Poesie | venerdì 11 agosto 2006
Domenico Ingenito
Non ora
No, non posso dire che questo sia il verso,
la casa, la terra, il fuoco che alimento.
Non schiude nell’ora il fiore del mio tempo,
adesso che mi vedo, rapido nel sonno.
Non è fede la terra che ben conosco, solida
Si disfa adesso, che mi elevo smarrito, ancora.
Arida la stanza lo specchio dei miei cari
Non mi vedo nel buio, solo questo io so.
No, non sono radice che urla e si esalta
Nell’inno di un tempo che volga la mia parte
E’ la voce, che resta, adesso la mia strada
Solo i fuochi io accolgo, nel paese che dorme.
Non sento la voce nella primavera di un popolo
È la notte che tace, il verso nero del fervore
Non è l’inno che m’innalza, la nazione che mi prende
Sarà la terra mia iniziata, un mare scosceso
Oltre il mare.
Esili tristi e ridenti, solitarie città
Ti rivedo città di un ricordo rovescio
Se muovi nel giorno dove tutti uno ad uno
Saremo i tuoi cari, ad occhi chiusi le mani tra le mani.
Io non dico il confine se non l’epoca estrema
E strana, amara risuona, ti cedo la parola
Nella lingua, quell’altra, se non nel centro, in principio.
Torrido paese, di una strana bandiera, che brucia al mio passo.
Io amo la polvere disperata polvere di un canto più antico
Io amo le case azzurre case di una notte profonda
Io amo la voce luminosa voce di una terra più amara.
Io amo il verso solitario verso di un senso che resta:
Confuse le lingue, le terre, dove ci siamo, già persi?
No, non ora è il mio tempo, nella terra che non conosco
Non è questo il volto, o specchio, dei miei anni.
No, non è bianca la memoria dove l’azzurro si accende.
No, non è estranea la voce, se mi volto
e ora sì,
vado via,
disperato.