L. C.
La riflessione sulla caducitA? della vita incrocia e accomuna nel tempo e nello spazio interrogativi e percorsi di ricerca che riconducono a una??unica vera certezza.
La morte ci accompagna inesorabilmente, a??insonne e sorda, come un vizio assurdo o un vecchio rimorsoa??, diceva Pavese. Quando non mostra apertamente il proprio volto strappandoci gli affetti piA1 cari, si insinua nel corpo subdolamente per ricordarci il nostro destino.
Quale nitida e chiara teoria puA2 seguire la??uomo che procede incerto nella??oscuritA? del suo cammino? Quale saggezza sicura abbracciare per contrastare il dolore?
La logica sottrattiva, proposta nella spiritualitA? orientale e anche nella tradizione religiosa occidentale, tende a estinguere il desiderio, fonte di ogni sofferenza, opponendosi allo stile di vita che accumula e asseconda i piaceri terreni nella?? illusione di attutire la??inquietudine e il senso di precarietA?. Per sfuggire al pericolo della dispersione della??anima, rapita da miraggi apparentemente appaganti , si corre il rischio della chiusura in un freddo distacco, che blocchi ogni partecipazione emotiva. La paura del trapasso viene esorcizzata, senza che si aprano prospettive salvifiche convincenti.
Anche nel panorama culturale del a??900 non compaiono facili approdi, che schiudano veritA? e certezze. Di fronte alla??angoscia e al male di vivere si preferisce il silenzio, rotto solo dalla voce di chi cerca con lucida consapevolezza le ragioni profonde di tale disagio. E la religione, nata proprio in risposta al sentimento della caducitA?, perde i suoi contorni definiti, si trasforma in un flebile canto che consola: lenisce ma non salva dalla?? inesorabile destino.
Che cosa resta allora alla??uomo se non la possibilitA? di accogliere dignitosamente la propria pena, nella a??religiosaa?? fiducia che la vita abbia un valore intrinseco, nonostante tutto?
Quando il Dio della salvezza eterna sfuma nel regno della??immaginario, questa (mi) sembra una scelta accettabile.
A? possibile pensare percorsi di vita che, nella loro brevitA?, rimandino ancora a un senso di precarietA?, ma forse piA1 accettabile ? Che si configurino come espressione di una strategia oppositiva che spezzi la linea del dolore e aiuti a sopravvivere al meglio? Piccoli intervalli che diano respiro e sollievo alla??esistenza?
La??atteggiamento di fondo credo sia quello del viandante. Si cammina nelle tenebre, guidati da qualche stella o cometa; si illumina il percorso per qualche breve tratto e poi di nuovo torna il buio. Nella??attesa di una nuova luce che puA2 comparire finchAc ca??A?N vita.