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Squarci > giovedì 10 novembre 2005 - #917
Polvere
Paola D'Agostino
Il tempo passa e resta. Maria Zambrano. Voglio un carico che mi faccia da zavorra, un elogio della pesantezza. Qualcosa che mi dia durata. Voglio scrivere una semantica della polvere, voglio provare a comporre una consistenza. Il racconto sarA? la narrazione del mio desiderio di trovare le parole. Ca??A?N movimento. Ca??A?N angoscia. Ca??A?N una ferrea volontA? di nominare. SarA? un racconto storico, la storia di una generazione affetta da a??sindrome di Ulissea??, la??Europa in costruzione, la mobilitA? orizzontale.
A??E per quanto ma??ingegnassi di mettere parole tra me e le cose, non mi riusciva di trovarne da??adatte a rivestirle; perchAc tutte le mie parole erano dure e appena scheggiate: e il dirle era come posare tante pietreA??. Calvino. Su una nuvola tutta sua. A??E vidi me impossibile a conciliare con il mondo intornoA??. Boom!
Sarebbe la storia di un tipo, Luigi Stop, anni trentasei, nato in provincia, in un punto qualunque della sterminata provincia italiana, che un giorno si sveglia e comincia a cercare qualcosa. Apre i cassetti, apre il cestello della lavatrice alla??americana, tira il coperchio della zuccheriera che fa da soprammobile, apre le finestre, apre la porta e se ne va.
Gli chiedono cosa cerchi, che ha perso, dove sarA?, ma lui non dice, cerca, sbircia, si guarda intorno, squarci di ragion veduta, segue una pista, determinato a trovare.
Sale in macchina, chiude lo sportello, apre il finestrino, saluta con la mano, e parte per la campagna. La macchina A?N un punto sempre piA1 piccolo, poi torna indietro, come in un videogame, la macchina A?N un punto sempre piA1 grande, finchAc parcheggia sotto casa, col motore acceso, sale a prendere una valigia gialla, la riempie e va via di nuovo. La macchina la vende al primo autogrill.
Sua moglie dirA? che A?N un egoista, sua madre lo chiamerA? irresponsabile, gli amici gli diranno che A?N un traditore. Hanno ragione tutti. Luigi Stop dirA? che non poteva fare altrimenti, e ha ragione anche lui.
La vita sistemata in valigia senza stirarla nAc piegarla per bene, Luigi Stop si fermerA? in una cittA?, grande, con le luci, e andrA? al cinema a vedere un film. Poi a teatro, ma vedrA? un assolo di danza. Alla fine dello spettacolo cercherA? un bar, chiederA? da bere e comincerA? a parlare con qualcuno del posto. Poi verranno gli amici di quello, e altri amici, e poi una donna, che Luigi porterA? al luna park. No, ho sbagliato, la porterA? a mangiare da qualche parte: ormai ci si vede solo per mangiare, per fisiche necessitA? non rimandabili.
Quando lei gli chiederA? di entrare in valigia, Luigi Stop andrA? via di nuovo, senza di lei, verso una??altra cittA?, ancora piA1 lontana, su un mare ancora piA1 grande, sempre con la valigia gialla alle calcagna. Sempre guardandosi intorno, con lo sguardo inquieto a procurare.
Mentre corre sulla spiaggia di sabbia, Luigi si scrolla di dosso un granello di qualcosa che punge, corre, respiro affannoso, e intorno gli danzano figure di donne e alberi snelli, e la notte gli vengono incontro sorrisi di chiacchiere a volte profonde, di posti lontani, lontani dove ca??A?N la??alba a sfidare il tramonto, e allora gli sembra di essere quasi arrivato a trovare la??oggetto del suo deambulare.
Gli arriva un lavoro, una donna, una storia, una casa venuta su bene, Luigi comincia a sentirsi piA1 stanco, cercare A?N un costante rumore di elettrici suoni a martello, la testa gli scoppia, non trova, non prova nemmeno a cercare.
DirA? che A?N stanco, di vagare, di vivere sempre in velocitA?, dirA? che ha bisogno di tirare via la vita dalla valigia e farla circolare in giro per un poa??.
Eccolo che si ferma, Luigi Stop, apre una sedia a sdraio e la posiziona sotto una palma o un albero di fichi, sotto una??ombra qualunque, sotto un tetto che gli fa fresco.
E si dimentica del primo giorno, della macchina, della valigia. E comincia lentamente a rimanere.

Dice lo Zanichelli alla voce polvere: A??Terra arida, in minutissime particelle incoerenti, che si forma al suolo e, sollevata e trasportata dal vento, si posa sugli oggettiA??; continua con una??immagine: A??mobili pieni di p.: (fig. indicando la polvere il disuso, la??abbandono, la scomparsa di antichi mondi e civiltA?)A??, quindi A??lett.: simbolo di sconfittaA??: e qui cita Manzoni, a??Il cinque maggioa??: A??Due volte nella polvere, due volte sulla??altarA??. (Come avrebbe detto il mio professore di storia, A??Con la Francia o con la Spagna, basta che si magna!A??).
Al dovere di citazione si aggiungono i miei ricordi da??infanzia. Oltre che un racconto storico, sarA? forse un racconto di formazione!
Finalmente la definizione mi si fa piA1 familiare, e il dizionario fa riferimento alla clessidra, dove la polvere ora A?N il tempo che passa, e che resta a indicarsi passato. Vedi Maria Zambrano, al primo piano. Voglio dire che se il tempo passa, e resta, quello che lascia A?N polvere, cioA?N A?N la polvere che solidifica e stratifica quel passaggio, rendendolo visibile, dandogli un corpo che andrA? in guerra contro un tubo aspiratore e sarA? ripulito dal mondo.
Continua lo Zanichelli: A??Nel linguaggio ascetico, le spoglie mortaliA??, da cui la minaccia biblica della polvere: A??Polvere sei e polvere diventerai (Magari! a??g dico io)A??. Allora aveva ragione Petrarca? Veramente siamo A??polvere et ombra?A?? O A??dolore e noia la vita, mai nulla, e fango A?N il mondoA??, alla Leopardi? Comunque no, la polvere non A?N la??oblio, non credo, non mi va. Semmai il contrario.
La sindrome di Ulisse dice che il male del nuovo secolo A?N il desiderio di appartenenza che si sgretola nella dislocazione, sono le radici che franano nello sradicamento, A?N il silenzio che prende fiato nella lingua dello spaesamento, non A?N piA1 la??emigrazione della fame, A?N il vagare di una sete di conoscenza, A?N il mare che culla un desiderio di casa, dovunque si decida di mettere casa. In mezzo a questo turbine, la polvere A?N un sedimento, il tempo, una durata che si posa sulle cose.
La sindrome di Ulisse, malattia del millennio: il trasferimento di competenze diventato legge di mercato porta con sAc il trauma della??abbandono costante. Il movimento A?N diventato un istinto compulsivo. Coazione a ripetere. Conosco la sindrome, Luigi Stop.
Ho vissuto per anni secondo la capacitA? di peso di una Roncato rigida, senza far mai in tempo a vedere la polvere sul manico. Andata e ritorno e poi andata, senza mai tornare sulla stessa zattera della partenza. (Ora siamo al romanzo autobiografico, ma non metterA2 date nel titolo, anche se vende di piA1).
PerchAc la polvere? PerchAc nelle categorie che abbiamo ereditato dalla mistica cristiana, la polvere A?N la morte, il ritorno al corpo nella sua accezione piA1 bassa. Il corpo della vergogna, il nemico della??anima. La carne soggetta a decomposizione, a data di scadenza, contro la??eternitA? della??anima e la sua pulizia et(n)ica.
Allora devo per forza ripensare la polvere. La memoria. La permanenza nelle cose, lo stare come resistenza alla necessitA? delle migrazioni. Il rimanere. La certezza del quotidiano: la polvere A?N un esporsi alla durata, e non A?N affatto una debolezza, semmai il suo contrario. Un piacere che si impara con la??etA? adulta.

Peter Handke. a??Elogio della durataa??.

Elogio della polvere contro il a??nuovo che avanzaa??. Pietro Ingrao era molto meglio di Berlusconi.
Del resto, il revisionismo a??rispolveraa??, mentre la??etica ha un legame con la memoria. La polvere non A?N la??oblio, anzi il suo opposto speculare.

In ogni viaggio ca??A?N un desiderio di polvere come se fosse una funzione vitale. Una necessitA? inconfessata di poter riposare, di fare casa. Di smettere la navigazione.
Particelle incoerenti. Che a volte si posano su un certo suolo.
Polvere.

Avere una figlia e chiamarla Alice. Alice nel paese delle meraviglie. Un mondo fatto di isole a cui tornare.
Ulisse.

Siamo davvero polvere, ma da vivi.
Non a caso John Fante, figlio di emigranti, scrisse un libro che si chiama a??Chiedi alla polverea?? e che si chiude alla??inizio di un deserto. Ca??A?N da pensare...