L'invenzione dello zero
Francesco Fillini
L'invenzione dello zero di Francesco Fillini
Gli Scacchi, 2006
88 pagine
Poesia
9788895007045

L’invenzione dello zero, come risultato algebrico, come scoperta teorica, come segno discriminante tra due scale di opposti, è il titolo del libro di poesie di Francesco Fillini. L’autore sembra interessato a definire come luogo del suo atto poetico un intervallo, uno spazio interstiziale. La poesia avrebbe esistenza dunque fra le contiguità (complementari o contrarie) dei fatti, delle cose, delle logiche sintattiche e semantiche. A volte lo spazio è ridottissimo, una luce tendente a zero, appunto.

Apparizione e sparizione, esistenza e inesistenza della poesia che, quasi, come nei versi d’apertura, non dipendono dall'autore.

In ogni piccolo componimento - ché evidentemente l’inclinazione è epigrammatica - non si procede per immagini, ma l’immagine stessa è, o il nucleo compresso fra le contiguità di cui sopra, o l’intera poesia, come se le contingenze foriere della medesima rimanessero taciute.

La scrittura di Francesco Fillini è quasi geometrica (paradigmatica la sezione calcoli). Una singolare seducente geometria acquisita da una lingua piana e razionale.
Su Francesco Fillini
Metà degli anni della sua vita li ha vissuti a Piombino, il resto a Pisa.

Si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia per laurearsi in "filologia italiana", ma non ha mai terminato la tesi di laurea.

Nel frattempo ha fatto diversi mestieri e adesso lavora in un albergo come portiere di notte.

Ha collaborato con qualche rivista cinematografica per il gusto di scrivere di cinema; per il puro gusto di scrivere, invece, ha pubblicato un libro di poesie.
Collana Gli Scacchi
Fare poesia è giocare col tempo; è un gioco di pazienza, un corteggiamento, una guerra.
Fare poesia è muovere parole sulla scacchiera dei vuoti e dei pieni: la pagina bianca, le parole nere. Fare poesia è giocare col tempo, contro il tempo, (re)inventandolo a proprio favore: è un gioco di pazienza, un corteggiamento, una guerra. Trovare la parola "giusta", "quella parola", che a(ni)ma il silenzio, è uno scacco (matto...e folle!) ai Re e alle Regine. Fare poesia è stare soli con le proprie pedine, ascoltando(si), in mezzo al frastuono del mondo.