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Squarci > martedì 22 maggio 2012 - #37
Ossessioni
Valerio Bruner
IdeolipsA-a
Non riuscivo a smettere di pensare a lei. Era un chiodo fisso che non mi concedeva un attimo di tregua. Di notte la??angoscia diventava insostenibile. Mi abbandonavo sul letto, sperando che nessun sogno fosse venuto a tormentarmi ma, come la??inconscio prendeva il sopravvento sui sensi, la vedevo abbandonarsi alle carezze di un uomo senza volto, mentre con le gambe gli cingeva la vita, gemendo di piacere. AhimA?N, fosse stato solo un sogno, lo avrei sopportato, ma purtroppo i desideri della marchesa di Dubois erano piA1 che reali. Durante il Carnevale in particolare, quando ogni porco di Venezia si sentiva in dovere di infilarle qualcosa sotto le sottane al grido di a??SEMEL IN ANNO LICET INSANIREa?? (una volta all'anno A?N lecito impazzire).
Non che la cosa mi disturbasse piA1 di tanto sa??intenda, da??altronde tutta la ridicola commedia umana ruota intorno a quella??effimero attimo che dura il tempo di un orgasmo. Dunque, se un povero diavolo voleva raggiungere quella??attimo servendosi della marchesa, lo appoggiavo pienamente. CiA2 che realmente mi indisponeva era che mai, nemmeno una volta, quella donna mi avesse guardato con la stessa cupidigia che riservava al ragazzo delle cucine o che mi avesse fatto mostra della stessa lascivia con la quale si appoggiava allo stalliere, chiedendogli di aiutarla a a??montare in sellaa??. Rivolgeva sguardi ammiccanti anche a quella??oligofrenico di Padre Ballarin, fingendosi contrita ogniqualvolta entrava in confessionale, sapendo che il pio curato non avrebbe dormito la notte alla??udire i suoi peccati carnali. Persino quella??omuncolo di suo marito, la??ultimo nella lista dei suoi amanti, poteva avanzare il diritto di penetrarla, un diritto che doveva durare ben poco visto lo scarso desiderio che la??anziano marchese nutriva per tutto ciA2 al di fuori dei suoi preziosi legionari romani in lega di stagno e piombo. Guardando quegli uomini non vedevo altro che rozzi animali sempre pronti ad accoppiarsi. a??Mentecattia?? riflettevo a??non potete nemmeno immaginare quanto profondo ed intenso possa essere il piacere di una donna paragonato al vostroa??.
Cosa avevo io in meno a loro? Le mie forme avrebbero fatto arrossire Venere in persona e sapevo come usarle per dare piacere a una donna. Ah, come dimenticare Lucia, la puttana del bordello di Ponte delle Tette, la prima donna alla quale avevo concesso i miei baci segreti. Mi piaceva scopare con lei e lo trovavo di gran lunga piA1 appagante che farlo con quelle bestie pelose e barbute. Mi ci ero affezionata e andavo a trovarla quasi tutte le settimane, fino a quando un marinaio ubriaco le aveva aperto la gola con un coltello dopo averla violentata.
Poi ca??era stata Pia, quella mia grassa cugina con qualche rotella fuori posto. Trascorrevo le giornate di agosto nella tenuta della sua famiglia a Martellago. Un giorno rubai una bottiglia di pregiato Chianti delle colline senesi A.D.1724 a??g cosA?? diceva la??etichetta - dalla cantina di suo padre e la convinsi a uscire per una cavalcata. Cavalcammo a lungo e quando fummo stanche ci fermammo a riposare ingollando sorsate di Chianti per calmare la sete. Forse fu colpa del vino o forse no, fatto sta che mi avvicinai a Pia e la baciai. Quella stupida vacca non si tirA2 indietro, credo non capisse nemmeno quello che stava per accadere. Le infilai una mano sotto le sottane e iniziai ad accarezzarla in mezzo alle gambe. Ma, come le spinsi dentro un dito, quella sembrA2 realizzare cosa era successo e iniziA2 ad urlare come un maiale allo scanno, cercando di articolare qualche frase tra i singhiozzi. Poi si alzA2 e fuggA?? via. Con il culone di Pia che si allontanava al galoppo, terminarono anche le mie gite a Martellago. Non la??ho piA1 rivista, ma ho sentito che la??hanno data in sposa ad un mercante di spezie. Mi domando come se la sbatta un mercante di spezie a una grassona come Pia. Credo ne trarrebbe piA1 piacere infilzandola con lo spiedo e bacchettandola col ginepro.
E dopo venne lei: la marchesa di Dubois, la donna che aveva reso la mia vita un inferno. La immaginavo nuda, distesa su quelle lenzuola di seta che amava tanto, sulle quali soleva trarre il proprio piacere, da sola o in compagnia. Amava il sesso, lo sapevo, e con il passare degli anni i suoi appetiti erano diventati piA1 spavaldi e insistenti. Si era fatta scopare da tutta Venezia, dal doge al ciabattino, stando a quanto si mormorava. Per quello che faceva la amavo e allo stesso tempo la odiavo profondamente. Non potevo sopportare la??idea che altri, alla??infuori di me, potevano darle piacere. Dovevo conquistare ad ogni costo la sua attenzione.
* * *
Era la??ultimo giorno del Carnevale e tutta Venezia era satura di una nauseabonda atmosfera di felicitA? e benessere. Tutti urlavano festanti, ingozzandosi come porci e applaudendo ai guitti che si cimentavano nel Volo della??Angelo. Scesi di buona??ora e mi immersi nella folla alla ricerca di un volto capace di farmi dimenticare per un attimo la mia carnefice, ma piA1 le guardavo e piA1 realizzavo che nessuna di quelle insulse baldracche agghindate a festa avrebbe potuto sostituirla. La??unico sollievo alla mia ossessione mi era dato dalle maschere: androgine BaA1te, cosA?? affascinanti nella loro asetticitA?, giovanotti travestiti da Gnaga e poi meravigliose Morette in velluto nero, talmente abili nel non lasciarsi cadere il bottone di bocca. E fu in quel frangente che
un lampo di genio mi attraversA2 la mente. a??Chiunquea?? pensai a??grazie a un buon travestimento, puA2 assumere una??altra identitA?.a?? CosA?? dal mascarero di calle delle Mercerie comprai tutto il necessario: una larva di gesso bianca, un tricorno e uno spesso tabarro di panno nero. Tornai di corsa a casa, fremendo nella??indossare quegli abiti. a??Meraviglioso!a?? esclamai rimirandomi allo specchio a??cosA?? travestita potrA2 avvicinare la marchesa non destando alcun sospetto sulla mia identitA?!a??
Consumai un pasto leggero e non toccai vino, dovevo essere lucida. Ordinai alla servitA1 di preparami un bagno caldo, con oli profumati al sandalo e cannella. Mi asciugai e indossai il travestimento. Ero pronta e al calar del sole uscii di casa. PiA1 mi avvicinavo a piazza San Marco, piA1 la folla si infittiva in un tripudio di maschere e di colori. I passanti berciavano di gioia, scambiandosi complimenti sui propri costumi e danzando sulle note di una musica gitana. Giocolieri e saltimbanchi si esibivano in complicati giochi pirotecnici. E lA??, in mezzo quella confusione, la vidi. Il costume che indossava andava al di lA? di qualunque mia aspettativa: un lungo peplo porpora con bordi dorati le ricadeva dolcemente fino ai piedi, cinti in calzari di morbido cuoio, i capelli acconciati in una lunga treccia, le ricadevano sulla spalla scoperta. Al suo fianco ca??erano due dame vestite allo stesso modo, una in verde e la??altra in bianco. Tutte e tre indossavano le maschere tipiche del teatro greco.
Mi avvicinai a loro e mi profusi in un pittoresco inchino. a??Dove andate cosA?? meravigliosamente vestite, mie signore?a?? esordii. Le tre si scambiarono dei sorrisi maliziosi, guardando lo sconosciuto che le aveva approcciate. La donna in verde prese la parola.
a??Buon cavaliere mascherato, eravamo qui, sole, sperando di incontrare un gentiluomo che potesse scortarci per queste strade. Sa, abbiamo timore che qualche sgherro ci possa aggredire, non che la cosa mi dispiaccia personalmentea?? ed esplose in una fragorosa risata che le fece tremolare la gorgiera che aveva al posto del mento.
a??Perdonate la mia amica spudorata, mio buon signorea?? sa??intromise la marchesa a??stanotte ha bevuto troppo e il vino le ha fatto dimenticare le buone maniere. Lasciate che mi presenti: io sono Erato, colei che suscita desiderio, Musa della poesia amorosa. Le dame che mi accompagnano sono invece Tersicore, Musa della danzaa?? disse indicando la donna grassa a??e Talia la festiva, Musa della commediaa??. I suoi occhi non smettevano di fissarmi. a??Di grazia sareste cosA?? gentile da scortarci fino alla prossima locanda? Siamo assetate e gradiremmo rinfrescarci con del buon vino.a??
Si avvicinA2 e mi sussurrA2 alla??orecchio: a??Se vi dimostrerete galante, vi ripagherei volentieri con egual moneta.a?? Il suo alito profumava del vino aromatizzato,
fruttato e speziato ai fiori di arancio. Avrei voluto baciarla lA??, seduta stante, assaggiare quella lingua che prometteva essere piA1 dolce della??ambrosia stessa.
a??Ma certo mie Musea?? risposi a??seguitemi pure. Conosco una locanda non troppo distante da qui, dove il vino A?N amabile e la musica inebria i sensi. Prego, vi faccio strada.a??
Arrivammo alla Leon, le feci accomodare e ordinai una caraffa di vino rosso. Di certo non era amabile e la musica era inebriante quanto quella che puA2 suonare un nano stando in piedi su un tavolaccio di legno. Ma le tre signore non si lamentarono nAc della??una nAc della??altra cosa.
a??Propongo un brindisi, amiche mie!a?? gridA2 Talia la festiva a??A Dioniso, padre della??ebbrezza, e al nostro cavalier galante che gentilmente ci ha offerto il frutto di questa ottima vendemmia!a??
a??A Dioniso e al cavaliere mascherato!a?? risposero le due in coro.
Inutile dire che la caraffa di ambrosia, nella quale galleggiava un capello, durA2 poco meno di una??ora. Tersicore e Talia, giA? ubriache , si alzarono e iniziarono a danzare al ritmo del violino del deforme musicista. La Musa grassa era talmente su di giri che prese in braccio il nano affondandogli la faccia tra le sue enormi tette. La??altra era seduta in braccio a un gigante tozzo e tarchiato e beveva vino dalla coppa di un altro. Se solo avesse saputo, la povera sciocca, che tipo di avventori frequentavano quella locanda, sarebbe schizzata via urlando e implorando pietA?. Ma era tardi e da quei due di pietA? non ne avrebbe di certo ricevuta.
La marchesa invece era rimasta lA??, si era sollevata la maschera e mi fissava. Seppure ubriaca, non lo diede a vedere, anzi aveva conservato tutto il suo contegno. Sorrise e mi si avvicinA2: a??Sembra, buon cavaliere, che le mie compagne mi abbiano lasciato sola. Non le biasimo, in fondo A?N la??ultimo giorno di Carnevale e da domani entrambe torneranno confinate nelle loro gabbie dorate, a servire uomini sordi ai loro desideri.a??
Fece scivolare una mano sulla mia gamba. a??Torniamo a noi piuttosto. Se la mente non mi inganna, ricordo di aver promesso una??adeguata ricompensa alla vostra galanteria. Certo avete barato, il vino non era ambrosia e la musica non era quella di una cetra, ma siete stato cortese e io, prima che il giorno nuovo segni la fine del Carnevale, voglio ripagare la vostra gentilezza. Vi mostrerA2 di quali atti peccaminosi sa macchiarsi la bella Erato, serva di Dioniso e Afrodite.a?? Mi prese una mano e se la
infilA2 tra le gambe. Un gesto che era preludio di quei segreti che troppo a lungo mi erano stati celati.
a??Conosco questo postoa?? proseguA?? a??concedetemi un lieve vantaggio, ordinate una??altra caraffa di vino e poi seguitemi su per le scale. La??ultima camera sulla destra sarA? la??alcova dei nostri piaceria?? disse alzandosi lentamente dal tavolo.
Feci come mi aveva ordinato e mi avviai su per le scale dopo aver gettato uno sguardo a Talia e Tersicore ormai prede dei satiri della locanda. Non so dire di preciso cosa provassi in quegli attimi, sentivo la testa pulsare e vorticare freneticamente e non per colpa del vino. Per un attimo le scale parvero tremare e le pareti scomparire, ma durA2 una frazione di secondo. Arrivai alla porta, girai la maniglia ed entrai.
E lA?? alla luce di una candela, unico baluardo a difesa della??oscuritA? che incombeva, ca??era lei. Era nuda, distesa sul letto. Le fiamme della candela vorticavano sul suo corpo. Si era sciolta la treccia e i lunghi capelli neri le ricadevano sulle spalle in morbidi riccioli, aveva seni grandi e sodi e i capezzoli scuri come la??ebano.
a??Allora, avete intenzione di restare fermo lA?? a fissarmi, mio Dioniso?a?? mi sfidA2 con un sorriso.
a??Mi concederA2 a voi mia Musa a patto che mi permettiate di non togliere la maschera. Almeno per oraa?? la provocai.
a??Acconsento. Spogliatevi ora, sA?? che possa ammirarvi.a?? Mi tolsi gli abiti e sciolsi la crocchia che mi legava i capelli. Non dimenticherA2 mai la meraviglia che si dipinse sul volto della marchesa di Dubois quando realizzA2 che ero una donna.
a??Siete stato malvagio, cavaliere, a nascondermi la vostra reale identitA?. Dovrei imporvi di andarvene per la vostra menzognaa?? disse fingendosi offesa a??ma non posso lasciare che un corpo cosA?? giovane e bello vada via, senza che lo abbia prima assaggiato. Venite qua, bambina.a??
La accarezzai piano, sentii i suoi capezzoli inturgidirsi fra le mie dita, il suo antro aprirsi ai miei baci. Quando raggiunse la??apice del suo piacere urlA2 talmente forte che per un attimo temetti che la stanza ci sarebbe crollata addosso. Mi distesi al suo fianco e le passai un braccio intorno al collo, mentre con la??altra mano impugnavo il coltello che avevo nascosto nel mantello.
a??Ora mia dolce fanciulla, mostratemi il vostro volto, sA?? che vi ricordi per sempre.a?? mi disse ancora ansimando. Mi tolsi la maschera. Immediatamente quello
sguardo, prima cosA?? carico di desiderio, si tramutA2 in una smorfia di orrore mista a stupore. CercA2 di dire qualcosa, ma il terrore le aveva attanagliato talmente il cuore che dalle sue labbra non uscA?? alcun suono. La pugnalai al ventre, una, due, tre volte. Sentivo il sangue colarmi lungo le braccia, una sensazione che mi eccitA2 a tal punto che seguitai a pugnalarla ancora, ancora e ancora.
Mi fermai ad osservarla. Il suo corpo giaceva in una posa innaturale, il sangue colava giA1 lungo il letto, formando una pozza scura sul pavimento di legno. La sua bocca era rimasta contratta negli spasmi della morte e i suoi occhi, ormai privi di vita, erano aperti e rivolti al soffitto. Ora non sarebbe stata piA1 di nessun altro. Mi avvicinai e baciai una??ultima volta quelle labbra che tanto avevo desiderato. Erano ancora calde.
a??Ti amo mamma.a??
Mi rivestii senza fretta, recisi una ciocca dei suoi lunghi capelli neri e la nascosi nella tasca del mantello, insieme al pugnale con cui le avevo dato il bacio della morte. Nessuno mi prestA2 attenzione mentre lasciavo la lurida locanda.
La??alba stava spazzando via le passioni e le sfrenatezze della notte e le calli di Venezia andavano pian piano svuotandosi. Dismesse le maschere della dissolutezza, la gente faceva ritorno alle proprie case a passi cadenzati, scanditi da un dolce rimpianto per i desideri lasciati incompiuti. La??aria fredda del mattino annunciava la??arrivo della Quaresima.