Agostino Forte
Pur con tutto l'oro del mondo
28 VIII 2032
Questa mattina la bruma staziona fuori dalla finestra. Spessa, fa scudo al mondo. Come quando ero piccolo, la protezione della casa muove un sottofondo di piacevolezza nel sentirsi al riparo da un freddo umido.
Mi siedo sulla poltrona con lo schienale avvolgente, ritiro le gambe piegandole a me. Non avrei immaginato questa prodezza fisica alla mia etA?.

Alcuni affetti sono scomparsi, altri lo faranno col tempo destinato, prima o dopo di me. E guardo. Guardo, ripenso e rifletto su alcuni aspetti della vita che mi hanno sempre accompagnato. Giacciono apparentemente sparsi, ancora in attesa di essere raccolti, lavati o gettati. Alla stregua di panni.
Ci si abbandona, in quei giorni, senza terrore, senza dubbi. Solo sguardo. Magari una??inedia spirituale. Ca??A?N tempo, ce ne resta ancora prima di lasciare questo comodo luogo di tepore. Non A?N piA1 tempo di ritorno, o forse non A?N la??ora. A? un percettibile risucchio ad attrarmi verso un estremo, altrimenti non violento, non angosciante. Traslazione inarrestabile, in lento scorrimento. A tratti la percezione della??occhio puntato nel vuoto, come in attesa, fluttuante, un pensiero su due rive sconosciute, una inghiottita dal buio la??altra da venire tuttora alla luce. La ragione non A?N critica, ascolta il richiamo della coscienza, annuisce, rimane immota. Vi A?N la??assistere allo spiegarsi e al passare indenne per traslucide cortine. Non rimpianto ma ricordo. Lo svanire da??intorno non A?N cancellazione definitiva, se pur accompagna una condizione di disarmo. Gli affetti impallidiscono, sgranano, si sciolgono, fondono. Ogni condizione mentale A?N percepibile nel mutamento in atto. Cosa??A?N la condizione mentale. Le leggi della vita non sussistono piA1, tutto A?N sospeso e al contempo precipita in qualche dove.
La memoria tenta riepiloghi. Un sembiante di uniformitA? avviluppa e cela il cambiamento.

A? mezzogiorno, permane una foschia, le forme sono come ovattate ma cinte da una permanente aura di freddo. Figure, mansioni nascoste da corpi in movimento.
Dalla poltrona mi ritrovo alla porta, mi colgo ad aprirla, oltrepassarla. A? come una brezza questa sensazione di essere in vita.
Attraversamenti di voci: a??g come farai a rivelare che non ti sei occupato di loro a??g come potrai non abbassare gli occhi quando sapranno che non li hai pensati a??g tacere non A?N una colpa a??g A?N come la??uomo dei gelati quando passava davanti a casa e per il prato si correva a chiedergli il desiderio. Era quella??uomo colpevole di custodire la??attesa?
Si sente un timore, si ha timore.
Ci si sente la mano tenuta.
Ancora non immaginavo ma arrivava.


Agostino Forte
- Pur con tutto l'oro del mondo -
Aniello Fioccola
Storie di librai bizzarri
A Roma ca??A?N un libraio strano, come lo sono tutti i librai, a modo loro.
Roberto ha una fumetteria in una stradina in zona residenziale, via Papa Clemente XII (il papa che aprA?? i musei capitolini al pubblico e che mandA2 un bibliotecario in giro per il mondo a cercare manoscritti). Spazio ridotto (oramai A?N la sorte dei librai indipendenti), ma fornitissimo, un punto di riferimento per gli appassionati. A volte, fuori, seduto su una sedia, ci trovi qualche ragazzo intento a leggere un fumetto.
Accanto alla fumetteria ha un altro locale ma A?N sempre chiuso. Nessuno ci entra mai e raramente viene aperto. Cosa si nasconde dietro quella porta? Una vera e propria libreria. Roberto non la apre perchAc la sua A?N una fumetteria e i suoi clienti vogliono fumetti. Ma lA??, in quella stanza angusta, da anni, sono accatastati migliaia di volumi. Roberto non li ha mai messi in ordine e in realtA? non sono in vendita, piuttosto a volte regala qualche libro a chi acquista fumetti. Romanzi, classici, saggi. A? una babele di libri, tutto impolverato e senza una luce: nessuno puA2 sapere cosa ci si puA2 trovare.
A me non piacciono i fumetti, ma i libri sA?? e qualcosa mi ha spinto ad entrare in quella fumetteria, cosA??, giusto per dare uno sguardo e fare una chiacchiera col libraio.
Roberto mi ha guardato con occhio torvo quando gli ho detto che non mi piacciono i fumetti ma quando ha saputo che sono un bibliofilo mi ha aperto la libreria segreta. Un universo borgesiano: ogni libro ne nasconde un altro, letteralmente. I libri sono stipati su scaffali ma per una fila di libri ca??A?N na??A?N una??altra invisibile, nascosta dietro. E allora devi sfilare ogni libro per vedere quello che A?N posizionato dietro. Ho trovato una collezione di Steinbeck dietro i libri della Duras, un Brecht dietro Dostoevskij, una raccolta di Ezra Pound dietro un Calvino.
Ci conosciamo da poco io e Roberto, eppure sono bastate poche parole per capirsi. Ogni tanto, quando ho un poa?? di tempo libero o quando voglio rilassarmi, vado nella sua fumetteria, lui mi saluta e con un sorriso mi dA? la chiave. La chiave della libreria nascosta. Io esco fuori e a pochi passi trovo la porta, entro e sto lA??, in solitudine a cercare tra migliaia di libri quello da comprare quel giorno. Pochi euro e porto a casa qualcosa.
Chi ha la passione della lettura dovrebbe abituarsi a comprare dai librai indipendenti, non nelle grandi librerie e ancora meno sul web.
Noi a??lettori selvaggia?? e trafficanti di libri, affetti dal morbo di Gutenberg, conosciamo bene la bellezza della ricerca tra decine e decine di volumi per scoprire, magari dopo una??ora, un libro che inaspettatamente ci viene incontro e che stava aspettando proprio noi.
Ieri A?N toccato al Rinocertonte di Ionescoa?|

Aniello Fioccola
- Storie di librai bizzarri -
Carlo Di Legge
Senza merito
Se forse fai cose straordinarie,
o anche se non fai nulla,
un altro ti vedrA? e ti amerA?.
Puoi anche essere un monaco, lontano dal mondo,
una mente che contempla la??assenza,
ma non perciA2 il buon dio ti aprirA? una porta.
Non sarai salvo, se reciti mille preghiere.
Solo tra pari si stipula un contratto.

Hai questa vita,
non ca??A?N altra speranza nAc certezza.
Ti basti la??esser nato.

Ma potresti vedere la veritA?:
in un solo istante
di chiaroveggenza senza merito,
proprio qui, dove sei,
come un brillA??o di stelle lontanissime.

14.8.2016

Carlo Di Legge
- Senza merito -
Carlo Di Legge
Acqua d'autunno
Estate, il cammino alzA2 nuvole di polvere.
Non vedi la??acqua se non quando piove a??g
dopo
che la pioggia da??autunno ha lavato i colori,
di luce fa cristallo
e sulla terra spunta una festa da??umili fiori.
Adesso, autunno. La montagna A?N gonfia da??acqua.
Sulla scarpata la terra A?N nera e benedetta.

Guarda la terra che fu polvere: ora A?N morbida e raccolta,
ha la ricchezza da??un melograno,
come di sensuale gravidanza.
Ma la forma della terra A?N acqua,
madre da??ogni forma che nasce dalla polvere
e che domani sarA? di nuovo polvere.

Guardala ora, la??acqua: sembra che resti e scompaia
nella terra,
ingoiata e dissolta a??g
in veritA? la popola, assume ogni figura da??albero e fiore
e frutto, ogni chicco da??uva della terra ebbra.
CosA?? sembra scivolare su di te,
invece A?N proteo della tua stessa forma.
Era polvere che polvere ritorna
nel ciclo che si perde, e resta uguale e crea,
ma se la polvere diviene vita e terra madre,
piA1 gran madre la??acqua, che colora il pianeta.

Non vedo il tempo ma ogni forma visibile del tempo
A?N da??acqua:
nessun deserto calcola il tempo.
Acqua del fiume che include tutti i fiumi,
gocciola e scorre, sa??insinua e si precipita,
velocitA? diverse, dislivello e ristagno, acqua del tempo!

Siamo acqua e miniere della terra,
ognuno una goccia, a suo modo
spiaggia di mare, isola da??oceano, rupe sul fiume.

Il tempo si porta le forme nella polvere,
acqua sono le forme,
il tempo A?N acqua.

Ma ogni cosa ha il suo tempo da??autunno.

Ottobre 2013

Carlo Di Legge
- Acqua d'autunno -
Serena Ammendola
Tardi
Siamo intervenuti troppo tardi, dice il medico. Non capisco e non voglio capire quello che dice.

Mi metto a pensare.

A? tardi. A? troppo tardi. Troppo.

E continuo a pensare.

Quante volte mi A?N capitato di fare tardi, in vita mia. A? stata come un'abitudine, per me, quasi un modo di essere.
Talvolta, diventavo addirittura una barzelletta, per gli amici. Sei in ritardo! Mi rimproveravano quando mi venivano a prendere il sabato sera, quando si usciva insieme. Ma quel ritardo era sempre compensato dalla mia insostituibile allegria, dalla mia forte presenza. E, poi, si stava con gli altri, si rideva, ci si rilassava senza piA1 guardare l'orologio, la serata era comunque meravigliosa e dimenticavamo, tutti, di non averne goduto l'inizio.

Tardi.

Il medico ha detto che A?N tardi. Oggi A?N troppo tardi perchAc io possa affrontare e vincere la mia malattia.

Tardi.

Che bello tirare tardi la sera! Andare in giro, anche senza meta, per le strade della cittA?, scoprirne spazi e punti di vista che ti appaiono del tutto nuovi, di notte, tardi.
Da giovane ti fa sentire adulto, da adulto ti regala un soffio di gioventA1.

Qui e ora, tardi A?N male.

Tardo strategicamente qualche minuto, di solito, anche quando devo incontrarmi con mio marito, magari per pranzare o cenare insieme. E per trovare anche con me stessa una giustificazione a un difetto che ho sempre sentito cronico, mi cullo nella convinzione che serva ad accrescere il desiderio che abbiamo l'uno dell'altra. Un ritardo ad arte, questo, di grande e sicuro effetto: qualche minuto, sufficiente perchAc lui si chieda dove sia finita e mi abbracci piA1 forte quando mi vede, finalmente.

Tardi A?N anche oggi, ma non A?N la stessa cosa. Non A?N divertente, non ripaga.
Per la medicina A?N troppo tardi perchAc io possa desiderare di continuare a vivere.

Tardi sono arrivata, ovviamente, anche il giorno delle mie nozze. Ma quale sposa non A?N in ritardo? Il ritardo, in quella cerimonia fa addirittura parte del rito, A?N una cosa che tutti si aspettano e alla quale sono giA? in partenza rassegnati. Nessuno potrebbe immaginare un sacerdote che ti dicesse: A?N troppo tardi, sa? A? inutile che lei sia venuta, torni pure a casa, non si sposa piA1. Il ritardo sta scritto nelle regole del gioco di quella giornata, gli invitati ne sono al corrente e non oserebbero confessare il loro fastidio se non camuffandolo con qualche battuta di spirito. Per lo sposo, poi, il ritardo della sposa che si lascia attendere A?N quasi di buonaugurio.

Tardi.

Quando perdi l'autobus di prima mattina e ti rendi conto che A?N tardi... poco male.
Fai tardi al lavoro? Recupererai.
Troppo tardi, ancora, per fare questo o per quest'altro? Si fa domani, lo fa qualcun altro, si puA2 aspettare, si risolve, comunque.

Oggi non si risolve.

A? tardi.

Eppure era talvolta addirittura dolcissimo il suono di quella parola... tardia?| quando significava che il risveglio poteva aspettare, per esempio, che potevi alzarti piA1 tardi, che saresti rimasta a coccolarti nel lettone aspettando, indifferente, la luce, lasciando che la giornata cominciasse prima per gli altri. Per te, poteva aspettare. Allora preferivi fare tardi.

Oggi, A?N tardi e basta.

Oggi vorresti non aver sprecato neanche un attimo della tua vita, ti piacerebbe poter trasformare in 'presto' tutti i tuoi 'tardi' per avere la sensazione di avere anche solo un po' di passato in piA1 che possa, adesso, adesso che il futuro ti si nega, avvolgerti con le sue pietose carezze.

Ma A?N troppo tardi.

Serena Ammendola
- Tardi -
Carlo Di Legge
Navigazione d'ottobre
Ricordo una??immagine di venta??anni fa
in quel monastero lontano, perduto nella campagna a ulivi.

Maria, la grande mediatrice, la madre per eccellenza,
la sposa povera e fedele, annunciazione e obbedienza.
E dietro: intere vite anonime, un esercito consacrato
a un simbolo, il dolore del parto
insieme alle celebrazioni del natale,
luce che splende in notte invernale,
umili animali e doni di re,
la figura nerovestita e il cuore trafitto di spade:

ma basta poco a??g un poa?? piA1 in lA?, nel mio tempo,
una??altra immagine di Maria si stacca
dalla facciata barocca, nella nicchia centrale, in alto.
La sua statua calpesta la luna.

Tu domandati il senso delle figure,
nulla compare a caso nella??espressione:
cosa??A?N la??oppressa luna, ti domanda la figura,
e ti risponde a??g se esser sotto e sopra
non sia prima e dopo nella??ordine del tempo.
CiA2 cha??A?N importante adesso non sempre A?N stato,
eppure, in qualche modo, anche fu, sempre:
perchAc ogni notte conserva il suo pallido
riferimento.
Allora forse ciA2 cha??A?N sottomesso si raddrizza e viene avanti,
perchAc possiede qualcosa del sempre a??g
qualcosa di ciA2 che fu, A?N, o tende a tornare a??g
qualcosa resta, qualcosa va,
il nuovo viene, i nomi possono cambiare.

Basta un momento, o venta??anni a??g A?N adesso:
faa?? che risuoni, secondo che puoi,
parola spenta
a richiamare vite senza numero,
che in te rispondono.

Figure circolanti nel niente
negla??infiniti impulsi che risalgono alla mente a??g
venta??anni, o quattromila, in un momento a??g un vento
immateriale
come acqua si divide e bisbiglia,
scorre e si confonde a rivoli senza numero.

CiA2 che cambia, ciA2 che resta: e tutto A?N vivo e mosso,
necessario a??g
fertilitA? e perdita.
Morte. E vittoria sulla morte.
Lo sai: chiunque tu sia,
dove sei puA2 soffiare lo spirito.


Nocera Inferiore, 19.10.2012

Carlo Di Legge
- Navigazione d'ottobre -
Lucia Vitelli
Contemplazione
Da quel giorno,
sono tornata piA1 volte ai Marini
per rubare dalle cose mute
il mistero del silenzio.

Un gatto nero, i platani, le panchine,
un quadro fermo da giorni.
E la solitudine
mi ha stretta a sAc.

Un inesprimibile ma pensabile luogo
da cui uscire e tornare.
Quando si vuole a?|

Una deriva dei sensi
che spoglia le cose fino alla??essenza
per una grazia da??ombra
di pochi secondi.

Lucia Vitelli
- Contemplazione -
Angelo Tavolaro
Un filosofo con... le mani in pasta

Lo straccio orami logoro continua a lisciare la superficie di acciaio. Spinge le molliche dei croissant per terra, lambisce i portatovaglioli, attrae ogni minuscolo granello di zucchero. Macchie di ogni sorta scompaiono sotto il suo rapido, duro, passare, lasciando alla??occhio la sola vista dei graffi. Quelli, ormai A?N impossibile toglierli. Lo straccio continua da mesi il suo lavoro, a forza sospinto dalla mano, ancha??essa logora, come lo straccio. NAc la mano nAc i graffi godranno della stessa fortuna dello straccio. Non riposeranno sul fondo di un secchio: la mano continuerA? a stringere un nuovo straccio; i graffi riceveranno ancora, e per lungo tempo, macchie, zucchero, cucchiaini, molliche e per loro la??unica consolazione sarA? far posto ad altri, nuovi graffi.
Le tazze sono in ordine, la vetrina ben pulita. I liquori, ordinati secondo la tipologia, comunicano grazie ai riflessi dei raggi del primo sole, rimbalzando da una??etichetta alla??altra, secondo un ping-pong che si ripete ogni mattina, alla stessa ora. Amari e amarissimi a portata di mano, eccezion fatta per la??Amaro Lucano che va per la maggiore: questo si tiene nel frigorifero sottostante al bancone. I vermouth possono giacere lontani, le loro etichette coprirsi di polvere: in un paese di manovali la??occhio non sempre vuole la sua parte, anzi, spesso si chiude per non guardare. Lo stesso valga per i ruhm, i whiskey e altre raffinatezze del genere. Dopo una giornata sul cantiere o in mezzo ai campi, niente A?N piA1 rinfrescante della birra ghiacciata, rigorosamente Peroni, da servire senza bicchiere; altre volte, invece, il Borsci, imbevibile infuocato petrolio, A?N richiesto in luogo del fresco nettare di malto: a??non sono mica una femmina, ioa??, potrebbe rispondere il cliente alla??inavvertito gesto del barista di porgergli un bicchiere. E di birra sono pieni la maggior parte dei frigoriferi. Tutti gli altri si dividono il lavoro per tenere alla giusta temperatura bevande da femmine, appunto, o per bambini: the freddo, aperitivi analcolici, succhi di frutta.
Cornetti caldi, ciambelle e sfoglie ripiene di crema, occupano il primo piano del palazzo di vetro. La rosticceria, o il salato, il piano meno nobile. Tra poco i loro ruoli si invertiranno, come sempre si invertono i ruoli durante la giornata: ciA2 che A?N dolce al mattino diventa, pian piano, salato. PiA1 spesso, diventa amaro. Sono le sette, sono in piedi da due ore, da una dietro il bancone, la??ora prima, sempre in piedi, in cucina a sfornare delizie. Sono piA1 di cinquanta i caffA?N: prima chicchi, poi polvere, poi cialda stretta nel braccio della macchina, poi acqua nera. Sono giA? stanco e non devo pensarci: non si andrA? a letto prima delle due, di notte ovviamente. Sono giusto trenta giorni filati, oggi, che vado avanti cosA??.
Il barista A?N dio. Anzi, per non regalare troppo agli eretici e non togliere altrettanto ai fedeli, sarebbe meglio dire, che il barista A?N come dio. SarA? perchAc a questa??ora del mattino, con le ossa a pezzi, i muscoli ridotti a batuffoli di ovatta, testa pesante e gambe e braccia ormai allo stremo, non riesco a vedere altro dio racchiuso in questi novanta metri quadri. Ieri sera la festa A?N finita tardi. Loro ballavano, io battevo le mani sulla pasta per darle una forma che si approssimasse al cerchio. Le feste di paese di antica origine, vissute nel presente, mi restituiscono solo tristezza e repulsione. La festa era la??occasione per fermarsi, per vestirsi di panni nuovi e puliti, di indumenti che si usavano una volta la??anno. Il signorotto restava signorotto, il povero cristo poteva diventare signorotto per una sera. Tutte queste cenerentole del paese potevano lasciare i campi, per un giorno, ricoprire la polvere e la terra di abiti puliti e fermarsi ad ascoltare la banda per tutto il giorno, avvolti in un inusuale senso di riposo, prima che alle cinque del mattino seguente scoccasse di nuovo la terribile mezzanotte. Altri portavano il santo in processione, altri ancora coglievano la??occasione per scambiare due parole, finalmente con amici, non piA1 con semplici compagni di lavoro. Un bicchiere in compagnia, in rispetto alla??antico rito sociale del banchetto comune. Le donne impegnate nelle preghiere, si affaccendavano nelle ventiquattrore precedenti a preparare manicaretti di ogni sorta ma soprattutto preparavano il proprio spirito ad accettar le inevitabili critiche dei mariti: il sugo A?N troppo denso, il sugo A?N poco denso; la carne A?N troppo al sangue, la carne A?N poco al sangue; il sugo A?N troppo sugo, la carne A?N troppo carne. Ho detto: inevitabili critiche. Inevitabili per chi quelle critiche le pronunciava, poichAc nella possibilitA? della critica, gratuita e senza replica, vive il senso di un rapporto profondo, a metA? tra frustrazione e senso di onnipotenza. a??ContinuerA2 a zappare i campi per tutta la vita, vedrA2 forse i miei figli andare via, e continuerA2 a vedere il medico, il farmacista e il notaio, guadagnare dieci volte piA1 di me e dare lavoro ai propri figli senza poter cambiare minimamente le cose; perA2 a casa, a casa mia, e il giorno della festa, per giunta, sono il sovrano, la??unico Re Sole che possa irradiare la sala da pranzo. Ho potere di vita e di morte sul sugo e sulla carnea??. Inevitabili, perA2, le critiche lo sono anche per chi le riceve: una??intera generazione, una folla di donne, che per tutta la vita non ha fatto altro che ricevere queste critiche tanto da stupirsi e, quasi, inquietarsi, quando queste non le riceveva. Dopo anni, si palesa il matriarcato sempre strisciante: a??mia madre la pasta la faceva meglioa??\ a??SA??? Vai a mangiare da tua madrea??, e in questa risposta ca??A?N tutta la fiera affermazione della propria importanza. Tradotto, significa: a??povero ingenuo, ormai non ca??A?N madre che possa sostituirmia??, e un ghigno, impercettibile, accompagna le rughe che solcano il volto.
La festa era il luogo dello spirito: quello delle donne impegnato nelle preghiere, quello dei bambini, impegnato nei giochi lontani dalla scuola, quello degli uomini, che si ritrovavano uomini e non piA1 macchine agricole. Finalmente il circolo lavora-mangia-lavora-dormi si dischiudeva per diventare non una retta (i contadini hanno sempre vissuto, seppur senza esserne consapevoli, il tempo circolare ben prima che Nietzsche lo recuperasse dalla visione greca del mondo) ma un semplice, indecifrabile punto: mangia-riposa. Un sogno. Un incubo A?N ciA2 che resta oggi. Bancarelle di cinesi, turchi, pakistani, magrebini, affollano le strade per offrire ai nuovi festaioli, che per inciso fanno festa tutti i giorni, le cose piA1 impensabili; offrono alle donne qualsiasi tipo di prodotto che loro comprano; e le donne porgono ai mariti la??imperdibile opportunitA? di sfilare il portafogli dalla sacca e mostrare a tutti che, finalmente, tutti possiamo comprare tutto. a??Mio nonno, mio padre, campavano a stento? Beh, le cose sono cambiate: posso comprare tutte le borse che voglio e quintali di noccioline e zucchero filato. E posso farlo anche nei giorni usuali, si badi bene, non solo durante la festa. Sono orgoglioso di mio figlio, che spende fior di quattrini nelle sale giochi e inizia a fumare sigarette a quattordici anni. Le cinque lire giornaliere che mi dava papA? per prendere la??autobus, io le conservavo per uscire con gli amici il fine settimana, andando a piedi fino a scuola, per risparmiare, appunto. Io e mio padre eravamo dei fallitia??. Il vestito della festa ormai non esiste: questa definizione, non esiste piA1. La festa non A?N piA1 festa, perchAc ormai A?N festa tutti i giorni. Non ca??A?N piA1 il signorotto: i figli del medico, del farmacista e del notaio, chiaro, hanno macchine e case di lusso; ma il figlio del contadino non ne parla piA1 con la stessa rabbia del padre. La sua macchina A?N meno costosa, ma quantomeno non deve cavalcare piA1 un mulo. Eppure la sua frustrazione supera di molto quella del padre. Alla festa, come a questa sciagurata generazione, A?N accaduta la cosa peggiore che possa accadere ad un discepolo: ereditare tutti i difetti, e nessun pregio, dal maestro.
Loro ballavano, io continuavo a disporre ingredienti sul disco con una precisione tanto maniacale da mostrare che la perfezione A?N solo nel caos. E loro continuavano a ballare anche quando continuavo a infilare e sfilare gli stessi dischi dallo stesso forno nello stesso modo. Il lavoro nobilita la??uomo, dicono. Beh, mi sentirei nobilitato ancha??io se spezzassi questa pala su un ginocchio, lanciassi la divisa in un fuoco ardente e uscissi a ballare. Mi chiamano pizzaiolo. Se mi capita di andare in bagno e guardarmi allo specchio, non riesco a vedere nienta??altro che un infermiere con la faccia sporca di cipria. La veritA? A?N che il lavoro logora la??uomo, ne logora testa, membra e fibre; sevizia la volontA? e scarica la??intelletto. Almeno questo lavoro, portato avanti in questo modo. A? mezzanotte e continuano a ballare, quando io, ripuliti gli ultimi contenitori dai rimasugli di pasta, e salutate con rabbia le novanta pizze infornate nelle ultime due ore, pulisco il forno e inizio a inserire le teglie di cornetti da presentare ai ballerini. Non uno dei loro piedi potrebbe seguire il ritmo dei miei pensieri, nAc, sovrapponendo i cerchi che disegnano danzando, si potrebbe edificare un pozzo alto quanto la??abisso della mia anima. Eppure loro ballano e io nutro, con le mie mani, la loro vita insufficiente. Tra una??ora sarA? finita e resterA2 solo con il secchio e la mazza. Qualche rapida passata e il pavimento brillerA?, anche grazie alla??ausilio di un poa?? da??aceto. Il pavimento va sfregato sempre in senso orizzontale rispetto alla luce, altrimenti si vedranno i segni dello straccio e le mattonelle lucide sembreranno macchiate. In realtA?, me ne fotto delle macchie, ma se il padrone avrA? qualcosa da ridire, mi toccherA? ricominciare e a questa??ora non ne sarei poi cosA?? felice. Quando sarA2 grande comprerA2 un bar e al momento della chiusura, riverserA2 sul pavimento litri e litri di salsa di pomodoro. Il primo che si azzarderA? a pulire, sarA? licenziato e se i clienti, alla??indomani, avranno qualcosa da ridire circa la marea rossa, che vadano a fare colazione a casa. Tra qualche ora dovrA2 essere di nuovo in piedi.
Ma ieri per fortuna A?N passato, meglio pensare a qualcosa che mi permetta di superare la??oggi. Il barista A?N solo un barista. Il barista attento A?N come dio, perchAc, come dio, vede tutto e tutto insieme. Il quadro plastico che gli viene offerto ogni giorno A?N composto da tanti attori, i piA1 dei quali recitano una parte, spesso la stessa da anni. Altre volte il copione varia, ma, lui, un poa?? regista un poa?? spettatore, ha sempre la??insieme tutto insieme, ma sotto al naso. Come le feste a tema, giA? conosce il tipo di clientela che dovrA? aspettarsi, a seconda del clima, della ricorrenza, del giorno festivo o feriale, della??occasione di un mercato o di un matrimonio che abbia luogo presso la chiesa impiantata nella stessa piazza. Oggi A?N un giorno di sole di una??estate rovente. Quindi fino alle dieci, oltre alla normale gente anziana della cittA?, il traffico sarA? composto da contadini, manovali, postini, uomini da??affari, questi non si fermano mai, villeggianti di passaggio diretti alla vicina autostrada del Sole (che meglio sarebbe stato chiamarla della luna perchAc ci entri di giorno e ci esci di notte). Il barista ha gli occhi aperti di giorno e di notte. Un occhio al caffA?N ed uno alla mano del ragazzino che tenta di rubare qualche caramella. Generalmente la??occhio si chiude ma la stanchezza, strana contraddizione, A?N un ottimo tonico per la frustrazione e per la??amor proprio. A? incredibile come risvegli e tenga desti entrambi. Ragazzino oggi fila via, non A?N aria. Ma di solito accetta le furfanterie: sono solo ragazzini. Quando il caffA?N si poggia nella tazzina, due occhi lo fissano e una bocca ringrazia. Altre volte la bocca resta chiusa. Ma a questo genere di indelicatezze ormai A?N abituato. Generalmente, da quando il barista diventa barista, quando esce per locali, inizia a lasciare la mancia ad altri baristi: solidarietA? corporativa. Nello stesso istante gli riesce di vedere una coppia conversare amabilmente, tazza in una mano e gomito appoggiato sul bancone, e la??avvocato, piA1 indietro, osservare la donna; il barista vede ciA2 che gli altri non vedono: il marito, pur fissando la moglie negli occhi, non la vede fissare il secondo uomo in prospettiva. Forse a praticare ogni giorno la gente, non la si guarda piA1, la si vede davvero. E si vede oltre gli anni di matrimonio, e si inizia a includere le persone in categorie che presto saranno accantonate: educati-maleducati, giovani-vecchi, donne-uomini, ricchi-poveri, lavoratori-nullafacenti, colti-rozzi, e cosA?? via. Dopo alcuni anni di lavoro, le categorie si riducono a due: interessanti, meno interessanti. Dopo averne viste e sentite di tutti i colori, lo status sociale, il sesso, il livello da??erudizione si dissolvono. Si sta attenti solo a che il cliente, quello nuovo, abbia qualcosa in piA1, o in meno, comunque qualcosa di diverso, dalle centinaia che hanno giA? salito i due gradini, poggiato i gomiti al banco e chiesto da bere. Si attende, come il sole da??inverno, qualcosa che, pur nel suo continuo ripetersi, possa colpire e destare. La donna al banco prima o poi cederA? alle avances della??avvocato. A? solo questione di tempo, ma prima o poi lo incontrerA? senza il marito. Si vede da come si accarezza i capelli, li sposta da una parte alla??altro del collo, da come poggia le braccia, una incrociata sulla pancia e la??altro teso con tre dita, il pollice sotto il mento, gli altri due sul viso, a sostegno del capo. Il cliente di sempre legge il giornale. Un sorso di caffA?N ogni due pagine, ogni quattro distende tutto il giornale e torna a ripiegarlo su se stesso come fosse un unico foglio. Aspetta la??altro compare, con il quale inizierA? le solite, sconclusionate e inutili polemiche sulla politica, la Chiesa problema di tutti, lo Stato canaglia, il comunista e il fascista che si uniscono agli estremi, la pensione insufficiente, le banche sanguisughe per poi passare ai veri temi di interesse internazionale, quali: il sindaco ladrone, il farmacista opportunista, il maresciallo donnaiolo, la gioventA1 andata, il prossimo matrimonio di non so chi, come sono belli i tempi di una volta. In genere A?N quello che critica tutti pur concentrando in sAc i peggiori difetti di tutti. Difetti della coerenzaa?| La??avvocato A?N ancora fermo dinanzi ai dolci. Ha comprato una semplice sfogliata, ma sembra che stia mangiando una??intera torta nuziale visto il tempo che ci impiega. Chiaro: finchAc la donna non uscirA?, accompagnata dal marito, continuerA? a sfruttare ogni minimo istante per concedere cenni e segnali alla donna, che lei ricambi o meno, in questo triste e sciagurato rituale di corteggiamento.
La voce mi chiama dal profondo del laboratorio: a??ca??A?N la pasta da spezzare, mi dai una mano per favore?a??. A? il mio angelo, la??angelo di tutti. Capelli sporchi di schegge di pasta, male odoranti per le troppe fritture. Una cinquantina di chili racchiusi in un metro e poco di femmina, si portano a spasso, avanti e indietro, con una??andatura oscillante. Questo non A?N il red carpet, non si oscilla per atteggiarsi. E nemmeno quando, come lei, si lavora tutti i maledetti giorni della??anno, dalle 6 del mattino a mezzanotte. Unica eccezione la festa della patrona di una piccola contrada di non piA1 di cinquanta anime. La contrada A?N dove ha vissuto per tutta la vita e dove vive ancora adesso. Il suo profondo senso di religione le impone di impegnarsi per la??occasione.
Si lavora al compleanno, si lavora a Natale, si lavora sempre. Da quando lavoro qui, e ci lavoro i fine settimana (che a volte iniziano di giovedA?? e finiscono il lunedA??) e un paio di interi mesi in estate, mi chiedo dove trovi la forza per farlo. GiA?, perchAc la??andatura claudicante non A?N dovuta alla stanchezza, ma a una piaga incurabile che affligge la pianta del piede destro. Lo scarpone nero, informa del problema come una grossa nube di fumo segnala un incendio. E continua a stare in piedi, ormai da anni, quasi venti ore al giorno. La sua morale, a metA? tra un integralista cristiano e un boscaiolo devoto solo alla??albero e alla scure, le ha vietato di chiedere la disabilitA?. a??Se sto in piedi, vuol dire che sto benea??. Quasi ho vergogna di me stesso: quante a volte a letto per un forte raffreddore? Ha quasi quaranta anni, sesta di sette sorelle: il piccolino, la??ultimo, unico uomo, ottavo figlio, ha qualche anno meno di lei. Tutto il suo stipendio torna a casa perchAc da quando A?N morto il padre, tutti insieme hanno tirato su le maniche delle camicie, non posso dire nemmeno rimboccare, e si sono dati da fare. Le sorelle e la madre, che prende una modesta pensione, continuano a tirare avanti, per quello che possono, con la fattoria, gli animali e le terre. Il suo viso, occhi piccoli, qualche dente dimenticato chissA? dove e un nasino lungo e storto, si copre di stanchezza solo a tarda sera, oppure quando abbiamo dei lavori aggiuntivi, come oggi, appunto. Mi ha insegnato tutto quello che so, A?N stata mia professoressa presso la??universitA? del lavoro. E la??unica soddisfazione che ho provato, da quando sono qui, A?N la??essere riuscito a portare avanti la??intero bar e la??intera preparazione, il giorno in cui le fitte al piede le impedivano di alzarsi. NAc al denaro nAc alla vita, pensavo, quando andai a dormire esausto, ma al viso di questo piccolo folletto, estirpato dal suo luogo naturale, i boschi, che mi diceva a??meno male che ca??eri tua??. Maria mi avrebbe salutato con amarezza e occhi lucidi, ma anche con somma felicitA?, quando le avrei comunicato, qualche anno dopo, la mia decisione di lasciare il lavoro per concentrarmi sullo studio, vista la possibilitA? di prendere una borsa di dottorato. Mi disse: a??Non so che A?N un dottorato, ma se guadagni senza spezzarti la schiena, vattene. Il lavoro non manca mai e tu qua sei sempre a casa tuaa??. Non so se la sua tristezza dipendesse piA1 dal non avermi piA1 accanto o dal sapere giA? di non avere avuto piA1 nessuno accanto, nei mesi a venire. A distanza di tempo, ho capito che la prima prevaleva di certo sulla seconda, ma, fosse stato il contrario, le avrei voluto lo stesso bene che le voglio ancora.
Strappare la pasta alla??impastatrice A?N un lavoro massacrante se lo si conduce senza furbizia. Questi ventiquattro chili di pasta non lasceranno la presa cosA?? facilmente, aggrappati come sono, ai bordi del calderone da??acciaio, alla??elica centrale che gira per impastare acqua, lievito, sale e farina. La farina, giA?a?| maledetto sia la??inventore il cui scarso genio ancora non riesce a progettare dei sacchi che camminino da soli. Proprio la??altro giorno sono stato al mulino. Molto semplice: parcheggi il furgone, carichi tre quintali, divisi in dodici sacchi da venticinque, torni al bar, scarichi e la tua giornata A?N finita. O meglio, continua, ma tu, sei finito. Il carico di farina si fa alle prime ore della??alba e lo fa, per mia somma fortuna, il piA1 giovane o la??ultimo arrivato. Le due cose, in questo caso, coincidono. Spero solo, per il candore della mia fedina penale e per la sua incolumitA?, che il vigile urbano chiuda un occhio quando parcheggerA2 in divieto di sosta per scaricare la polvere bianca, evitando di camminare con i sacchi in spalla per diverse centinaia di metri. La stanchezza mal si accompagna alla diplomazia.
Maria mi sostituisce al bar, io tiro la pasta. Fervono i preparativi per il matrimonio di stasera: A?N solo il terzo dei cinque impasti necessari. Bagnare le mani prima di immergerle nella pasta: questo A?N il trucco per evitare di spezzarsi la schiena tentando di tirare verso di sAc questa massa gommosa, che puntualmente torna indietro. Le mani bagnate devono scivolare tra la massa, spezzare, come tenaglie di un granchio, piccoli pezzi di pasta e buttarli sul tavolo. La massa riposerA? per una mezza??ora, poi sarA? spezzata in pagnotte piA1 o meno grandi, a seconda dello scopo ad esse assegnate. Non si usa la bilancia qui: si deve pesare con la mano. Fausto, il padrone del locale, riesce a fare palline e a dirmi il peso, con un margine di errore che non ha superato mai i cinque grammi. E io mi chiedo, a quel punto, dove finisca la mano e dove cominci la pasta. Spero di continuare a sbagliare e di avere, per sempre, bisogno della bilancia.
Le sfere di pasta vengono sistemate nei contenitori termici e lA?? riposeranno, per la seconda lievitazione, fino a quando, le stesse mani che le hanno appallottolate, andranno a disturbarle per ricomporle in calzoni, panini e forme strane da gettare in olio bollente o tra le due piastre roventi di un forno. Lo sfero di Anassagora, mi ripeto, avrA? piA1 o meno questa forma. Con i presocratici sto a posto: la??esame di filosofia antica A?N tra una settimana. Come sempre sarA? un successo, ma le dottrine etiche di Aristotele proprio non mi entrano in testa. La Metafisica A?N una??opera edita da Alessandro di Afrodisia nel III secolo d.C. a??g libero le mani dai residui di pasta fresca, sfregandole bene con una spugna di ferro. In tutta la??opera non compare mai la parola metafisica, ma probabilmente fu la sua catalogazione dopo i libri della fisica (meta ta physika, appunto) a mandarla alla tradizione come Metafisica. Lo stregone ricompone un nuovo artificio: farina gialla, farina 00 nelle stesse quantitA?. Attenzione a non mettere la farina dura prima della??altra, perchAc dopo i primi giri puA2 creare una crosta che rimarrebbe poi nella??impasto. Mezzo pezzo di lievito in estate, un pezzo intero in inverno: qui non si fanno le cose alla svelta, la??impasto deve riposare. Acqua in quantitA? giusta secondo quanto la??occhio riconoscerA? e soprattutto il sale: troppo sale inibisce la lievitazione, troppo sale ne accelera gli effetti a dismisura. La macchina parte. Lo scacco della Metafisica risiede nel paradosso che avvolge il suo primo principio: la??Essere primo o la??Essere piA1 universale? Per buona pace degli scettici, e per buon esito del mio esame, si risolverA? la??impiccio dicendo che il principio A?N universale in quanto A?N primo. GiA?: credo che qualche logico avanzerebbe dei dubbi su questa risoluzione. Forse sto diventando scettico o forse il sudore e i fumi delle fritture che mi si attaccano addosso lasciano poco spazio alla fantasia, scatenando il cinismo: come si puA2 costruire una tradizione di duemilaquattrocento anni su opere miscellanee, partendo da quanto i manoscritti tramandano di copie di copie di copie di ciA2 che qualche allievo intese essere la parola del maestro e mise per iscritto, opere che hanno avuto indefinite edizioni? Tautologia: bisogna avere fede nella buona fede. CioA?N sperare, o illudersi, di riavere la bocca barbuta di Aristotele a parlarci tramite migliaia di mani e di anni che la??hanno ripetutamente socchiusa, allargata, sperimentata, esplorata, criticata e poi recuperata. Ogni frase che cominci per a??Aristotele pensavaa?? o a??Aristotele dicevaa?? oppure a??Secondo Aristotelea??, dovrebbe essere bandita. Spesso mi fermo ad immaginare Aristotele e Platone totalmente calvi e senza nemmeno un pelo in viso, che passano giornate al fiume a pescare, scherzare e ridere. Li vedo sulla??uscio delle rispettive case, accolti dalle mogli di cui la tradizione non ci dice nulla, imbufalite per aver fatto tardi a cena. Li vedo in quel mondo buio e senza luci, senza rumori di notte e senza troppo vino di giorno. Le loro lacrime scorrono come tutte le altre, durante il giorno della morte del loro padre: giA1 dagli occhi, rapide a solcare le gote e ancora piA1 rapide, cadere in terra, visto che gli inesistenti peli della barba non possono frenare la folle corsa. Li vedo seduti su un tronco da??albero, uno assediato, con piacere, da Sparta, la??altro, con minor piacere, dai capricci di Filippo. Camminando sotto il portico o lungo le colonne che sorreggevano la??edificio della??Accademia, entrambi, assorti nei loro pensieri: la polis, le donne, il buon governo, quanto vino ho bevuto ieri sera eppure dovrei seguire i miei consigli sulla moderazione; dalla??Uno al molteplice e dal molteplice alla??Uno, stamani lo stomaco A?N vuoto, lasciamo sotto il portico la diade e andiamo a cercare qualcosa da mettere sotto i denti; natura o cultura, la morte del corpo e la vita della??anima, il circolo delle rinascite, il passato glorioso di Atene, la decadenza che prepara il campo al futuro impero macedone. Uomini troppo uomini anche loro, Platone e Aristotele. Di voi ci tramandano dottrine e sistemi: nAc una??inquietudine, nAc un lamento. Devo tornare alla preparazione adesso, ma, state tranquilli, ormai A?N impossibile lasciarvi. Non ricorderA2 mai le dottrine etiche di Aristotele, tranne quella del a??giusto mezzoa??: non esagerare, mai lasciarsi soggiogare dalle passioni, ma nemmeno ricadere nella totale insensibilitA?. Troppo sale gonfia la??impasto, poco sale lo deprime. Aristotele ha teorizzato la lievitazione artificiale..
Se fosse un sabato normale, a questa??ora le mie gambe sarebbero parallele ad un materasso e non perpendicolari ad un tavolo; i miei occhi non sarebbero forse chiusi perchAc, paradossi della natura, quando si A?N troppo stanchi non si riposa bene e avrei iniziato giA? il sommario dei piccoli e grandi dolori che avverto per il corpo. I polsi e i palmi delle mani, a causa della forza usata per schiaffeggiare la pizza; gli omeri e le clavicole quasi inceneriti sotto i sacchi di farina; piedi gonfi e quasi palmati, a metA? tra una papera e una rana, ginocchia scricchiolanti per le troppe ore passate a sorreggere i femori e a tener ben ritti tibie e peroni. A? possibile solo un inventario dello scheletro poichAc i muscoli, ormai, sono tanto indolenziti, da lasciare spazio ad un unico, totale stato di gonfiore-dolore che riveste tutto il corpo come una specie di seconda pelle. a volte mi sembra di avere una??aurea di energia come i personaggi dei fumetti giapponesi. Magari fosse cosA??a?| e magari potessi almeno fare il solito inventario. Oggi non A?N possibile perchAc, oltre al lavoro ordinario, ci tocca il buffet serale per il matrimonio. GiA?: vivere, bruciando sotto una finestra aperta agli ingenerosi raggi di un sole cocente, dalle due del pomeriggio alle otto della sera, tra un forno a due piastre, temperatura attorno ai 300 gradi, e una friggitrice, temperatura certa di 280 gradi. Gli sposi saranno ancora lanciati nelle danze quando avremo finito. Finito di cucinare, ovviamente. Poi tutto sarA? caricato sul furgone, mentre qualcuno resterA? a lavare le cinquanta e piA1, teglie di ferro nelle quali sono state cotte le migliori delizie possibili nella rosticceria. Lo stesso carico sarA? portato nelle cucine del ristorante e le stesse persone che lo hanno preparato, svestiti gli abiti da infermieri e vestiti quelli da camerieri, allestiranno la lunga tavolata carica di delizie.
Quando ti trovi stretto tra i tre fuochi, quasi ti manca il respiro. Il tuo corpo, purtroppo, ti obbliga a bere, pur sapendo che tutta quella??acqua sarA? trasformato nello stesso sudore che inizierA? a pervadere ogni piA1 piccola parte del tuo corpo. Le diverse bruciature sulle mano, alcune, piccolissime, non credo andranno mai via, mi hanno insegnato ad usare sempre lo strofinaccio di tessuto duro per cacciare le teglie dal forno e mi saranno di monito, quando non sarA2 piA1 a lavoro, a fare tutto ciA2 che devo e che posso per evitare di tornare di nuovo a tirare teglie dal forno. Il rapporto con la??olio bollente A?N decisamente piA1 disteso. Secondo me la??olio A?N come i cani: capisce quando hai paura e, la??olio, non avendo denti come i cani, non morde ma ti scotta. Quando inizi ad accompagnare con le mani i calzoni, le chele di granchio e tutto il resto, quasi toccando la superficie oscura e ribollente, nemmeno una piccola goccia ti toccherA? le braccia. A? una questione di fiducia: con la??olio bollente si deve empatizzare. Nel frattempo A?N arrivato anche Fausto , il capo, o a??grande capoa?? come a me piace chiamarlo, notando la??irritazione sul suo volto. Ogni volta mi risponde a??io sono un semplice operaioa??. Ed A?N la sacrosanta veritA?: mai visto un capo che lavori piA1 dei dipendenti, che paghi tanto puntualmente, e che aggiunga sempre qualcosa di piA1 a fine serata. Sempre sorridente, tranne quando fervono i preparativi per il matrimonio e, come al solito, siamo in ritardo. Mi ospita a casa sua insieme alla sua famiglia, tutte le volte in cui lavoro piA1 di un giorno: risparmio benzina ed evito il pericolo di guidare a tarda notte con questa stanchezza. Un paio di volte successe che, per evitare guai peggiori, mi fermavo a riposare un poa?? sulle piazzole di sosta svegliandomi, ovviamente, non prima del mattino seguente, con tanto di telefonate preoccupate da parte sua e di mia madre. Da allora non mi ha mai piA1 lasciato tornare a casa dopo il week-end: mi fermavo a dormire lA? e ritornavo il mattino seguente.
Occhi azzurrissimi, come sua moglie e i suoi due bambini, fronte rigata da rughe profonde e un sorriso quasi mai oscurato da tristezza. Sempre chiuso in una camicia attillata, non per moda ma per crescita esponenziale della pancia, ricorda un poa?? i cuochi dei cartoni animati: buffi, col cappello, il pancione e il grembiule. Fausto A?N stato il primo a dirmi a??vai e non ti preoccuparea?? quando li ho lasciati. Ho poi saputo che spesso ha rimpianto la mia assenza, ma non me la??ha mai fatta pesare. Ha diversi mutui da pagare, tra i due bar e i rispettivi laboratori rinnovati, ma non se ne fa un cruccio: ha sempre campato cosA??, senza soldi o, al massimo, con soldi presi in prestito dalle banche. Un altro paio di anni e i debiti saranno sistemati. ChissA? se troverA? un poa?? di tranquillitA?. Credo proprio di no. Ha subito riconosciuto la mia diagnosi come giustissima: tu sei nato per lavorare perchAc senza lavorare non ci sai proprio stare. La??unica persona, di mia conoscenza, che sfrutta la sua unica settimana di ferie in un anno per andare a lavorare i campi insieme al padre anziano. Deve essere un fatto di natura, non ca??A?N alcun dubbio. Un paio di volte sono stato dalle parti dove abita la sua famiglia e ho potuto, credo, immaginare la vita che ha condotto fino a quando, a sedici anni, A?N andato a lavorare per la prima volta in alta Italia come cuoco: una piccola contrada, con una quindicina di nuclei familiari tutta??ora. Animali, terre e desolazione: la??unica vista che ripaga la??occhio per il suo sforzo, A?N la totale apertura sul Vallo di Diano. I suoi genitori, nonostante abbiano passato la settantina, continuano cosA??: terre e animali, di estate e di inverno. La pensione per loro A?N un fatto pratico, sono soldi, solo soldi. La vita A?N una??altra. Non ca??A?N vita senza lavoro e il lavoro, almeno da queste parti, A?N solo uno: terra e animali.
Nonostante il diabete ne fiacchi il corpo da anni, il suo spirito A?N ancora quello di un bambino. Non troverA2 piA1 un superiore con la sua umanitA?. Le mani, dolenti per anni di lavoro, custodiscono i segreti del dolce e del salato; come un artigiano con un pezzo di argilla, lui riesce a modellare sfere di pasta, dolce e salata, nelle forme a lui congeniali. Socrate aveva ragione: tra maestro e discepolo intercorre un rapporto di trasmissione come tra vasi comunicanti. Ma qui non siamo sulla??acropoli nAc per le strade che gettano lo sguardo al Pireo; siamo in un paesino e qui, di quei vasi ateniesi decorati in stile attico, non vi A?N alcuna traccia. Il vaso della dianoia A?N poco utilizzato; qui sono le mani che trasmettono ad altre mani tutta una sapienza che non vuole ricette. E quelle mani tozze e rovinate hanno trasmesso a queste mani, fino ad allora adatte solo al foglio e alla penna, molto piA1 che una visione eidetica. Lavare dei tegami, rompere delle uova o stendere la massa sul tavolo modellandola in forma di pizza, sono solo differenti momenti della stessa lezione. Dalle mani ritorniamo alla??anima. Il percorso A?N molto accidentato, lungo e difficile da percorrersi, ma gli indizi che servono, le molliche che noi piccoli Pollicini andiamo disseminando senza accorgerci, sono tutte intorno a noi.
Comprendo Bruno solo adesso, qui, tra un forno e una friggitrice e il sole che da destra, attraverso una finestra antica quanto il paese, tenta di stordirmi lanciando lame di luce che mi affettano la??orecchio. La differenza tra noi e le scimmie non A?N nella dignitA?, con buona pace del Signore, nAc nella??intelligenza, con buona pace degli evoluzionisti: A?N nelle mani. Adesso che la??olio mi marchia le dita, che le unghia portano a spasso pezzettini di pasta, adesso che riesco a controllare la temperatura della??olio immergendovi un dito capisco che non la massa celebrale, ma le mani, sono le nostre antenne, il nostro sensore di equilibrio. A? la mano che avvicina il circostante, sia esso un calzone, una penna o una pala di ferro. E il corpo segue le mani come un cieco segue il suo bastone: con la fiducia di chi riconosce una guida fidata, con la rassegnazione di chi non ha altra scelta. Ci penso solo adesso: non ho mai scritto disteso sul letto, con la testa che guarda il soffitto e le braccia stese; non ho mai infornato una pizza con le braccia tese e il corpo ben disteso. Solo adesso capisco la saggezza delle mani.
Ha sempre una battuta pronta, una barzelletta da raccontare, un episodio del passato che ti proietti al di fuori del bar e ti dia un attimo di riposo. A? il capo, A?N vero. Ma lavora piA1 di tutti e questo brutto vizio i capi, gli altri capi, non la??hanno ancora assunto. Con molta attenzione, mi ha insegnato a usare i coltelli. La mia poca attenzione la porto segnata sul dito medio della mano sinistra. La??equipe, sotto la guida del capo, continua a lavorare con frenesia: sono le sei del pomeriggio e tra un paio da??ore il buffet deve essere pronto. Cinque persone a lavoro per il vezzo di cinquecento. La??aria sta diventando irrespirabile: troppo caldo, troppo fumo (tra le sigarette di Fausto e la??aspiratore di fumo che non funziona bene), troppo movimento, in quello spazio cosA?? angusto. Ma adesso ho ancora venta??anni e mi basta continuare a pensare alla paga di fine serata e frasi quali a??ce la devi farea??, per andare avanti: integralismo adolescenziale. Avessi potuto fermarmi un poa?? prima, forse avrei fatto a meno di stress e dermatiti. Ma quando il lavoro A?N finito, lo studio ha cessato di essere semplicemente una passione per diventare una vocazione. E la rabbia scaricata nel lavoro A?N diventata impeto per lo studio. Svegliarsi alle sei del mattino, uscire di casa calpestando la neve; il volto ripulito dalla piA1 invisibile peluria (non ho mai odiato nulla della vita come tenere il volto perfettamente rasato); guidare per alcuni chilometri e prendere il primo di tanti caffA?N; continuare a stare in piedi nonostante la stanchezza, le troppe sigarette, il pensiero che vola al di lA? della grata fino a una frase nascosta in un libro nella biblioteca della piA1 piccola cittA? della??Europa centrale o verso una foresta di faggi che non conosce altri rumori che quelli del sottobosco. Continuo a pensare, adesso che tutto A?N pronto e il furgone A?N quasi in partenza, al modo in cui rendere reali le cose che vado pensando e non lasciarle semplicemente pensieri, costretti, come sono, in qualche metro quadro di cucina. I pensieri resterebbero gli stessi, cambierebbero solo di spessore: da desideri volatili, a vita reale.
Finita la preparazione si carica il furgone, ci si veste di tutto punto e si parte: alle volte sono cosA?? elegante da domandarmi cosa mi manchi, oggi, per sostituire lo sposo. Inizia cosA?? la terza, quarta o quinta parte della giornata: ormai ho perso il conto. Svesto i panni del rosticciere per assumere quelli, piA1 comodi, del cameriere. Tutte le prelibatezze cucinate vengono poste in contenitori termici, caricati sul furgone e scaricati poco (o molto) dopo, a seconda della??hotel di destinazione. Se gli inservienti del locale saranno stati buoni, troveremo il buffet giA? montato, altrimenti dovremmo spostare tavoli pesanti come rocce tra la confusione di vestiti ingombranti, sguardi alticci poco rispettosi e una gioia, ai miei occhi, del tutto ingiustificata. Esposta la mercanzia negli appositi spazi, inizierA? la fiera della??ingordigia: non saprei come diversamente definire un buffet pieno di roba allestito per far mangiare gente che ha finito da non piA1 di dieci minuti un pranzo di dodici portate.
Il matrimonio A?N un rito sociale, forse anche un rito di passaggio per certi aspetti. Questo A?N il male minore. Il matrimonio, purtroppo, A?N soprattutto una??istituzione ormai, credo, inestirpabile nella nostra societA?. Io lo eliminerei con decreto legge. Non vedo nessuna ragione perchAc si debba riporre la propria vita di coppia nelle mani del sindaco, sia che appartenga alla cittA? terrena sia che appartenga alla cittA? celeste. La natura non ha bisogno di parole o di sacramenti per perpetuarsi: dunque non sarebbe un problema avere figli. La??attrazione fisica prima o poi finisce e, se qualcosa resta tra due persone spesso tanto differenti, dopo tanti anni, non dovrebbe avere bisogno di ulteriori vincoli per restare in unitA?. Da operaio, ho sempre guardato al giorno della celebrazione come al giorno piA1 felice e, a un tempo, piA1 triste del futuro prossimo e di quello remoto. Si festeggia come un condannato potrebbe festeggiare la??ingresso in carcere. Non A?N qualunquismo da giurato scapolo. A? uno sguardo disincantato, forse cinico. Per bene che vadano le cose, si accetta definitivamente di dividere, condividere, frustrare e tormentare la propria unitA? irripetibile in vista delle piA1 alte o basse pretese da parte del compagno. Cene in famiglia, shopping, forse gite in barca, per i piA1 fortunati. E sullo sfondo, tanto ma tanto vuoto. La??ultimo giorno di relativa libertA? lo si festeggia consumando quintali di cibarie che non potranno nemmeno far felici i cani degli invitati: nei ristoranti A?N vietato portare via gli avanzi, ca??A?N a rischio la salute pubblica. Guardo gli occhi dello sposo e cerco di immaginarli tra dieci, forse venta??anni. Un poa?? appesantito, forse qualche moccioso in giro per casa, una sera a settimana il calcetto con gli amici e tutte le notti a fianco di una persona che non riconosce piA1.
FinchAc continueranno a mangiare e a ballare, non potrA2 muovermi dal tavolo. Non si puA2 andare a fumare, non ci si puA2 sedere nAc si possono appoggiare i pugni: dritte le spalle, ben tesa la schiena, dove le mani si uniranno, una di esse stringerA? la??altro polso. Ma stasera non A?N la stanchezza che mi pesa, immobile come un capitello, qui dietro. Maledetto sia la??arredatore di alberghi che ha messo uno specchio proprio dove lo sposo sta ballando o maledetto lo sposo che balla davanti allo specchio. Posso vedere la mia faccia e non voglio. La sto fissando da qualche minuto: nessuno se na??A?N accorto, ma ho sbagliato. In luogo della cravatta e del collo della camicia, questo straccio doveva restare a cornice di tazze e bicchieri. Tra qualche ora sarA? tutto finito.
Ho lasciato il lavoro quando ho saputo della possibilitA? di partecipare a un concorso di dottorato. Erano passate un paio di settimane dalla mia prima laurea. Qualche giorno prima avevo imparato a fare a meno della bilancia per pesare la pasta.

Angelo Tavolaro
- Un filosofo con... le mani in pasta -
Carlo Di Legge
La notte prima

La notte prima
non riesco a dormire,
non so perchAc:
presentare un libro
A?N quasi un' abitudine.
Ma qualcosa scava e una strada si apre.

La foto di un principe di cinque anni,
in una recita di fine anno,
col viso spaventato
di fronte a tanta gente.

CosA??,
mi tuffo come posso nel passato,
e tra quella folla che non ca??A?N piA1
ritrovo mia madre,
e mio padre, che arriva dal lavoro verso la fine,
ma in tempo per vedermi.
Li ritrovo, e ne sono lieto, con un poa?? di nostalgia,
e quel senso del precario
che a volte mi accompagna.

Ogni immagine che si presenta
nei ritardi del sonno
A?N una domanda alla notte.
Ritrovo presenze smarrite nei corridoi
come dietro le quinte
da??un teatro che sfuma non so dove;
poi, con la luce, continuo a tornare
al gioco e al piacere di esprimere,
in ballo, in amicizia e scrittura.

La notte e il giorno
compongono un senso cruciale della??essere esposto
e del mettere in scena, improvvisando.
Non vista,
sa??A?N fatta una strada di senso vivente.

Nocera Inferiore, 23.10.2011

Carlo Di Legge
- La notte prima -
Carlo Di Legge
Se in te s'accampa
A te
e a colei che sa??avvicina
appartengono i fertili campi del possibile.

Come sabbia, il tempo va:
nel mare di silenzio,
tra veleni, ti accoglie una tenda.

Sei prezioso a te stesso,
ma piA1 preziosa A?N lei, la??ospite rara e vera,
se in te sa??accampa:
si carica parte del tuo peso
senza che tu lo chieda.

La tua saggezza
non eguaglia il suo dono:
curala come e piA1 da??ogni parola.
Donale sicurezza in cambio del suo fuoco.

Lasciale il cielo: lei ti darA? una stella.

27.9.2011

Carlo Di Legge
- Se in te s'accampa -
Roberto Caterina
Elogio della pigrizia
L'uomo pigro
risparmia gli apostrofi
e compra due vocali
in una bustina
quelle che si usavano
quando si fumava
quando c'erano le marche da bollo
e le sigarette sfuse.

Ha comprato la A e la I
e con loro ha tutto il dolore del mondo
Gli basta...

Roberto Caterina
- Elogio della pigrizia -
Lucia Vitelli
Uno scherzo
Ho letto di te per lande e per deserti,
fermo, sotto un pino,
con le nocche insanguinate.

Ti ho amato.

Ti contengo
e sei oltre i confini del mio corpo.
E divengo nulla.

Qualche volta per inerzia hai detto: t'amo.

Uno scherzo
che fluttua in cima all'albero più alto.

Lucia Vitelli
- Uno scherzo -
Lucia Vitelli
Isole sospese
Cinghiali lungo la strada - dova??A?N il passaggio
per arrivare in cima?

Nella dimora nuda dalle finestre senza infissi
volteggiano abbracci di foglie. FugacitA? di viaggi.
Il ritorno.

Siamo isole
sospese
dentro corpi
arcaici.

Guarda.
La porpora da??acqua luccica sul golfo.
Lontano
A?N il respiro del deserto.

Sentiamoci nel ruggito del vento, nella pioggia
che scorre. Nel curvo incanto che mi fa donna. Ti scorgo.





Lucia Vitelli
- Isole sospese -
Carlo Di Legge
Appartenenza



Da che ricordo, ho sempre avvertito
confusamente questa natura
delle due terre:
la pianura della Puglia e le montagne della Campania.

Oggi la strada mi porta a questo vallone immenso e selvaggio
e solitario, che solca
profondo
le montagne, e due falchi sostano nella??aria: da un punto
posso vedere il fondo, dove un ruscello ancora scava.

Come ma??imbatto nelle visioni della terra,
ritorna la condizione antica
ma domanda e risposta si vanno precisando.

Sono paesaggio della??anima
la??aspra faglia, il
corso da??acqua, gli
umidi solchi laterali alla grande valle, dove alberi autunnali
sembra sa??affollino a risalire al cielo.
So di appartenere a quei tronchi, a ogni stilla,
il mio sangue A?N la stessa linfa del vivente, so da??essere
in ogni atomo da??ossigeno o di roccia.
Tutto ha qualcosa di abisso illusorio, e di tormento.
Resisto, ma comincio a sentire
come un lontano invito.



30.10.2008

Carlo Di Legge
- Appartenenza -
Lucia Vitelli
Mare e Roccia
Oltre le nuvole,
il sole.
Spianerebbe
le pieghe del mio cielo.
Dal mattino
nulla
traspare.

Non ho paura
del freddo della??inverno,
continuerA2
ad essere tempesta
per le mille volte
che non sei.

E tu,
come onde permani,
mare,
a sgretolare roccia.

Lucia Vitelli
- Mare e Roccia -
Carlo Di Legge
Le montagne magiche
Corpo di nude montagne, curvo incantamento
dei colori terreni,
madre di cielo e di pietra a??g abisso
da??ogni mancanza, dolce e struggente onnipresenza:
autunno di tutti gli autunni, clavis melancholiae.

Indimenticabile
madre,
ma??inoltro nella fine,
lentamente,
sempre piA1 indietro, verso te,
come in un candido, umido banco di nebbia,
di primo mattino.

Carlo Di Legge
- Le montagne magiche -
Lucia Vitelli
Autunno
Tra filari di uva spina, in un procedere lento,
sta invecchiando il mio tempo che continua a cercarti
con la luce della??estate.

Ea?? stagione di maturazione,
con gli alberi arrosso senza rumore.
Su fogli di memoria, la parola geme,
giunge come una confusa risonanza
di cornacchie nella??aria.
Forse, cambierA? il tempo.
Il candore della??inverno, inevitabilmente
si affaccia e porta freddo. Nelle stradine di campagna
sempre
scudiscia il vento, senza
riguardo, tra il rosso dei capelli.
Scompiglia.
I vortici fanno il giro della montagna, declamano
ragioni di essere ai deboli germogli
e come boomerang tornano parole, cose, immagini.
Le stesse.

La stagione non sorprende piA1, so che il vento
mi attraversa e non si ferma.

Lucia Vitelli
- Autunno -
Carlo Di Legge
Vertigine di settembre


Sto ritornando al viaggio a??g una vertigine, questo
settembre. Nei treni o nelle sale da??attesa
mi assalgono
le immagini, che da un poa?? mi giravano intorno.
Un viaggio in treno: viaggiatori,
clochard che
ancora dormono sui cartoni, alla stazione di cittA?, il viso nascosto
da coperte di lana: una
societA? di monadi, ebbre di solitudine, in
qualche modo attraenti.
Sono vicino a loro, solo che a me
la vita parla
in altri modi,
immagini povere e semplici:
ed A?N come se avessi soluzioni in arrivo.
Avviene invece almeno questo a??g bastano carta e penna,
ovunque mi trovi,
per accogliere figure, ospiti del giorno e della notte, e per
sollevarmi oltre il momento.
Una immagine domina: una cassa per la biancheria.
Nessuno ricorda i suoi anni, non si comprende il colore, A?N molto
scuro. Una volta portava
un tesoro di lenzuola di lino ricamato,
adesso A?N in soggiorno.
Niente pregi, sta un poa?? misera tra i mobili di
famiglia, ormai tirati a lucido. Alla??inizio avevo fretta di farla
ripulire. Il falegname era certo: anche il
rivestimento interno, una carta a minute figure, un poa??
logora, va tolto. A ogni uomo, radici
e identitA? a??g ho sA1bito avvertito resistenze;
In realtA? la cassa A?N buia: A?N un veicolo notturno che viene a me,
intatto, a sua volta viaggiando, ma
dal passato, notte nella luce, luce del presente,
una??entitA? strana e inquietante, testimone solidale,
ineffabile e trasandata presenza di lontananze.
Quasi non volendo la guardo a??g A?N in vista a??g e piA1 mi attrae. I
traslochi e gli anni, forse anche i viaggi in treno, la??hanno messa
alla prova, e tuttavia
mantiene una??apparenza solida e affidabile,
squadrata a perfezione, rugginose borchie e fasce di metallo,
spigoli e angoli rinforzati, due serrature e introvabili
chiavi, maniglie scurite.
La base A?N molto segnata, il legno quasi del tutto allo
scoperto: decenni di stracci bagnati e detersivi per pavimenti hanno
lavorato a scrostare la vernice.
Ca??era giA? con i nonni e prima del matrimonio
dei miei genitori, ha visto nascere figli, visite di parenti e
amici, uscite domenicali, il primo giorno di
scuola, le bande musicali che sfilavano sotto
casa, quel neon verde del bar che si riverberava sul soffitto,
di notte. Ca??era nei giorni sempre uguali e nei momenti decisivi.
Mia madre vi si sedeva sopra, anche verso la fine, per parlare o
riposare.
Proprio i segni non voluti sulla superficie, come le fessure
corrispondenti alle assi, richiamano
i cercatori di tempo.
Ha vita propria: modificarla adesso disturberebbe
la??ascolto. Forse un giorno qualcosa??altro
emergerA?. Non ca??A?N fretta.
Nel tempo, arresti e
ripartenze sono occasioni, coincidenze di treni,
incontri di viaggiatori, con volti e storie.
Esistere A?N avanzare ricordando. I significati sono in memoria, nelle
circolazioni di figure, a volte crude e precise, o dolci o
sfuocate.
Forse un clochard ha tagliato ponti. Io
intendo conservarli. Immagine dei ponti:
del tempo indecifrabile
ho solo date, e nomi e verbi.
Ogni cosa del passato dimostra il
misterioso accadere di ogni attimo, come voltarsi indietro, dal
presente che vacilla, al niente
di ciA2 che fu: paradosso del niente che si presenta, e che posso
toccare e ricordare.
A volte, come adesso, si
affollano i detriti, confusi alle acque del momento,
acque del tempo gonfie e affollate; li
distinguo, e ho bisogno da??una penna e di un foglio,
per sostenere la ricchezza del disordine.
Le poesie sono povere, come la
vita da??ogni giorno.
Dunque in ogni giorno puA2 esserci poesia,
nelle braccia, divenute accoglienti,
della??ovunque.
Aspetto a volte nelle stazioni ferroviarie,
tra barboni
e giovani studenti, con
pezzi di carta in tasca,
che scarabocchio, come il treno mi consente.




Verso le montagne magiche di
San Gregorio Magno, il 23.9.2008

Carlo Di Legge
- Vertigine di settembre -
Carlo Di Legge
La parola in qualche modo salva


Questo panno rattoppato fu una tenda, piena
spesso di polvere, che impediva agli sguardi di
entrare dalle scale in cucina, nella casa del
ricordo. Il cotone A?N ricamato a barche a vela,
riflessi e nuvole, due donne in cuffia e lunga
veste, che guardano il mare,
un albero, un muro a pietre, la
staccionata. So le mani che vi lavorarono.

Quel paesaggio non ha tempo. Io
ho tempo, perchAc sono. E si biforca il tempo,
a partire da questo
attimo: il passato cresce e si
avvolge, si assottiglia
il futuro. Ma A?N prezioso il futuro, a me A?N come
un intervallo
corrente tra memorie
di vite che furono
e mi restano vicine: questo fu il
tempo di lui, questo di lei, tra la??uno e la??altra a??g
affetti, persone fatte
tempo a??g si muove la
prospettiva, una specie di attesa del passato,
un passato ancora da venire.
E
il passato A?N la??esperienza a??g me ne viene un
mormorA??o, come una tenue musica.
Il tempo A?N tutto insieme, A?N qui nella mia casa,
dove la parola dice e si contraddice,
e bruciano visioni di
lunghe fughe di luoghi, cose veloci e di cenere,
in mutamento.
Gli oggetti del contempo mi scortano con
sensibile voce. Gli oggetti hanno parola, che
ne parla, e tuttavia mai sono la parola.
Ora il telo A?N una tovaglia, in cucina.
Salvo quel che posso dalla perdita.
La parola in qualche modo salva.


13 settembre 2008

Carlo Di Legge
- La parola in qualche modo salva -
Lucia Vitelli
Il pianto della rosa
La bella stagione sbiadisce.
Corpi umidi di sudore riposano
dopo una danza sazia.
Come la??autunno silenzioso avanza
ingiallendo foglie, cosA??
sa??illuminano le cose di fredda luce.
Volti, potrebbero non riconoscersi.

Lacrime di rosa fendono la terra,
candori appassiscono.
Leggeri passi il vento cancella in fretta.

Inaffidabile, indifferente,
invisibile sospensione, vento,
come puoi
stemperare un monte
e ridurlo solo a polvere di terra?

Lucia Vitelli
- Il pianto della rosa -
Roberto Caterina
Corri...
Corri, Corri, Corri, Corri, Corri, Corri
e quando sei giunta lontana
non penso che sia il vento
a spingerti
come una foglia
ma
che sia la luna
a chiamarti
E la tua fretta
A?N un'onda
che risplende tra i pini
appena un po' imbronciati
d'essere sempre verdi...

Roberto Caterina
- Corri... -
Carlo Di Legge
Riscrittura
Settembre A?N una porta che attraversi come vento la??erba, e
al tuo passo stormi da??uccelli si
levano. Ogni giorno si aprono strade, i viventi nascono e muoiono.
Credi al motivo che non vedi: un fuoco eterno si cambia
ora con la??A?N, ora con il non A?N.
Grazia, disgrazia, vittoria e sconfitta, ad alta voce si chiamano
come fanciulli che giocano per strada.
Possiedi ciA2 che non ta??appartiene, ti allontani da ciA2 cha??A?N tuo.
Ogni perfezione impetuosa A?N consegnata a distruzione. Forti
e fieri, puri o corrotti, vanno alla grande notte, al nobile lupo
a??g immense fauci a??g che li spegne. A? duro infatti questo, che il
niente possa dare per riprendere.
Il mattino si precipita nella sera, la??alba A?N giA? quasi ciA2 che non A?N
piA1.
La??avvicendarsi mostra una giustizia, amore e disamore vanno
assieme, la??impalpabile fuoco giA? possiede le cose. CiA2 che
appare giA? dilegua, la??invisibile viene incontro.

Conoscenza A?N paradosso, paradosso la??anima, che accomuna i
mortali. Ognuno dibatte la??A?N che non A?N, il non A?N che A?N. Teatro
di notti-giorni, di acquisto che A?N perdita;
ma piA1 forte, il paradosso
dei giorni indecisi, della??indecisa parola che spegne i colori
guardando la??immutabile.
Vita, lontano vicino a ciA2 che non muta. VeritA? mutando resta,
ferma si trasforma.
CiA2 che permane, tu non puoi deciderlo, non va??A?N parola che
possieda la chiave delle porte.

Del medesimo, sempre passa dimensione, forma, colore. Ma il
passaggio A?N meraviglia
del non essendo A?N, della??essendo non A?N piA1.

Sempre meno, sempre troppo gli uomini ti sorprendono. La
vita sorride; altrettanto puoi decidere la morte. Ma non sondare
tristi luci, trova invece il modo che ci sarebbe.
Sempre ti meraviglino ogni giorno la??azzurro del cielo,
le conchiglie, preziose foglie, oro. Non tornano i colori, eppure
torneranno.
Vita A?N una conchiglia incastonata nel niente, la??anima un
miracolo di composti gironi, segrete spirali di conchiglia. Non
confini ma colori.
Alba serena A?N cangiante madreperla, delicato sentimento. Alba
grigia, triste sentimento. Gioia, i colori del tramonto. Ed A?N
sovrano il non ancora, il non A?N piA1.

CiA2 che passa, teatro da una ad altra notte, incerta passerella
di gloria e di tensioni. Ma piA1 glorioso la??uno, che comprende la
discordia, la??A?N e non A?N, il fu e sarA?.

La passione ta??accompagna e il tuo passo A?N degno di canzoni.
Antico e giovane A?N il cuore. Allora
offri un argomento freddo come la??inverno, travolgente come
il tempo. Cura ciA2 che ami, generato transitando
dalla notte alla notte. Settembre A?N arresto, e impeto.
Passione A?N una lanterna accesa nel cuore di settembre.


Settembre 2006

Carlo Di Legge
- Riscrittura -
WIP

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