Squarci | mercoledì 28 dicembre 2005
Luciano Zaami
Cimitero
Il numero delle volte che la punta della pala stanca trafigge la terra sabbiosa e secca, oramai si è perduto. A seguito di un colpo secco del braccio, una manciata di terriccio rosso s’innalza al cielo e ricade nella fossa andando a coprire la bara.
L’uomo che regge la pala ha gli occhi incassati nel cranio e due occhiaie nere attraversate da fasci di rughe. Le mani magre, ossute, le dita ingiallite dal tabacco e dal tempo.
Di fronte a lui, con i palmi e la testa poggiati sull’estremità di un piccone, un altro uomo lo fissa.
Anch’egli scarno, stretto in una camicia bianca e rattoppata, osserva l’ipnotico movimento della pala mentre ascolta il tonfo della terra che ricade nella fossa.
Sulla fronte appaiono alcune minuscole goccioline di sudore, segno della fatica appena compiuta.
- Era da tanto che non si vedeva un funerale così.
- Già, proprio da tanto. Finalmente qualcosa di serio.
- Sì, tutta quella gente che piangeva, non vedevo qualcuno piangere da anni!
L’uomo con la pala accenna una smorfia, ma solo chi lo conosce bene può affermare che sia un sorriso.
- Al giorno d’oggi sono tutti sempre così composti, chiusi nel loro dolore. Li vedi silenziosi con gli occhi gonfi a cercare di trattenere le lacrime e la disperazione. A che fine dico io? È un funerale! Se non si piange ad un funerale, quando allora?
- Già, e chi li capisce?
Le cime scure dei cipressi si piegano spinte dal vento: l’ultima brezza estiva sembra annunciarne la fine e l’arrivo dell’autunno.
Nel cielo rosso tre corvi gracchiano neri roteando nel vuoto.
Per via di quel discorso, l’uomo, per non perdere il ritmo, è costretto ad imprime col piede più forza sulla pala.
- Una volta sì che era un’altra cosa! Ma ti ricordi? Tutti quei bei vestiti neri, che eleganza. Allora non si era spettatori, ma attori! Un funerale voleva dire partecipazione! E poi c’erano i cavalli, le carrozze.
- E quanta gente piangeva, e più si piangeva più si gridava. Guai se non strillavi! Allora sì che erano dolori…
- Ricordo che quando i pianti erano forti, si arrivava sempre al punto in cui non capivi più se stessero piangendo o festeggiando. Corpi che si dimenavano, mani che colpivano i visi, urla!
- Ti ricordi il funerale del Barone Russo?
- E chi se lo scorda? La Baronessa ha fatto tanto di quel chiasso che, a un certo punto, quasi mi sono detto: “Suvvia, che mai le sarà successo? In fondo è solo un funerale.”
- Già, mai visto nessun altro fare così, e con lei tutta la famiglia: figli e nipoti, zii e parenti lontani. Anche i vicini, per non sembrar da meno, si strappavano i capelli e svenivano all’improvviso.
- I tempi sono cambiati, ma per fortuna c’è sempre qualcuno che muore. E questo è stato proprio un bel funerale. Com’è che si chiamava?
- Marta credo. Era giovane.
- Giovane lo era purtroppo… non si è mai abbastanza vecchi per morire. Un giorno sei qui convinto di poter conquistare tutta la terra e, in un altro, ti ci ritrovi seppellito dentro.
- L’eterna ruota gira instancabile. Tutti cercano di avere una vita diversa, originale… che segua strade sempre nuove, differenti, ma - vuoi o non vuoi - il finale è sempre quello: un bel cappotto di legno e due metri di terra sulla testa.
- Beh, sempre meglio di niente.
Sul viale si odono dei passi, qualcuno sembra avvicinarsi.
- Arriva qualcuno, chissà chi sarà.
- Che dici, glielo chiediamo?
- Vuoi proprio?
- Sì, dai, in fondo che ci costa?
- Va bene, ma questa volta fai parlare me.
Avanza un uomo distinto, il viso nascosto da baffi sottili, al di sopra piccoli occhietti neri, un cappello grigio, in mano solo un mazzo di fiori.
Giunto davanti ai due uomini, l’uomo con la pala domanda:
- Ci scusi, Signore.
- Sì, dite.
- No, nulla, solo una domanda.
- Dite.
- Ma, Lei, crede ai fantasmi?
- Che domanda, ma no! Certo che no!
- Ah, ci dispiace, è davvero un peccato.
E proprio in quel momento i due uomini scomparvero e con essi la pala e il piccone.