Dopo che la disgrazia la??ebbe trovato (la sventura
annunciata) restA2 muto, in attesa che il tempo lavorasse.
Scrisse a volte, come venivano parole, cercando
e spiegando, forse per consentire
una risoluzione a se stesso. Ma non A?N concepibile che si
nasca, e non A?N spiegabile che si muoia.
SentA?? lo smisurato farsi urgente e incombere sotto
la??aspetto di cielo. Sapeva che i turni vanno rispettati e
peraltro, come tutti, credeva di dover vivere. Attese
a familiari, semplici devozioni.
Ne diffidava, trovandosi nella devastazione, ma vi si
affidA2.
La casa era ormai vuota. Dunque la svuotA2.
La casa a cui apparteneva, la??aveva lasciata da tempo, ma
si avvide di lasciarla di nuovo.
E tutto era giA? accaduto.
Ma tentA2 di salvare significati nel corpo delle cose,
e, non badando a spese, conservA2 casa per qualche mese.
Le operazioni di trasporto dei grandi oggetti furono
affidate a estranei, che li fecero a pezzi.
AssistAc alle distruzioni. Dentro ebbe sfasci e rovine.
Ma progettava di salvare il grande e il piccolo. Qualche
mobile dotato di personalitA? e di milioni di ricordi,
qualche piccolo oggetto, di altrettanta potenza.
Qualcosa, non volendo, andA2 perduto o rovinato nella
catastrofe.
Per custodire cose in una cittA? lontana percorse
grandi distanze. Ogni giorno tornA2, ordinava i resti,
selezionava, portava via.
Nelle stanze lo accompagnava la??eco dei passi. Guardava
da finestre e balconi. Gli tornavano prospettive di perdita.
Conservava ciA2 che non abbisogna di spazio; peraltro
quasi non distingueva piA1 ciA2 cha??A?N materiale. Realizzava
sempre piA1 la stranezza del consueto, e
la??autentico mistero del tempo.
Nella casa, si soffermava sempre per pochi secondi a
guardare il luogo del passaggio.
Qui fu deposto, fino agli
ultimi giorni,
un piccolo, fragile vaso di vetro, con qualche fiore. Poi fu
portato
con estrema cura
in salvo.
Gli ultimi pacchi si ammucchiarono nella stanza
da??ingresso.
In attesa di salvezza, gli ultimi quattro mobili. SalutA2
la montagna e il mare. Volendo conservare
la possibilitA? di vederle, ancora fotografA2 le stanze vuote.
Nella sua casa, gli oggetti aumentavano. Divenne una
centrale operativa del ricordo. Si dedicA2 per breve tempo al
riordino dei documenti da conservare. Tutte le pratiche
furono risolte, gli adempimenti vennero sbrigati. La nuova
casa mutA2 per effetto della??antica.
La mente ospitava dettagli tornati in essere.
Fu la volta del rame, della??ottone, degli alluminAR. Una??antica
caldaia fu ripulita e risplendeva nella luce, la??altra fu riposta
in attesa.
I catini smaltati venivano
richiesti da altri ma furono conservati. In quei giorni
la??inutile assunse una vera importanza.
La tinozza zincata in cui da piccolo faceva il bagno fu a sua
volta custodita, e il logoro cestino di vimini, che dicevano
culla dei primi giorni.
Operazione difficile e paziente, il riordino delle foto. Il
passato ribolliva e riemergeva, insidioso come sempre il tempo
che ritorna, un animale magico, un drago. Cercava di rabbonirlo,
parlandogli, ma restava in guardia. Le immagini gridavano e
tumultuavano. Qualunque aspetto, per quanto insignificante,
faceva resistenza e richiedeva considerazione e cura.
Dicevano: non puoi disfarti di me, io sono te: se mi distruggi,
anche tu svanirai (non poteva evitare di pensare che, peraltro,
quelle stesse cose gli potevano sopravvivere, purchAc altri
le curasse).
Una sera di quiete, le figure di sconosciuti lo riportarono
indietro, oltre il secolo. TrovA2 i nomi e li identificA2. Alcune foto
resistevano. GuardA2 e confrontA2. A volte si dichiararono, e
la??occhio cucA?? relazioni.
Una specie di ricompensa. Immagini perdute per sempre
tornavano. Incredibili attimi precedenti la sua nascita. Innocenti:
madre e padre, e le loro madri e i padri, palpitavano alla luce,
in una ingiallita parvenza, eppure in un loro attimo di vita.
Forse la vita, come per la??antico sapiente, A?N una processione
di figure in uno specchio.
Sospese il riordino delle foto.
Erano trascorsi piA1 di due mesi.
Vide la compassione e il nulla. Stava forse entrando in
convalescenza.
PotAc finalmente ammalarsi.
Gennaio 2008