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Da Kyoto > martedì 3 gennaio 2006 - #17
Il Cinema taoista di Alessandro Mavilio
Francesco De Sio Lazzari
Il testo che segue A?N il risultato di una lunga conversazione con Alessandro Mavilio, ex studente della??Istituto Universitario Orientale di Napoli, laureato in a??Lingue e civiltA? orientalia??, studioso di lingua e letteratura giapponese e attualmente lettore presso alcune UniversitA? giapponesi del Kansai.
Nel 2004 Alessandro Mavilio ha iniziato una??interessante sperimentazione che si muove tra cinema e documentario, ispirandosi, in qualche modo, alla??antico testo cinese attribuito a Lao Tse: il Tao- Te- Ching, il celebre a??Libro della Via e della VirtA1a?? (dal quale sono tratte le citazioni contenute nel testo).
Le parti in corsivo sono le risposte dello stesso Mavilio ad alcune domande che gli ho posto.Francesco Lazzari, 2005


Un bel CD raccoglie gli Street Movies di Alessandro Mavilio, storie girate in strada, con gente comune, che non sa di essere oggetto di una ripresa.

Questi brevi film dimostrano che si puA2 fare un film su chiunque, con chiunque.A?

Basta sapere dove caricare di sensazioni, e come agganciare lo spettatore, stimolare il suo interesse e la sua sensibilitA?.

Alessandro Mavilio non ama la "scena artistica": questo A?N evidente. Per una persona come Mavilio, la a??scena artisticaa?? A?N piena di persone che per emergere devono sottrarre energie al processo creativo.A?

E spesso i riconoscimenti mondani sono solo il risultato del rispetto di codici sociali ben precisi, o di una particolare bravura nelle relazioni, e perciA2 durano una settimana e poi sfumano via... Nessuno ricorda piA1 la??opera e il premiato.

Ben diversa la??ispirazione di questi brevi film di Mavilio. Sono opera di un solitario, che ha lasciato la??Italia per il Giappone, dove vive insegnando italiano a Kyoto. Nel tempo libero dal lavoro Mavilio gira per le strade con camera, cavalletto e occhio attento. La sua sensibilitA? gli permette da??intuire e di cogliere, nei prevedibili pattern quotidiani della gente comune, le intense sfumature di un viso, o i movimenti di un corpo, carichi di messaggi che spesso nessuno coglie.

Gan, uno dei cortometraggi di Mavilio, A?N parte di una tetralogia dal taglio sperimentale, ed A?N lo Street Movie per eccellenza, almeno nella sua visione di "film della strada, film taoisti". L'attore (un avventore ovviamente inconsapevole) A?N stupendo, una figura singolare e potente. E il filmino A?N un piccolo miracolo. Gan significa "cancro", ed A?N il titolo di un famoso romanzo giapponese.A?

Mavilio ha estrapolato da una ripresa irripetibile un "piano-sequenza" di ben cinque minuti, con un uomo in movimento (e non con a??materiale inertea??), mentre la camera ha fatto le necessarie carrellate lineari e curve in quasi perfetta simbiosi con l'attore.A?

L'attore va verso casa, e il suo andare in bicicletta A?N scandito da una serie di pensieri. Parla di una infermiera grassa, dice "tutti sono stati gentili con me", pensa a come organizzarsi la vita una volta rientrato nella propria abitazione. Soltanto con la??ultima battuta si scopre che A?N destinato a morire entro poco tempo, e questa scoperta getta una luce nuova su tutto ciA2 che si A?N visto nelle sequenze precedenti. Sembra di intuire che - seppur nella finzione filmica - le cose non siano andate come il protagonista le ha ricordate, ma cha??egli sia in una condizione psicologica tale da voler vedere gentilezza anche dove non ce na??A?N stata.A?

Nelle brevi scene di cui A?N fatto Gan, le semplici didascalie a??g che scandiscono il ritorno a casa dalla??ospedale a??g sono un rivivere la??esperienza della malattia e della??ospedale cercando di cogliervi un segno positivo: umano, e patetico, tentativo di negare che la morte sta venendo.A?

Emerge in Gan - dai discorsi un po' a vanvera e un po' infantili, simulazione del flusso di pensieri - una persona alla quale lo spettatore si lega in pochissimi minuti. E sarebbe stato meno interessante un filmino dove il protagonista non facesse altro che dire "come sono triste, morirA2! PerchAc io?".A?

Con tocchi leggeri, Mavilio dA? tutta la consistenza di un dramma. Senza disperazioni, senza magniloquenza. Immagini, poche parole, la veritA? finale, e si puA2 vedere una seconda volta Gan con la sensazione che sia un piccolo dramma, essenziale nella sua estrema sobrietA?, perchAc isola quella??unica sequenza densa di significato, importante sia per il protagonista che per i suoi spettatori, risparmiando inutili prologhi ed epiloghi.

Gan ha uno strano inizio, complice la musica molto bella: Oborozukiyo [Notte di luna pallida] di Nakashima Mika.A?
Ca??A?N una lunga inquadratura di una macchina bianca. All'inizio, questa sosta sulla macchina bianca puA2 apparire immotivata, e puA2 stupire o stancare lo spettatore abituato ad altri ritmi, a lungometraggi che aderiscono a manierismi ormai affermati o a cortometraggi che lottano contro i limiti imposti dal tempo. In realtA? a??g mentre la musica, prima di entrare nel suo fuoco, ha una lunga introduzione a??g Mavilio non aveva altro da filmare in quel momento. Filmava la macchina bianca perchAc a??non aveva altro da filmarea??. Molti film di Mavilio, infatti, tradiscono un inizio che A?N preparazione alla visione e alla ripresa stessa. Come se regista, camera e spettatore avessero bisogno di un tempo per calarsi nella modalitA? necessaria alla a??visionea??, alla corretta apertura al mondo reale, alle sue vicende, ai suoi drammi. Quando ha iniziato a filmare Gan, lo stesso Mavilio non aveva ancora visto lo sfondo nAc si era accorto dell'attore in bicicletta. Soltanto dopo molti secondi arriva nel quadro il protagonista, una sagoma lontana e curva che sembra reclamare attenzione, fuoco, quadro.
Poi, comincia una lunga e lenta carrellata verso sinistra. Carrellando cominciano i sottotitoli, ma ancora non si vede nessuno nel quadro. Ca??A?N quasi un attimo da??incertezza, di smarrimento, che rende piA1 efficace la??inizio della storia, la ricerca della storia. Si capisce al volo che chi parla (pensa) A?N quella piccola silhouette in bicicletta, sullo sfondo, dall'altra parte del fiume. Da quella silhouette, colta al suo primo apparire, si sviluppa tutto il film (a??Percepire ciA2 che A?N piccolo vuol dire avere la visionea??, cap. LII). Ea?? una lenta carrellata di quasi 50 metri, che segue alla stessa velocitA? un elemento a piA1 di cento metri, con un largo fiume di mezzo! Per 50 metri camera e attore hanno avuto la stessa velocitA?.
Con questa lenta carrellata si capisce che ci si trova di fronte a un film dove almeno la camera segue, o cerca di seguire, le consuetudini del vero cinema.
Quando l'attore si muove sulla salita, anche la camera lo segue. Quando arriva al ponte e fa per attraversarlo, la camera si ferma per riprendere il protagonista, in una prospettiva accidentale, mentre percorre il ponte. La pausa nella carrellata a??g dunque la??assenza di un movimento di macchina - permette allo spettatore di concentrarsi sul testo, la storia del protagonista.

Mentre la musica suggerisce in diversi punti, e sottolinea alcuni passaggi, il protagonista arriva finalmente vicino alla camera, col suo viso stupendo. L' "attore" su cui lavora Mavilio A?N uno sconosciuto realmente pensieroso e preoccupato per qualcosa. Quando A?N fermo all'angolo di strada, lo si puA2 vedere che muove anche la bocca come se dicesse a se stesso alcune parole: pensieri troppo forti per essere trattenuti...
Sempre con lo splendido sottofondo musicale di Nakashima, comincia un'altra carrellata, stavolta semicircolare, mentre il protagonista fuma una sigaretta nella mattina fredda. La carrellata circolare amplifica le azioni vuote della??attore, la momentanea mancanza di pensieri-sottotitoli, i suoi gesti, e fa vedere lo sfondo, il fumo di sigaretta in controluce, la verde e bella natura di Kyoto e soprattutto... permette di notare che l'attore, dopo aver fatto un tratto in salita in bici e fumando, si A?N fermato all'inizio di un tratto in discesa, dove la strada A?N libera. E' chiaro, pur nella??assenza di parole, che egli A?N stato preso da qualche pensiero particolarmente grave.
In Gan si ha spesso la sensazione di essere soli con il protagonista nonostante i movimenti di macchina, la presenza di una strada affollata e altre figure nel quadro. Mavilio A?N riuscito a ospitare attore e spettatore sullo stesso mezzo, a isolarli dal a??rumorea?? circostante. Le lunghe e complesse carrellate, tanto importanti per la??effetto generale di Gan, non erano per nulla controllate da Mavilio che viaggiava a bordo di un autobus municipale. Tuttavia questa singolare e inattesa sintonia tra scena, attore e movimento fa dire a Mavilio che il suo A?N un a??cinema taoista".A?
Non si dice al mondo che cosa deve fare, ma si filma il mondo mentre le cose avvengono. E poi, al limite, si ritocca qua e lA?. Senza mai fare violenza alle immagini.A?
(Ma su ciA2 si tornerA? in seguito, per qualche riflessione sulla fase del montaggio e del lettering...)
Mavilio A?N bravissimo nel cercare di cogliere ogni particolare nell'attore e nello spazio in cui si muove, ogni dettaglio che possa aiutare a capire chi potrebbe essere e che cosa potrebbe raccontare. Utilizza la geografia dei posti, la strada che i protagonisti percorrono e come la percorrono, per aiutare le immagini originali a imporre alla nostra attenzione il significato che esse portano comunque con sAc.
Quando il protagonista di Gan attraversa il ponte, egli incrocia un'altra bicicletta. Spesso i marciapiedi dei ponti sono stretti, e due bici non possono sfrecciare senza che una della due si fermi. Non ci sono regole, si ferma chi ha meno fretta, chi A?N piA1 impacciato o piA1 debole. Il protagonista di Gan si fermA2, e questo particolare, nella fase di montaggio, mi ha aiutato a capire che tipo di persona potesse essere, per cucirgli una storia addosso. Fu il momento della??illuminazione. Ecco la storia avrebbe potuto essere questa ...
In alcuni momenti, sembra che Mavilio filmi gli uomini nella cittA? cosA?? come si dovrebbero filmare gli animali in una foresta o in una savana della??Africa. Ne L'anatra questo tipo di sguardo A?N particolarmente accentuato.A?
Il regista si avvicina piano piano a due ragazzi senza che essi ne siano infastiditi e senza che modifichino il loro comportamento. I dialoghi sono quelli originali.
Se si sa come fare, le tigri non ti assalgono e, anzi, vengono a partorire i cuccioli sotto la tua telecamera. PiA1 taoista di cosA???
Itami A?N un esperimento nell'esperimento. Itami A?N il nome dell'aeroporto cittadino di Osaka, ma "itami" in giapponese vuol dire anche "dolore".A?
Mavilio filma una??amica (una persona consapevole della sua presenza e della sua telecamera) cosA?? come avrebbe filmato una sconosciuta, secondo il clichAc dei suoi film taoisti: improvvisando - con la??attrice sempre di spalle, in controluce, facendo vedere poco il viso e molto di piA1 l'ambiente circostante. In questo modo, chi dall'inizio ha creduto di vedere il solito street movie rimane stupito quando, alla fine, la ragazza non solo sorride al regista, ma addirittura gli oscura l'obiettivo.
Dal punto di vista di Mavilio, Itami A?N la prova che esiste un modo non violento, non esigente, per filmare le persone e trarne una storia, anche se - e persino se -sono consapevoli della ripresa. Se una persona A?N consapevole della ripresa, ciA2 non vuol dire che debba essere filmata nello stesso modo in cui, da sempre, si riprendono gli attori in senso stretto.A?
Splendido, infine, La mano di Asadoya. Kouta, il protagonista maschile, A?N una figura eccezionale, e Mavilio A?N in stato di grazia. Ea?? una storia allegra, straziante, e di grande delicatezza.A?
Il film ricalca la??antica vicenda di Asadoya, una ragazza di Okinawa che osA2 rifiutare uno sposo promesso e ricco per un amore vero ma non degno di lei. Ea?? un piccolo capolavoro di questo cinema a??taoistaa??.A?
Senza nulla fare, si fa il film. Solo osservare (e filmare) e permettere una qualche relazione tra due o piA1 elementi.
Si A?N accennato, piA1 volte, al cinema a??taoistaa??. Mavilio osserva che, mentre si puA2 parlare di cinema buddhista, non si parla di cinema taoista. C'A?N il cinema cinese, quello di Hong Kong, un certo cinema pornografico che, per suggerire la presenza di attrici cinesi, usa talvolta il termine a??taoistaa??, ma non esiste un cinema taoista che si basi realmente sui dettami di tale tipo di filosofia. Mavilio ha coniato il termine scegliendo DOEI, che in giapponese, lingua del Paese in cui opera, vuol dire proprio "cinema del Tao", ma anche a??cinema/film/riflesso/luccichio/rivelazione della strada", perchAc Tao A?N "la Via, la strada".A?
Tutti i brevi film di Mavilio, nella loro povertA? di mezzi, nascono infatti per strada, e della strada intendono esaltare la ricchezza. Il suo stile A?N quello che il Tao-te-ching definirebbe della a??visione sottile": a??Questo A?N ciA2 che si chiama una visione sottile: il molle e il debole vincono il duro e il fortea?? (cap. XXXVI, ma vedi anche il cap. XL: a??La debolezza A?N il metodo della Viaa??).A?
Minimi ma efficaci i movimenti del regista, e la sua presenza ... equa, discreta, non invadente. Mavilio riduce al minimo la propria azione. Non A?N un regista nel senso occidentale del termine, e neanche come tanti registi orientali di taglio occidentale. Egli sembra persuaso che a?? talvolta gli esseri subiscono un accrescimento grazie a una perdita, talvolta una perdita a causa di un accrescimentoa?? (cap. XLII). E diventa cosA?? un regista che a??non agiscea?? (cap. XLIII). La sua pratica di regista lo conduce a a??diminuirsi ogni giornoa?? fin quasi ad arrivare a una sorta di a??non-agirea?? a??g e si sa che a??non agendo, non esiste niente che non si facciaa?? (cap. XLVIII).
I suoi film, brevi e preziosi, rivelano tutte le potenzialitA? di un tipo di riprese che seguano la??andamento della vita, in un determinato momento e luogo. Egli dice cheA?
Il mondo A?N dinamico e risponde in misura precisa alle nostre azioni fisiche ma anche a quelle "mentali". Un regista vero e normale vuole, chiede o pretende che quel bambino si muova cosA??, che una donna faccia quel gesto, che nessun camion si fermi davanti al soggetto. Il cinema a??normalea?? richiede il totale controllo sulla realtA?.

Taoisticamente, Mavilio non vuole e non ha bisogno di questo controllo, perchAc con la sua a??visione sottilea?? mira a fare - del tempo delle riprese - un momento di concentrazione e di esercizio spirituale. E solo del tempo del montaggio e della scrittura dei sottotitoli un momento di creativitA? effettiva.
La differenza tra me e un regista a??normalea?? A?N certamente la mancanza di soggetto e sceneggiatura. Io non posso neanche avere una idea di base. Ho dunque bisogno di iniziare la registrazione dopo aver raggiunto un notevole vuoto di fine. Tutte le volte che ho sperato di riprendere un nibbio al fiume non la??ho mai trovato. Tutte le volte che ho sperato che una vecchietta cambiasse strada a favore della telecamera non lo ha mai fattoa?| Tutte le volte che in fondo al cuore non ho mai davvero avuto alcuna richiesta ho assistito io stesso a piccoli miracoli.
Per chi non ha copione, la fase del montaggio sembrerebbe dover essere assolutamente essenziale per tagliare gli elementi di disturbo o le riprese venute male. Ma secondo Mavilio nessuna immagine, in realtA?, A?N di reale disturbo, o incoerente rispetto alla storia, purchAc non si abbia nessuna visione "violenta", pre-stabilita, rigida, del risultato finale. Tutte le immagini sono buone, se si sa accoglierle e leggerle a fondo.
Con la sua camera Mavilio si trasforma in occhio, puro occhio che osserva, quasi avesse raggiunto, in alcuni momenti, a??il vuoto estremoa?? (cap. XVI). Non cerca di controllare le cose, ma le registra mentre fluiscono. Non si oppone allo sviluppo naturale di una situazione, ma si limita a seguirla, come se si fosse svuotato del proprio io. Si potrebbe dire cha??egli riprende con la camera a??in conformitA? con la Viaa??, perchAc a??sa??identifica con la Viaa?? (cap. XXIII)
Certo, rispetto a un punto di vista che sia rigorosamente taoista, la fase del montaggio pone invece un grosso problema. Se le riprese sono aderenti alla realtA?, e fissano alcuni momenti del suo fluire, il regista interviene necessariamente per ridurre il filmato e ricondurre il materiale entro determinati limiti.
Nel montaggio mi limito spesso a tagliare le parti che giudico ridondanti. E con questo sto attento a non uniformarmi a una precisa maniera: se ca??A?N da annoiarsi, lascio che il film annoi. Se ca??A?N da stupirsi, lascio che lo spettatore si stupisca. Tuttavia, combattuto tra una sorta di rispetto per i miei attori e una sorta di benevolenza per i miei spettatori, mi trovo spesso al cospetto di bivi imbarazzanti. A sbrogliare la matassa, anche nella fase del montaggio, interviene spesso una specie di visione salvificaa?| Tecnicamente, posso solo dire che tra un taglio e la??altro mi impongo di usare sempre spezzoni nel rigoroso ordine cronologico originale. Poeticamente, lascio che i miei attori prendano vita sul a??previewa??, il piccolo schermo col quale monto.
CiA2 vuol dire comunque condensare la storia, scegliendone alcuni aspetti ed eliminandone altri. E certamente questo tipo di operazione non appare strettamente taoista. Ca??A?N rispetto della vita nelle riprese, ma ca??A?N un qualche intervento sulla vita e il suo fluire, nel montaggio e nella scrittura dei testi. La proposta di Mavilio resta comunque di grande interesse, e dovrA? misurarsi a??g prima o poi a??g anche con questa (innegabile) contraddizione ma giA? sembra mostrarci unaa?| strada percorribile per reinterpretare immagini quotidiane e farne piccoli capolavori.
Fantasia e creativitA? (la??intervento umano, insomma) non mi sembrano attivitA? in contrasto con la Via. Per quanto mi riguarda, i miei interventi sul girato e sul montato seguono comunque un fluire naturale: credo di aggiungere elementi alla stessa maniera in cui li sottraggo dalla materia fondamentale a mia disposizione: le immagini e le sequenze che esse generano. A? nelle fasi successive alla ripresa che il mio operato, se ci si ferma a una analisi superficiale, sembra spesso sfiorare una specie di paradosso interno. A una mia apparente inattivitA? nella fase delle riprese si contrappone una vivace opera di interpretazione, riscrittura e sovvertimento del mondo visibile. E ciA2 segue certamente una logica e un gusto soggettivia?|A?
Tuttavia la a??dualitA? Yin-Yanga??, nel senso piA1 ampio del termine, rimane il fondamento del Tao. Yin e Yang si incontrano e contrappongono da sempre e il risultato A?N il Tao stesso.A?
In questo cinema che si presenta come a??non violentoa??, Yin e Yang possono essere riconosciuti nel mio operare come un a??difetto di azionea?? e un a??eccesso di azionea??: il mio limitarmi a registrare e il mio re-interpretare i fenomeni visibili. Tuttavia i miei film si rivelano taoisti soprattutto alla loro proiezione, quando tutto il processo produttivo si A?N concluso. Dunque, se difetto di azione e eccesso di azione mi portano alla a??non-azionea?? taoista a??g che ricordo essere una azione fondata sul Vuoto e non una azione che non si A?N mai compiuta - ovvero a un risultato stilistico che gli si avvicini molto, A?N qui che credo di poter dire che i film di Doei sono film taoisti.

Un secondo ordine di problemi, sempre sul piano a??teoricoa??, A?N dato dalla funzione del sonoro e delle frasi, scritte da Mavilio, che scorrono mentre sullo schermo passano le immagini.
Per creare una sorta di scollamento tra la realtA? documentaria e la realtA? fittizia e per evitare che i miei spettatori abbiano la sensazione di a??evelinaa?? - e cioA?N di un servizio telegiornalistico non ancora montato e ottimizzato - ho pensato dalla??inizio di dover agire energicamente sulla traccia sonora. Questa, infatti, accompagnerebbe le immagini del girato originale per tutta la loro durata veicolando un noioso senso di amatorialea?| Nella maggioranza dei casi, dunque, abolisco totalmente la traccia sonora originale e la ricreo con campioni sonori pressochAc identici: scorrere da??acqua, frinire di cicale, rombo di aereia?|. Oppure la sostituisco per intero con una traccia musicale. Tanto basta ad ottenere la??effetto desiderato, in modo da poter lavorare su immagini pulite.
Alla mancanza del sonoro, alla rinuncia della presa diretta, al disinteresse - o impossibilitA? - di far recitare gli attori, Mavilio ha supplito coi sottotitoli. Egli non scrive dialoghi ma molto piA1 spesso i pensieri degli attori, e cosA?? aggiunge accenni testuali che un dialogo o un monologo non potrebbero veicolare. Questa traccia testuale permette di trasmettere una serie di informazioni che caratterizzano attivamente e velocemente il personaggio e lo spazio in cui vive.A?
Alla??inizio temevo che il servirmi di sottotitoli potesse far piombare a??g e sarebbe stato improponibile - il mio cinema ai tempi del muto. Mi sbagliavo, in parte, perchAc non applico propriamente a??cartellia?? bensA?? veri e propri sottotitoli che scorrono in tempo reale; mi sbagliavo anche perchAc tale pratica attualizza incredibilmente i miei film: il fatto che Internet renda in qualche modo disponibili i veri film al download fa sA?? che chiunque possa scaricare un film, che so, filippino a??g mai distribuito e mai ufficialmente tradotto - e vederlo con rudimentali sottotitoli in inglese recuperati su altri circuiti alternativi. Una certa audience internazionale ha imparato a rinunciare alla traccia vocale originale degli attori per concentrarsi sul crudo testo.
Negli street movies a??taoistia?? di Mavilio un buon 50% del risultato si fonda sull'elemento testo. Le battute, spesso brevissime, mettono in rilievo particolari a prima vista insignificanti, e che invece possono rivelarsi cruciali durante la proiezione.A?
Ed ecco il problema. Se ca??A?N rispetto delle immagini registrate cosA?? come esse si presentano, per la strada, al regista, se sul piano del susseguirsi delle immagini (sia pur coi limiti determinati dal montaggio) i film di Mavilio sembrano rispecchiare la via sulla quale scorriamo tutti noi, e tutti gli esseri, la??elemento testo sembra creare un duplice piano: rispetto per le immagini, ma una certa violenza/pressione delle parole sulle immagini.A?
Mavilio ci dA? una realtA? ... al naturale, ma la corregge con le parole che, di fatto, costruiscono la storia accompagnandola.
Molti mi hanno chiesto di rinunciare al testo, osservando che anche con le sole immagini i miei film resterebbero godibili e comprensibili. Mi spiace dire che non sono da??accordo. Sebbene la mia filosofia operativa si basi sul Taoismo, non mi sento di rinunciare a un minimo intervento creativo. La maggior parte dei miei sforzi si concentra comunque sul tentativo di non abusare delle illimitate possibilitA? datemi dalla tecnica e dalla fantasia. Una sorta di transfert che avviene in fase di montaggio e lettering mi fa dire che nei miei film ca??A?N uno sfiorare la finzione e uno sfiorare la realtA?. Ma di fatto non ca??A?N finzione e non ca??A?N realtA?.A?
Io stesso non saprei dire che tipo di cinema ho inventato. Presunta realtA? o possibile finzione, azione o inazione sono solo gli ingredienti estremi di questa ricetta. CiA2 che chiamo Tao ne A?N il sapore diffuso.


Una??ultima piccola osservazione, con la quale chiudere, per il momento, questa breve analisi della filmografia di Mavilio. Nei suoi film a??taoistia?? A?N ritornante il suono della a??trombetta del venditore ambulante di tofua??, inteso come suono doei per eccellenza.A?
Ea?? il simbolo sonoro dei suoi film, e si sente alla??inizio di ogni corto quando passa lo stemma dei a??film taoistia?? e spesso, inaspettatamente, anche durante la proiezione ...
La??ho scelto perchAc, a mio parere, quel suono identifica a??la stradaa?? giapponese, come nelle nostre cittA? fanno i clacson. Ma A?N anche un suono che caratterizza culturalmente una??area ben precisa: il Giappone. Suggerisce (a chi ci arriva) che il tema A?N a??la stradaa??. E quando chi non sa, o non ha mai sentito tale suono, un giorno lo dovesse sentire dal vivo, per strada a??g e dopo aver visto i miei film -, avrA? la sensazione che tutto, alla??improvviso, si sia ordinato nella sua mente.
In quanto utente della strada proverA? una sorta di comunione con la strada stessa, se ne sentirA? parte attiva e passiva, come se avesse capito qualcosa che comunque non sa esprimere, quasi una sorta di microilluminazione terapeutica, non reale, ma comunque una??illuminazione di un qualche tipo.
La strada, quella fatta di asfalto e brecciolino che tutti calpestiamo, intesa come simbolo della Via taoista sulla quale tutti ci muoviamoa?|
Tra gli innumerevoli segnali nuovi e incomprensibili che percepisce chi viene per la prima volta in Giappone, il suono della trombetta del venditore di tofu A?N un suono che fa trasalire, ed A?N in grado di risvegliare colui che A?N predisposto a una determinata esperienza. Ea?? una sensazione inesprimibile, un suono malinconico ma rassicurante, che si ripete da sempre e ogni giorno nelle viuzze piA1 strette e inaccessibili.


Questo suono malinconico ma rassicurante - che si ripete da sempre - A?N, in quanto tale, veicolo per un messaggio antico, sempre valido ma solo parzialmente leggibile...