuto la battaglia. La donna gli porse un sacchetto dall'odore invitante.
"Mi hai fatto la crostata?!" Peppe annusA2 speranzoso, tastando il contenuto. L'odore della pastafrolla si sprigionA2 nell'aria, odore di genuino, di bontA?.
"Alla marmellata d'albicocche", ci tenne a precisare la donna.
"Ma... mi hai sempre detto che durante il VenerdA?? non si deve mangiare. Soprattutto i Penitenti..."
"Tu sei un bambino, Giuseppe. Non sei un Penitente. Devi camminare molto ed hai bisogno di mangiare. Il tuo A?N un cuore puro."
Peppe annuA?? e rubA2 un pezzo di crostata dal sacchetto. Era squisita come solo sua madre sapeva farla. Ma da quando papA? se n'era andato (come? Con chi? E perchA?N, poi?), c'erano state ben poche occasioni in cui aveva potuto assaggiare la crostata. Il fatto che sua madre l'avesse fatta proprio quel giorno, non faceva altro che aumentare il senso di attesa per la giornata che si prospettava.
"Ora vai, forza. Non far attendere Don Ciccio." Peppe s'infilA2 la giacca goffamente, tenendo ben stretto tra le mani il fagotto col dolce. "Vai piano per la strada, non correre e non prendere quelle tue scorciatoie segrete." Il ragazzino schizzA2 via veloce come un fulmine. "Ah, e mi raccomando, di' a Don Ciccio che Agnese arriverA? alla solita ora e al solito posto!"
Peppe urlA2 qualcosa in risposta, ma ad Agnese bastA2. L'osservA2 correre sui ciottoli, saltellare entusiasta da una pietra all'altra. Sorrise, sospirando. Quanta gioia nell'affrontare un VenerdA?? di penitenze e di sacrifici. Che cuore puro, non aveva timore di prender parte a quella che per molti era davvero una giornata di dolori e di espiazione. Si versA2 del tA?N caldo dal bollitore, sedendosi al tavolo. Istintivamente, infilA2 la mano nella scollatura e posA2 la mano sul seno, trovandovi il rosario dai grani in legno, appena lavorato, grezzo e vero. Chiuse gli occhi, poggiando la fronte sul palmo, ed iniziA2 la prima, personale preghiera di quell'amara giornata di Passione. Con Cristo ed in Cristo.
Peppe correva a perdifiato. Era sempre il migliore nella corsa, quando giocava a calcio faceva sempre l'attaccante, perchA?N correva dietro al pallone e riusciva a raccoglierlo ovunque. Ovunque. Nelle stradine isolate, nei vicoletti, sui balconi degli sconosciuti, se Peppe aveva un pallone da recuperare, lo recuperava. Ora correva lungo quelle stradine cosA?? familiari, ma gli sembravano diverse. Forse perchA?N mai aveva avuto il permesso di uscire cosA?? presto al mattino, quando appena il sole sembrava giocare a nascondino tra i monti. Sentiva il suo cuore fare tump tump tump, come quello di un pettirosso. Peppe si sentiva molto un pettirosso: era piccolo, veloce, sentiva sempre il suo cuore fare tump tump tump. L'aveva detto anche alla mamma. Mamma, secondo me sono un pettirosso. L'ho preso tra le mani e sentivo che il suo cuore batteva forte come il mio. Sua madre aveva riso, gli aveva carezzato, come faceva di solito, il mento, dicendogli che il suo cuore batteva forte perchA?N era un cuore puro. Peppe non riusciva a spiegarsi molto bene questa frase, ma gli piaceva come suonava. Quindi, l'accettA2 in silenzio.
Corse lungo salite tortuose ed antiche e, contro le ammonizioni materne, prese la sua scorciatoia segreta: imboccA2 un portone antico e buio, salA?? delle scale pericolanti e si intrufolA2 in un appartamento abbandonato. Per un istante, il cambio repentino tra l'aria fresca e pungente del mattino e l'aria polverosa di quel bugigattolo lo fece star male, ma si riprese in fretta. Nonostante l'aspetto da pettirosso, era resistente. Con passi esperti si diresse verso il lato opposto della stanza, spostA2 alcune assi da un'apertura, facendo filtrare la luce, ed uscA?? fuori, ritrovandosi nella piazza principale del paese. Vide una figura bassa e tondeggiante avviarsi verso la Chiesa.
"Don Ciccio! Don Ciccio, aspettatemi!"
Il parroco, Don Ciccio, soffocA2 uno sbadiglio. Non andava bene farsi vedere affaticato dai fedeli, anche se il fedele in questione era un bambino.
"Peppi', A?N ancora abbastanza presto... cosa ci fai giA? qui?" l'uomo lo scrutA2 sospettoso, in cerca di rimproveri da fare, non trovandone.
"Mi sono... svegliato... presto". Ansante, Peppe si sedette sui gradini della chiesa, in attesa che Don Ciccio tirasse fuori il suo imponente mazzo di chiavi.
"Bravo Peppino. Significa che mi darai una mano a preparare l'incenso."
Peppe annuA??, divorando la crostata. "Ha detto Agnese... ops, ha detto la mamma, che verrA? alla solita ora, al solito posto."
Don Ciccio tirA2 un sospiro di sollievo, infilando la chiave nella toppa dell'antico portone. "Sia lodato GesA1 Cristo."
*
VenerdA?? Santo. Giorno di penitenza, di rimorsi, di morte in attesa della resurrezione. S.sembrava un paesino uscito fuori da un libro di fiabe illustrato da un brillante, ma classico disegnatore: casette in pietra, viuzze tortuose, la piazza piccola ed accogliente, un borgo antico e pieno di segreti misteri. Una manciata di anime brulicanti che riviveva anima e corpo il supplizio di Cristo, insieme a Cristo. Dalle prime luci dell'alba, i Penitenti sfilavano lungo le strade cittadine, . Incappucciati, irriconoscibili. Soltanto il parroco, che aveva donato loro il saio, il cordone ed il cappuccio, conosceva la vera identitA? di quelle anime segnate. Il peccatore osserva, ma viene sottratto allo scorno.
Il peccato A?N maschile, la grazia femminile. Lamenti di donne accompagnano il cammino dei novelli crocifissi da innumerevoli decenni. Senza mai stancarsi. La parola era vietata: se c'era da comunicare qualcosa, lo si faceva con lo sguardo. Le fessure dei cappucci erano mezzi piA1 che sufficienti.
*
Queste cose non fanno piA1 per me. Don Francesco Rustichelli, Don Ciccio per tutti, classe millenovecentoquaranta, si ripromise per l'ennesima volta che quella sarebbe stata l'ultima funzione cui avrebbe partecipato prima di lasciare il posto a don Girolamo, il suo secondo, giovanotto allampanato che non attendeva altro che prendere il suo posto. Che lo prenda pure, pensA2 Don Ciccio mentre, un piede dopo l'altro, saliva una ripida scalinata di vecchie pietre, poi si renderA? conto che non A?N affatto una passeggiata. E non si riferiva certo alla scalata di quel momento. La gente non immaginava nemmeno lontanamente la fatica che doveva portarsi sulle spalle un parroco di paese, spesso additato come un sempliciotto, col vizietto del goccio di vino e delle belle femmine che di tanto in tanto bussavano all'uscio della sacrestia, non certo in cerca di una confessione. Che faticaccia anche preparare il VenerdA?? Santo! Visionare il percorso, identico da secoli, benedirlo con incenso, preghiere ed uno stuolo di fanciulli chiamati controvoglia a fare da chierichetti, da rabbonire con una manciata di monete che sarebbero state di sicuro spese tra chewing gum e limonate. Per non parlare poi delle confessioni da fare, dei Penitenti da scegliere... Don Ciccio sentiva gravare su di sA?N la croce del genere umano. Aveva ascoltato ogni genere di peccati e di mancanze, tradimenti e malavita, innumerevoli volte aveva messo tra le mani di uomini, talvolta affranti, talvolta incuranti delle loro malefatte, il vestiario. Cappuccio e saio rossi come il sangue versato dal Cristo sofferente, il cordone con cui cingere la vita nero come la morte incombente. Era parroco da piA1 di trent'anni, e per piA1 di trenta volte, quindi, si era ritrovato a fare i conti con le macchie di uomini anche dall'apparente perbenismo. Ma nulla, nulla, l'aveva segnato e destato preoccupazioni come l'incontro di quell'anno. Una motivazione in piA1 per appendere i paramenti sacrali al chiodo.
Notte tra il MercoledA?? delle Ceneri ed il GiovedA?? Santo.
Don Ciccio era nella sacrestia. Sorseggiava un bicchiere di vino pastoso, il suo personale incoraggiamento per la notte che si prospettava. Aveva appena concluso la lavanda dei piedi ed ora, per almeno tre ore, avrebbe ascoltato le confessioni indicibili di uomini che, bene attenti a non incontrarsi fra di loro, bussavano all'uscio.
"Chi A?N?", chiedeva Don Ciccio, sempre con lo stesso tono. Apriva la porta. Stanco, ma austero. Non poteva permettersi cadute, era un'autoritA?. Quella notte, piA1 che mai.
"Padre, ho peccato" era la risposta tradizionale del peccatore. Il parroco si spostava, lasciando entrare l'uomo, e si compiva il sacramento della confessione.
Quella notte aveva ascoltato di uomini violenti, iracondi sulle proprie mogli, di ubriaconi con l'alito rarefatto dall'alcol stantio, truffatori e ladri. Forse era la vecchiaia, o la cattiva predisposizione, ma quell'anno il compito gli pareva piA1 gravoso del solito. Necessitava di un bicchierino in piA1.
Toc toc.
Don Ciccio ingollA2 l'ultimo sorso di vino, pulendosi velocemente la bocca. LanciA2 un'occhiata all'orologio alla parete. Le tre. Di sicuro, quello sarebbe stato uno degli ultimi Penitenti della nottata. Avrebbe avuto tempo per qualche ora di sonno, prima delle preghiere mattutine, e magari per farsi fare una visita da Carmela, la tuttofare della parrocchia... una visita dal sapore decisamente terreno, ma necessario.
"Chi A?N?" disse, come di consueto, Don Ciccio. Tono stanco, ma austero.
Si avvicinA2 all'uscio, l'aprA??.
"Padre, ho peccato."
Diversi pensieri attraversarono la mente del parroco, primo fra tutti la consapevolezza che quella situazione aveva un che di strano e di pericoloso. Ma, nonostante gli irrinunciabili vizietti terreni, Don Ciccio era un uomo di buon cuore e di orecchio fine. Un uomo di Dio, in fondo. Con in gola molte domande, si spostA2 dall'uscio e lasciA2 entrare una giovane donna di una bellezza cosA?? pura e disincantata da non suscitare pensieri bassi. La pelle scura aveva l'odore del mare. L'uomo la contemplA2 per qualche istante. I denti bianchi, dritti, grandi, il viso sottile smunto e quasi deformato da un qualche dolore dalle radici profonde.
"Hai... hai bisogno di una confessione, figliola?" la voce gli uscA?? sottile e quasi incerta, timorosa. Con un colpo di tosse cercA2 di darsi un tono. Stanco, ma austero.
"No, padre". La voce della fanciulla era roca, forse stremata dalle innumerevoli ore di pianto. "Mi chiamo Libera. Voglio essere una Penitente. Ho peccato d'amore."
*
L'odore pungente dell'incenso acquietava i sensi e svegliava la mente. Filtrava attraverso il cotone del cappuccio, insinuandosi nelle narici prima, nelle viscere poi.
I suoi occhi dardeggiavano tutt'intorno, scorgendo uno spettacolo cupo, quasi minaccioso. I Penitenti, dal capo coperto, erano genuflessi dinanzi all'altare, alcuni col capo chino, in preghiera, altri con lo sguardo perso nel vuoto. Ognuno immerso nel proprio dolore, nelle proprie malefatte. Per un istante, il suo sguardo incrociA2 un paio di occhi duri, dalle sopracciglia corrugate. Immediatamente abbassA2 i suoi, affondando le mani nelle maniche del drappo sanguigno. Le sue mani di donna.
Don Ciccio aveva protestato piA1 e piA1 volte, aveva provato a cacciarla fuori dalla sacrestia, ma nulla era servito.
"Sono secoli, secoli!" aveva sibilato, la voce soffocata, dopo aver ascoltato ciA2 che aveva da dire "Che i Penitenti sono tutti uomini. Puoi scontare il tuo peccato cantando per il Signore..."
"No", aveva ribattuto in tono fermo lei "Non sarebbe la stessa cosa. Non v'A?N una regola, padre, che vieti le donne tra i Penitenti. NA?N vi sarebbe modo di scoprire la mia presenza tra di loro. Padre, sarA2 la Maddalena penitente."
Con un sorriso amaro, Libera ricordA2 Don Ciccio sedersi, detergersi la testa pelata dal sudore e versarsi una generosa quantitA? di vino dolce, ottenuto dall'uva zibibbo.
"Le piace il passito, padre? Posso fare in modo da fargliene avere una quantitA? considerevole. Ovviamente, da accettare come umile dono di una fedele."
Giocando un po' sporco, facendo leva sull'uomo fatto di terra e sudore e non sull'animo spirituale di Don Ciccio, ottenne il permesso di far parte dei Penitenti. Ebbe il suo saio rosso, il suo cappuccio dalle strette fessure, il cordone scuro come la morte.
Dei passi pesante, il respiro affannoso, annunciaono l'arrivo del parroco. La donna sentA?? una presenza sgattaiolare al suo fianco, per sistemarsi accanto al prete. La sua corsa le aveva fatto smuovere la veste.
Peppe, pensA2 Libera. Il ragazzino le lanciA2 un'occhiata intimorita, come se averle toccato involontariamente la veste l'avesse macchiato di peccato. Non poteva nA?N doveva riconoscerla. ScrollA2 la testa incappucciata, come a dire che non importava. Il ragazzino la guardA2 ancora impaurito per qualche istante, con i suoi grandi occhi color dell'ematite. CosA?? simili a quelli di sua madre. Perdonami, Peppe. Rivolse il suo sguardo al parroco.
Don Ciccio fece scorrere gli occhi lungo la platea rossastra dei Penitenti. Fece scorrere lo sguardo per poi fermarlo su di lei. La donna sostenne lo sguardo del messo di Dio. Don Ciccio aprA?? la bocca una volta, come per dire qualcosa. Poi la richiuse. DeglutA??, trovA2 il coraggio nelle viscere, e poi finalmente parlA2.
"Siate, oggi e sempre, fratelli di Cristo. Nel dolore della Morte, cosA?? come nella gioia della Resurrezione."
*
VenerdA?? Santo, ore undici e trenta del mattino. Un Aprile particolarmente caldo, un tripudio di colori ed odori. Un ossimoro, vista la giornata di dolore. Il sole cocente bruciava la nuca dei Penitenti che, lentamente e faticosamente, si apprestavano a salire sul borgo antico di S.
Gradini alti, di pietra dura e viva, si succedevano quasi infiniti. I penitenti erano in fila, silenziosi. Soltanto i loro sospiri si levavano nell'aria, interrotti occasionalmente dai canti delle donne che si fermavano agli archi e ai portoni, qualora le persone lo chiedevano, per cantare delle ferite di Cristo, del dolore della Madre, dei pensieri della Maddalena. Don Ciccio guidava, un passo dopo l'altro, il nutrito drappello, con il piccolo Peppe che gli trotterellava intorno, addetto all'aspersione dell'incenso. Tutti godettero nell'infilarsi in un vicoletto stretto e fresco. LA?? la pietra non diveniva rovente perchA?N il sole non vi giungeva, a tratti i muri erano umidi e vi era odore di muschio. Percorsero con lentezza quella specie di sentiero, osservati da chi abitava quei luoghi senza tempo. Silenzio. Non si era mai udito un silenzio piA1 rumoroso. Rumoroso, perchA?N chi osservava si ergeva quasi a moralizzatore. Rumoroso, perchA?N i Penitenti avrebbero voluto urlare al mondo che, sebbene vi fossero loro materialmente sotto quei cappucci sanguigni, coi fianchi cinti dal cappio della morte, era l'intero genere umano a scontare la pena. Rumoroso, perchA?N se i pensieri di Don Ciccio avessero potuto parlare, avebbero fatto un fracasso non indifferente. Rumoroso, perchA?N se i piedi del piccolo Peppe avessero potuto lamentarsi, l'avrebbero fatto senza remore.
*
Agnese percorreva le stradine lentamente, il capo chino. Sin dalla fanciullezza, la sua voce era stata sempre al servizio del Signore. Innumerevoli volte aveva cantato i lamenti, prima con sua madre e le sue sorelle maggiori, poi da sola. Ma, prima di quell'anno, aveva cantato per fede, non per scontare una pena. Quell'anno, invece, avvertiva il peso della croce sulle spalle. Avvertiva di essere una peccatrice, marchiata dal fuoco invisibile della Tentazione. RipensA2 a ciA2 che aveva vissuto. Strinse gli occhi, lacerata da un dolore intimo ed infuocato. Quante persone aveva portato alla sofferenza. Non sarebbe bastato una vita intera di calvari per scontare tutto quello. Con passo greve, pesante, stanco, si avvicinava sempre di piA1 all'antica chiesetta, fatta di marroni rossastri. LA?? avrebbe cantato alle dodici in punto.
*
Libera sentiva ogni singolo sasso puntuto scalfirle la pianta del piede, anche attraverso la suola dei sandali in cuoio. AbbassA2 lo sguardo, e vide che il dorso del piede sinistro era scalfito. Un rivolo di sangue colava. Niente di preoccupante. Ferite che una ragazza di campagna, cresciuta correndo nell'erba, aveva visto decine di volte. Ma anche se fosse stato grave, non vi avrebbe dato importanza. Dopotutto, era lA?? per una penitenza, non per una passeggiata piacevole sul bagnasciuga.
I Penitenti, Don Ciccio e Peppe sempre in testa, si inerpicarono su per il sentiero piA1 ripido del percorso, quello che portava alla chiesetta di mattoni rossi, situata sul punto piA1 alto del borgo e del paese. Libera ricordA2 quando, in tempi migliori, lA?? vi era andata per osservare il panorama. A quel tempo, le sembrA2 un paesaggio fiabesco. Ora, lo temeva.
*
Dolci rilievi trapunti di verde si alternavano a punte aspre ed erose dai segni del tempo. Qua e lA?, qualche piccola e quasi insignificante macchia boschiva, di tipo mediterraneo. Arbusti, ficus ed ulivi era la vegetazione consueta in quelle zone. Il paese si incastrava cosA?? in quell'habitat, e pareva che non vi sarebbe potuto essere altro al di fuori di quello. In lontananza, in un giorno senza nuvole e nitido come lo era quel VenerdA?? Santo, si poteva scorgere l'azzurro del mare, la zona costiera, le isolette che, a quella distanza, sembravano fatte di ombra.
Don Ciccio, con un gemito, arrivA2 in cima alla ripida salita. LanciA2 un'occhiata alla chiesetta di mattoni rossi, piccola e stabile sul suo sperone di roccia. Poi, rivolse il suo sguardo all'orizzonte. I suoi occhi vagarono dalle colline, agli alberi, al mare. A volte il buon Dio si prende giuoco di noi, pensA2 amaramente, asciugandosi la pelata con un fazzoletto, Non si puA2 pensare al dolore del genere umano con un giorno di sole cosA?? bello.
*
"Ecco la bella croce,
Ecco il sacro legno
dove GesA1 morA??,
dove GesA1 morA??."
Agnese ascoltA2 la voce delle sue sorelle di dolore, pensando che presto sarebbe arrivato il suo turno. Il capo chino, il rosario tra le mani, fiancheggiA2 i Penitenti, risalendo la china della collina verso la chiesetta. Il sole rovente le bruciava la nuca, ma di tanto in tanto una lievissima brezza dava sollievo. AlzA2 il capo, gli occhi accecati dalla luce primaverile. Erano quasi giunti in cima, qualche Penitente era giA? faticosamente giunto, seguendo Don Ciccio, senza lasciarsi distrarre. Agnese intravide il figlioletto Peppe, attaccato alla veste del parroco, osservare il panorama, a bocca aperta. Con un sorriso amaro, ricordA2 delle innumerevoli volte in cui aveva sentito suo marito promettere al figlio infinite scampagnate in quel posto.
CarezzA2 a lungo suo figlio con lo sguardo, cosA?? tanto che notA2 un Penitente a poca distanza avere lo sguardo insistente sul ragazzino. D'un tratto, un paio di grandi occhi nocciola la trapassarono da parte a parte.
*
Libera sentiva i piedi a pezzi. La pelle si era ulteriormente lacerata, il sangue si mischiava col terreno, bruciando a piA1 non posso. Rivolse lo sguardo in avanti, cercando distrazione dal dolore. Avvertiva, di tanto in tanto, una lieve frescura che si abbatteva sulla stoffa rossa. Vide Peppe, gli occhi incantati dal panorama. Sorrise, sotto il cappuccio. Quel ragazzino le era sempre piaciuto. Curioso, serio, un sorriso grande come il mondo. Un sorriso fatto di occhi, proprio come quello della madre. OsservA2 la sua nuca sottile, le sue spalle piccole sotto quella veste cascante, troppo grande per un bambino della sua etA?. Perdonami, Peppe, pensA2 ancora una volta. Perdonami.
Il richiamo di quegli occhi color dell'ematite l'avrebbe sentito ovunque. Ovunque.
*
Agnese e Libera si osservarono per una manciata di istanti. Non piA1 di un battito diviso in due tempi, uno di sistole ed uno di diastole, non piA1 di uno o due ticchettii di orologio, non piA1 di un frullio di ali di un pettirosso, il sospiro tranquillo di un anziano dormiente. Ma quel lasso di tempo fu sufficiente ad entrambe per esplorare i lati e le emozioni piA1 recondite. Libera oltrepassA2 la quarta parete instaurata da secoli tra i Penitenti e il pubblico, tra il peccato che poteva scrutare il mondo intorno a sA?N ma non poteva essere liberamente osservato. Poter godere liberamente della visione di Agnese le sembrA2 come abbeverarsi di acqua fresca, pura e cristallina.
Agnese sentA?? come se una frusta le avesse percosso interamente il corpo. Avebbe riconosciuto ovunque il peso e l'intensitA? di quelle grosse nocciole selvatiche. OsservA2 a lungo Libera, il bel corpo nascosto sotto il drappo sanguigno. Riusciva quasi a vedere la sua figura sottile e slanciata, forte e flessuosa. Si diede della stupida per non averla riconosciuta subito.
Libera.
Agnese.
*
"Ll'acqua fa mal e 'o vvin fa cantA?!"
Accadde al crepuscolo di un giorno settembrino, uno tra i primi, uno di quelli dove c'A?N ancora tanto sole, ma all'imbrunire prevale il fresco. Un lieve vento faceva muovere le foglie. Quel giorno, nei ricordi, avrebbe sempre avuto l'odore e il sapore dello zucchero. I moscerini ronzavano intorno, molesti. Era un giorno di vendemmia, un giorno di gioia. 'O vvin fa cantA?!, strillava continuamente un uomo, battendo i tamburi mentre tutti intorno a lui battevano mani, nacchere e qualsiasi cosa provocasse un rumore gioioso.
Agnese era lA?? con suo marito. I vinaioli erano suoi amici, vieni, ti piacerA? l'atmosfera. Non puoi sempre star china sui libri!, e lei l'aveva seguito. Era di indole dolce, Agnese. CosA?? dolce da aver seguito sempre i consigli della sua famiglia. Lo studio, i viaggi. Sempre. Ora, ad una trentina di anni abbondanti, si ritrovava con un buon lavoro di insegnante, un uomo al suo fianco che l'amava e la prendeva spesso in spalla, facendola roteare al di sopra di tutti (Guardate com'A?N bella, la mia Agnese! Com'A?N bella, la mia professorina!), una bella casa, un bambino dolcissimo che amava stare coi nonni. Tutto perfetto, nulla di perfettibile.
La sua attenzione fu attirata da un gruppetto di persone che ballava e cantava piA1 forte degli altri, intorno ad un grosso tino, dove una donna schiacciava l'uva quasi ballando. Agnese, quasi involontariamente, lasciA2 andare la mano del marito, che in quel momento era impegnato in una accesa conversazione mangereccia, e si avvicinA2 a quel tributo a Bacco. PiA1 si avvicinava, piA1 Agnese sentiva il cuore palpitarle, quasi fino a scoppiarle nel petto, osservando la donna.
Non era una donna, era poco piA1 che una ragazza, la pelle scura e i capelli color dell'ebano, gambe lunghe, forti ma sottili, libere da qualsiasi costrizione, coperte solo dal tessuto di una gonna lunga, tradizionale contadina, che lei aveva tirato fin sopra le ginocchia. Era bella, ridente scuoteva la testa, i suoi capelli danzavano insieme a lei. Quel sole settembrino filtrava attraverso i riccioli d'ebano, donandovi riflessi quasi ramati. All'improvviso, quasi come rispondendo ad un richiamo divino, la ragazza rivolse i suoi occhi su Agnese. Agnese si sentA?? avvampare e, in quel momento, sentA?? riaffiorare tutto quello che la sua famiglia aveva sempre cercato di soffocare, sin da quel bacio tenero scambiato con una compagna delle medie, subito scoperto da sua madre...
Libera era in estasi. L'odore del mosto le invadeva le narici, ubriacandola quasi, il battito delle mani, dei tamburi, dei piedi e delle nacchere seguiva quello del suo cuore, del sangue nelle vene. La terra era il suo elemento. RoteA2 la testa, inebriata, socchiudendo gli occhi, mettendo a fuoco una figura poco distante dal gruppo. Una donna dall'aspetto gentile. Aveva un sorriso sul volto, ma soprattutto, sorrideva con gli occhi.
"Ho visto che prima ci osservavi". La ragazza si asciugA2 le mani con uno strofinaccio bianco, poi si asciugA2 le gambe. Agnese non potA?N fare a meno di seguire i suoi movimenti.
"SA??. Eri particolarmente presa, quasi impossibile non notarti."
Libera notA2 i suoi occhi scuri, cosA?? scuri da sembrar densi... duri, come una pietra. Come l'ematite. "Io... Libera". Le porse la mano, pentendosene quasi all'istante dinanzi ad una apparente titubanza dell'altra. Era tutta inzaccherata di uva. Invece, lei la prese e la strinse. Una stretta gentile.
"Un nome che ti si addice. Io sono Agnese."
Gentile anche di nome.
Si guardarono ancora per qualche istante. Una tensione palpabile si avvertiva tra di loro.
Quella notte, quando suo marito si avvicinA2 al suo corpo per coglierne i frutti, Agnese avvertA?? un diffuso senso di inadeguatezza e fastidio. La sua barba pungente sulla pelle la irrigidiva, la sua intimitA? accolse in modo poco gentile il suo sesso. Agnese si costrinse ad avere gli occhi serrati e a simulare il piacere. Anche le ruvide carezze che l'uomo riservA2 alle sue guance, dopo quell'amplesso cosA?? meccanico, non fecero altro che aumentare la sensazione che quello non era mai stato il suo posto. La sua mente era sempre e costantemente rivolta a quella conversazione.
"Cosa sei tu?" Libera faceva roteare un bicchiere di vino novello tra le mani sottili, dalle dita lunghe. Lo porse ad Agnese, che ne bevve un piccolo sorso. Intorno a loro, la festa impazzava. Sarebbe continuata cosA?? per tutta la notte, fino all'alba.
"Insegno" fu la risposta semplice e concisa di Agnese. Libera sorrise.
"Non ho chiesto 'cosa fai', ho chiesto... cosa sei." Libera riprese il bicchiere dalle mani di Agnese ed ingollA2 un sorso lungo. Non era un vino dei migliori e questo le dispiaceva. Per quella donna, dal sorriso ampio che si estendeva dagli occhi fino alle labbra, desiderava soltanto le cose migliori.
"Un fiore di tarassaco" sussurrA2 piano Agnese.
Libera inarcA2 un sopracciglio. "Che nasce all'alba e muore al tramonto?"
L'altra alzA2 lentamente lo sguardo verso di lei. "Non tutti hanno la fortuna di chiamarsi Libera, quindi si va alla ricerca di qualcosa che ci rappresenti."
Silenzio. "E tu... cosa sei?"
Sorrise, con i suoi occhi grandi come nocciole. "Una giramondo che usa belle parole."
*
Ottobre, incalzante novembre.
Giornate dal cielo color ghiaccio, freddo pungente. Le foglie cadevano ancora al suolo con rumore sinistro, scricchiolavano come ossa rotte. Non si poteva far altro che stringersi negli impermeabili, guarnendo ombrelli come se fossero spade, ed avventurarsi tra le strade quasi deserte, desiderando il caldo abbraccio di una madre, della persona amata, ma anche soltanto lo sguardo colmo di gratitudine di un senzatetto cui si A?N donata una moneta.
Agnese affondava le mani nella pastafrolla, donandovi calore e passione. Per la gioia di suo marito e del piccolo Peppe, stava preparando la crostata, un dolce primaverile, sinonimo di genuinitA?, di sole, di profumo di fiori, ma ad Agnese piaceva prepararla anche coi climi meno adatti. Una crostata riempiva sempre il cuore di dolcezza, e a lei piaceva sempre trovare il tempo per prepararne una. Soprattutto con la marmellata di albicocche. Ogni volta che ne apriva un vasetto, socchiudeva gli occhi, ripensando alle corse tra l'erba a piedi nudi, ai richiami della madre, ai pranzi domenicali, alle dita intinte in quella polpa zuccherina senza paura delle conseguenze, dei mal di pancia, delle ginocchia sbucciate, dei dolori dell'amore. Ogni volta, si ritrovava ad affondarvi le dita, le lacrime appese alle ciglia.
Dlin dlon.
"Peppe, va' a vedere chi A?N alla porta" disse Agnese, stendendo vigorosamente la pastafrolla. SentA?? lo scalpiccio del bambino attraverso il salotto.
"E tu chi sei?" la vocina del bambino arrivA2 distinta fino in cucina.
"Una persona cui piacciono molto i gessetti colorati. Cosa stavi disegnando?" il cuore di Agnese saltA2 molti battiti. La sua voce. La sua voce. Non era possibile, non...
"Libera".
Libera alzA2 lo sguardo verso la voce che aveva mormorato quasi impercettibilmente il suo nome. Strinse forte il sacchetto di carta che aveva tra le mani, timorosa di farlo cadere sul pavimento, tanto forte le batteva il cuore. Agnese era lA??, a pochi passi da lei. Desiderio taciuto di quei mesi, divenuto insistente con la sua sola assenza, insopportabile con l'avvicendarsi della stagione invernale. Quella mistica unione tra sacro e profano era davanti a lei. LanciA2 ancora un'occhiata al bambino, che la osservava. Poi guardA2 di nuovo Agnese. Gli stessi, immensi occhi color ematite. Suo figlio. Il cuore le si gonfiA2 ancora di piA1 tra le costole. Materna e lussuriosa allo stesso tempo. NotA2 che sui pantaloni del tailleur vi erano delle macchie di farina maltolte.
"Agnese" finalmente, la sua lingua sembrA2 sciogliersi. "Perdonami l'improvvisata, ma ho pensato di portarti del vino..."
"No, non preoccuparti" si affrettA2 a dire Agnese. "Peppe, lei A?N Libera, A?N una mia amica. Torna a giocare coi gessetti."
"Dopo passo a vedere il tuo capolavoro" promise Libera. Il bambino sorrise e filA2 via. Lo stesso, identico sorriso con gli occhi.
Le due donne rimasero sole nell'ingresso, a pochi passi di distanza, per qualche istante in silenzio. Il tempo era scandito soltanto dal fluire del sangue.
"Stavo preparando una crostata", disse timidamente Agnese, torcendosi le mani. Libera le si avvicinA2 e abbozzA2 un sorriso, facendole mancare il respiro. Un sorriso sbilenco che mostrava denti bianchi e forti.
"Si vede. Hai una macchia di marmellata sulla guancia."
La cucina si colorA2 di primavera. Agnese continuA2 a preparare la crostata, con rinnovato vigore e calore, mentre Libera si guardava intorno, familiarizzando con l'ambiente, scegliendo i calici adatti al vino che aveva portato.
"Visto che il vino della scorsa volta non era un granchA?N, mi sono permessa di chiedere a mio padre dove abitaste tu e tuo marito, per farvi assaggiare qualcosa di migliore." Libera stappA2 una bottiglia con fare esperto e versA2 una quantitA? generosa di nettare rossastro in entrambi i calici. Ne porse uno ad Agnese, serbA2 l'altro per sA?N. "Il miglior Lacryma Christi delle cantine di famiglia.a??
a??Bacco amA2 questi monti piA1 dei nativi colli di Nisaa??, citA2 a memoria Agnese.
Libera sorrise. Un altro di quegli irresistibili sorrisi sbilenchi. a??Non mi aspettavo altro da una donna di lettere.a?? SollevA2 il calice, inclinandolo fino a sfiorare quello di Agnese. a??Con i piA1 calorosi saluti del mio buon padre.a?? Ebbe una pausa, in cui i suoi grandi occhi nocciola si infuocarono, perdendosi in quelli scuri di Agnese.
a??Ai tuoi meravigliosi occhi ematite.a??
*
Fu un inverno pieno di visite, vini e brindisi, marmellate e sguardi. Libera (a??di nome e di fattoa??, come spesso le piaceva ripetere, canzonandosi da sola) per la prima volta dopo tanti anni, non migrA2 come una rondine verso un Sud piA1 caldo, con grande stupore della sua famiglia. Le si addiceva male il clima invernale, e lei ne soffriva. Con i primi freddi, Libera viaggiava lA? dove il sole poteva baciarle il volto ed infuocarle gli occhi, abbrustolirle la pelle. E scriveva. Scriveva. Attraverso i suoi occhi, i lettori scoprivano un mondo nuovo, talvolta lontano nella geografia ma vicino al cuore. Le pampas argentine. Le giornate infinite dell'Andalusia. Il caldo soffocante africano. A piedi con un bisaccia in spalla, in bicicletta oppure in moto come il piA1 moderno degli Ernesto Guevara, era sempre stata una giramondo che usa belle parole.
Ma non quell'inverno.
*
In quel settembre di vendemmia, un vignaiolo batteva forte le mani sul tamburo, le guance rubizze, l'alito intriso di vino novello. Batteva il tamburo e strillava sempre lo stesso, antico proverbio.
a??L'ammor A?N comm 'o piccirill ca nun sap cuntA?!a??
Agnese lo ricordava bene e, ad un certo punto, non potA?N sottrarsi alla legge immutabile e non scritta. Vox populi, vox Dei.
*
'O piccirill ca nun sap cuntA? si presentA2, monello e quasi maligno come un Cupido, in un gennaio insolitamente mite. 'O piccirill travolse Libera ed Agnese in un pomeriggio domenicale, durante un infinito pranzo domenicale. Uno di quelli di campagna, dai soliti amici vignaioli, il primo dell'anno sotto il pergolato, innaffiato di vino d'ogni sorta, di ragA1, di racconti e di canti. Agnese, affidato Peppe a suo marito, andA2 nell'ampia sala da bagno della cascina a rinfrescarsi il volto congestionato dal vino e dal cibo troppo saporito. E dagli sguardi di Libera. Libera, che in quei mesi le aveva fatto riscoprire il suo essere donna, le aveva risvegliato i sensi e l'intelligenza. La curiositA?. Libera, dal corpo flessuoso e giovane, il brillio del sorriso di chi vive con pienezza quel decennio che va dai venti ai trenta. Libera. Di nome e di fatto.
Mentre attraversava il soggiorno, si sentA?? afferrare il polso da una mano calda, dalle dita sottili e lunghe. Ebbe solo il tempo di individuare, nella penombra della casa, i grandi occhi da cerbiatto di Libera. Agnese ebbe una paura irrazionale, infondata. Sentiva le labbra tremare. CercA2 di concentrarsi su qualsiasi cosa che non fosse lei. Un angolo del suo cervello registrA2 un curioso profumo di fiori fuori stagione. Ma non riusciva a capire da dove venisse.
a??Lasciati andare.a??
Agnese non ebbe tempo, nAc desiderio di sottrarsi ad un delicato bacio colmo di disperazione, 'o piccirill si insinuA2 tra loro, tenendole avvinte con catene.
Mentre fuori si festeggiava un principio di primavera anzitempo, nella penombra della casa si consumava un antico fuoco fatto di sospiri e parole taciute per troppo tempo. Agnese assaporA2 per la prima volta un piacere troppo a lungo negato, un volto liscio ad accarezzarle la pelle con le labbra, un corpo cosA?? simile al suo eppure cosA?? nuovo al tatto. Libera guidA2 le mani della novella amante lungo il suo corpo, permettendole di avventurarsi senza paura alcuna. Giunse al piacere con un mugolio quasi infantile, accasciandosi sui seni dell'altra. Agnese le carezzava piano i riccioli d'ebano. Fuori, la festa domenicale impazzava. Agnese inspirA2 a fondo quell'odore diffuso di fiori. Poi comprese. Odore di primule. Anch'esse fuori stagione. Tenaci.
*
Agnese contrasse il volto in una smorfia di dolore, distogliendo a forza lo sguardo dal Penitente che ormai aveva un volto ed un nome. Libera. Libera. Tante, troppe domande le si affollavano nella mente. Come aveva fatto ad indossare quel drappo e quel cappuccio? Don Ciccio sapeva. Sapeva. AffrettA2 il passo fino a raggiungere il parroco.
a??Don Ciccio...a??
L'uomo si voltA2 e la guardA2. Un'espressione indecifrabile sul volto. Agnese aprA?? la bocca, ma la richiuse subito. Una tacita conversazione scorse tra di loro, invisibile ma forte. Don Ciccio sapeva ed aveva autorizzato. Il parroco abbassA2 lo sguardo, dando una pacca sulla spalla al piccolo Peppe. Probabilmente aveva capito perchA?N quel ragazzino era rimasto improvvisamente senza padre. PerchA?N quell'uomo, tanto sorridente, buontempone, di colpo era andato via dal paese.
*
Libera non distolse per un solo istante lo sguardo da Agnese. Sembrava un cane randagio, si guardava intorno, in cerca di una risposta. Ma le risposte c'erano giA? tutte, posto che vi fosse qualche domanda da fare. Lei era lA??. Era una Penitente. OsservA2 la donna cercare Don Ciccio, scrutA2 a lungo lo sguardo che si lanciarono. Il muto patto tra i tre si era compiuto, ma a breve non sarebbe piA1 stato necessario. Agnese le rivolse di nuovo gli occhi. Libera lesse disperazione e pena in quegli occhi color ematite. Col groppo in gola, vide Agnese portarsi le mani al grembo, ed ebbe un tuffo al cuore. Non potrA2 piA1 averne. Era questo il messaggio che voleva lanciarle. La furia cieca di quel marito tradito aveva portato quel risultato. Il loro amore fu scoperto alcune settimane dopo e pagarono caro prezzo. Una lunga serie di immagini, come sediziosa tortura, trapassA2 la memoria di Libera. L'uomo che entrava in quella che era stata la sua camera, il suo talamo nuziale, e si avventava su di loro, brandendo una spranga. Lei che veniva sbattuta al muro, il sapore del sangue in bocca, incapace di articolare anche solo un passo. La vista annebbiata, ricordA2 le urla di Agnese, il suo ventre battuto dalla spranga, i pianti e le implorazioni.
Tutto finA?? presto, lasciando spazio ai gemiti di dolore. Libera non riusciva a muoversi, sentiva allargarsi sotto la sua testa una pozza di sangue, si sentiva sempre piA1 debole, la vista annebbiata. Agnese, Agnese, risuonava nella sua testa. SentA?? dei passi avvicinarsi, fermarsi accanto a lei. Un solo, freddo sputo le colpA?? il volto e l'animo.
*
Don.
Il primo rintocco sferzA2 l'aria come se fosse una frusta.
Don.
Dodici, come gli apostoli fratelli di Cristo.
Don Don Don.
I cantori si raggrupparono tra loro, a ranghi serrati.
Don Don Don.
I Penitenti si dispersero, invece. Ognuno nella propria manifestazione di dolore.
Don Don Don.
Qualcuno crollA2 al suolo, mormorando quasi impercettibilmente richieste di perdono. Altri si battevano il petto, lamentandosi. Qualcuno si tolse i sandali e procedette verso la chiesetta a piedi nudi, tra le pietre e gli sterpi.
Don.
Dodici rintocchi ruppero l'aere silenzioso di S. Il mondo sembrA2 fermarsi. Tutti trattennero il respiro. La brezza lievissima e il canto degli uccelli lasciavano presagire tutto, tranne la morte del Cristo.
Don Ciccio, seguito a ruota da Peppe, rivolse i suoi occhi verso Agnese, cosA?? come la totalitA? dei presenti. Penitenti, cantori, fedeli, Libera.
*
a??Torna,
che ti perdono,
bacia la terra
dove GesA1 MorA??.
GesA1 morA??.
I duri sassi spezzansi,
Si squarcia il sacro velo.a??
Un panno rosso venne gettato a terra.
*
I fedeli tirarono un sospiro agghiacciato come se fossero un sol uomo. Un Penitente aveva gettato il cappuccio, rivelando il volto di una giovane donna di colorito scuro, riccioli castani le incorniciavano il volto. Una brezza lieve, frammista alla luce solare, lasciava intravedere le sue guance rigrate di lacrime.
a??Peccato!a?? urlA2 qualcuno, tra la folla. Uno tra i piA1 lesti a riprendersi. a??Peccato mortale!a??
Tutti gli altri, restarono in silenzio. Troppo attoniti da quella rottura con la tradizione che aveva del demoniaco.
*
I Penitenti osservavano la scena. A loro era impedito intervenire, qualsiasi cosa capitasse. Loro erano il peccato. Qualcuno, tra loro, si scrutA2 nervoso, salvo poi ritornare a fissare la donna blasfema che si era insinuata tra di loro, oppure a rimuginare sui propri peccati.
*
Don Ciccio divenne una statua di sale da far invidia a quelle delle bibliche Sodoma e Gomorra. Non solo un Penitente si era tolto il cappuccio, ma era una donna. Una donna! Mai, in secoli e secoli di tradizione, si era mai avuta notizia di un gesto simile... mai... Prossimo ad un infarto, volse il suo sguardo ad Agnese, disperato. Come se lei avesse potuto far qualcosa. Ti prego, Agnese, in nome della tua bellezza, fa' qualcosa.
*
Agnese intonA2 la sua strofa con la consueta bravura di sempre. La voce vibrante, tonante al di sopra di tutto e di tutti, sembrava squarciare l'aria. Con la coda dell'occhio, raggelata, osservA2 Libera strapparsi via il cappuccio, restare a capo nudo. Il peccato che, senza vergogna alcuna, si offre al giogo di chi si crede assolto. I loro occhi si incrociarono ancora una volta. Agnese vide le lacrime rotolare lungo le sue guance, il collo sottile teso, le vene rigonfie. In modo quasi impercettibile, scosse la testa. No, Libera. No.
*
Libera sentA?? il vuoto intorno a sAc. Quel racconto corale, quel dolore del genere umano la stava estromettendo. Si era rivelata per ciA2 che era: una donna, una peccatrice. Incurante del vuoto intorno a lei, incatenA2 ancor piA1 lo sguardo a quello di Agnese. Una muta richiesta. Si puA2, Agnese... si puA2? Ma quell'impercettibile gesto di diniego, ruppe qualsiasi speranza. Un minimo accenno di sorriso sbilenco le colorA2 le labbra. Doveva andare cosA??. Doveva.
*
Con un guizzo repentino, Libera sgusciA2 tra la folla, si diresse verso l'orizzonte, saltA2 il muretto.
Come a voler raggiungere il mare. Come una goccia rossastra di Lacryma Christi che si tuffava in un calice.
a??NO!a??
*
Peppe ebbe la stessa sensazione che si ha quando si sogna qualcosa di brutto e ci si accorge che in realtA? A?N solo un sogno. AprA?? e chiuse diverse volte gli occhi, ma era tutto vero. C'era Libera sotto quel cappuccio, c'era l'amica di mamma. La donna cui piacevano i gessetti. I suoi occhi scattarono immediatamente verso quelli materni. Mosse un passo, come se una sua entrata in scena potesse sovvertire le sorti della vicenda. Ma accadde tutto piA1 in fretta. Libera si lanciA2 oltre il muretto, e Peppe fu davvero sorpreso di vederla cadere giA1, giA1 verso la valle, giA1 verso il mare. Di non vederla spiccare il volo.
A Peppe, il fruscio della veste rossastra ricordA2 tremendamente il frullio di ali di un pettirosso.