Squarci | giovedì 4 agosto 2011

Dario de Cesare

Dave e la mosca

Parte 1: Dave e la Mosca

La mosca, ronza.

Sono in alto, sul cornicione.
Che io sia dannato se non mi sento un coglione.
Fa molto caldo, ma non c’è sole.
Nuvole fuori. Nuvole dentro.
“Come sopra, così sotto”, Ermete aveva capito tutto.
Tutto di me.
Aggrappato a tiepida pietra, mi tengo stretto.
Guardo in basso e urlo più che posso.

Sul confine di questo infinito nulla,
Contemplo l’illogicità di un atto,
E l’ultimo sguardo dato al mio gatto.
Stupido gesto privo della più stupida logica.

Forse è un bene terminare qualcosa senza motivazione.
Forse è un bene. Ma in che senso? Nel senso che non è un bene portare a termine le cose? Nel senso che, non portando a termine qualcosa, è bene non avere motivazioni? O che forse bisogna terminare tutto ciò che non è motivato?

Disquisizione linguistica, Il problema.
È tutto così diverso da prima.
Quando prima?
Quand’ero bambino non ci andavo giù tanto pesante con la riflessione.
Quanta stupida merda, risolvibile con una semplice rimozione.
Bisognerebbe capirlo, il linguaggio non è che una funzione.

Dominati dallo strumento.
Lo strumento del gioco che pone le regole del gioco.
Interi complessi, meccanismi e idee intrappolati in vuoti contenitori. Parole.
Nessuno potrà mai salvarci da questo. Senza offesa Gautama.

Perché sono qui? Una domanda fondamentale e senza risposta.
Il problema dev’essere all’interno della parola “perché”, ma non ne sono sicuro.

Come quando sogno.
Credo di avere una spiegazione a questo e penso:
Al mio risveglio tutto ciò avrà senso?
Un “Sì” sembra il mio unico bisogno.

Purtroppo, la risposta a tutto è Forse.

“Tutto questo per un Forse?” Dice il Talmud.
Neanche in questo caso sento rispondermi Sì.
Ancora una volta la risposta è Forse.

E così via, in una reiterata sequenza circolare, la strofa di sopra all’infinito prosegue.
In qualche universo alternativo, dove un matto insiste con la domanda, e un Sì insegue.

Perché sono qui? Per uccidermi? Ma dov’è qui?
Un palazzo, un foglio, un codice binario, ma chi poi, chi?

Chi. È. Dove?

Elimino pronomi e aggettivi personali.

Finché c’è solitudine, non c’è certezza di esistenza.
C’è morte? No.
Non può mica esserci ciò che per definizione non è?
È il vuoto che spaventa? No. È il silenzio.
Silenzio che, su tutto, denota Assenza.
Assenza di chi? Lo stesso chi di cui sopra?

Forse.

Ritorno al palazzo. Un solo passo.
La fine sembra giunta. Che fine?

La perfetta integrazione dell’Entità-Niente che mi rappresenta con l’Entità-Tutto che mi circonda è la fine sostanziale che cerco. Chiamiamola morte naturale del corpo biologico. Faccio il mio dannato passo in avanti e pongo fine alla mia esistenza senza alcuna ragione valida eccetto il fatto che so di star facendo la cosa giusta. Mi rendo conto di aver ricominciato a usare pronomi personali. Qualcosa che distingue me stesso da ciò che non lo è. Perché?

Evidentemente non sei più solo.
Evidentemente è giunta la tua salvezza.
Evidentemente.

Altrettanto evidentemente, ti suggerisco di fermare il tuo ultimo passo.
Fai marcia indietro e parliamone, vuoi? Suicidarsi non è proprio il genere di cosa che farebbe contenta la tua mamma.

La voce? Chi sta parlando? Di chi è questa voce?

Fai un passo indietro. Uno soltanto.
Un passo indietro, per esprimerti il mio disappunto.
Un passo indietro, per rivivere, riscrivere, il mondo che vuoi lasciare.
Un passo indietro, per comprendere perché ti vuoi immolare.
Un passo indietro, per un ultimo sguardo.
Un passo indietro, per tagliare il traguardo.
Un passo, per vedere soluzioni differenti.
Perché io sono differente.

La mosca si posa sulla mia spalla come una vecchia amica.
È la mosca a parlare?

È la mosca a parlare.

Certo di essere impazzito, smetto di voltare le spalle al mondo che mi ha voltato le spalle.
Certo di essere impazzito, mi ritrovo ad apprezzare il mio ultimo fallimento. La mia mancata esecuzione.

Soddisfatto. La mia ricerca di morte si è rivelata una ricerca di follia.
Sposta l’obiettivo, relativizzalo, e vedrai com’è facile tagliare il traguardo.

Sì, cercavo la follia. Fin dal primo momento.
Ora ne sono addirittura certo.

A volte il tuo peggior fallimento riesce a essere la tua benedizione.


Parte 2: I sogni sbagliati (parallelismi non lineari)

Capita spesso di fare sogni sbagliati.
Inseguire desideri mai realizzati.
Concepire una realtà alternativa.
Credere in cose come l’affinità elettiva.
Credere di poter diventare qualcuno.

Chi non vorremmo mai essere: Qualcuno.
A volte speravo di essere Nessuno.
Nessuno mi ha sempre affascinato.

I sogni sbagliati sono terribili.
Ti sei mai svegliato una mattina, felice di essere stato in un posto, aver conosciuto una persona un po’ speciale, aver vissuto un’avventura incredibile in cui tu eri tutto ciò che non sei?

C’è stato un uomo che un giorno, guardandosi allo specchio, riconobbe un volto impaurito nel suo riflesso.

La cosa gli parve del tutto normale.

Ma aveva cominciato a domandarsi da quanto tempo quel volto aveva così paura.
Ci pensò giorno e notte. Ogni istante.

Ma fu prima o dopo che ebbe capito che la sua vita era una menzogna?
I meccanismi di causa e effetto non gli erano mai stati chiari.

Uccise la sua donna. Distrusse il suo regno, disonorò suo padre, e partì per un lungo viaggio.


Quei momenti sono unici; ho forse torto?
Ti svegli. E nulla è più al suo posto.
Provi a fermarti, a capire. Ma c’è solo lo sconforto.

Il tenue ricordo di un abbraccio.
Lo stupore, per l’irrealtà di quel bacio.

Era tutto così vero, e la sua presenza così forte.

E poi… Aspettare la notte.

Aspettare il buio e l’oblio nella speranza di vivere un’illusione.

Vivere sperando di riuscire a vivere una finzione.

Era convinto di aver ucciso un maiale travestito da sua moglie.
Era convinto di aver distrutto una stalla che aveva assunto l’aspetto del suo Regno.
Era convinto di aver disonorato Nessuno.
Era convinto di essere stato vittima di un maleficio.

Avrebbe trovato il Mostro che gli aveva fatto tutto ciò.
Lo avrebbe trovato e lo avrebbe distrutto.

Durante il suo viaggio rivolse la sua attenzione ai Demoni inesistenti.
Entità intrinsecamente connesse con la realtà.
Intelligenze disincarnate che svolgono la loro azione maligna da piani di esistenza impercettibili e non legati in alcun modo alla forma.

Inutile dire che i suoi studi ebbero un caro prezzo.

Non si gioca con Beelzebub senza rimanere corrotti dal suo ignobile potere.

Finisci per non pensare ad altro che a quel sogno.

Innamorarsi di un sogno è una forma di narcisismo assoluta,
Che dentro di noi, silenziosamente, si insinua.

Noi siamo i nostri sogni.

Fino a che non lo comprendiamo: continua. La nostra caduta.

Più o meno le due cose accadono contemporaneamente.
Scoprire l’esistenza del Demonio equivale a dannarsi.

He! La migliore arma del Diavolo è la pubblicità.

L’uomo divenne incurante della vita biologica che lo circondava.
Ogni cosa che toccava si trasformava immediatamente in un cumulo di scorie e sangue.

Era quella la vera natura del mondo? Scorie? Sangue? Allora perché prestargli attenzione?

Poi, ad un certo punto, smette.
Il sogno perde importanza.
Ritorni a alle tue cose
Fingendo che ciò che hai visto e sentito,
Non sia in realtà mai esistito.

Ma dentro di te sai che, prima o poi, la rincontrerai; sotto una forma diversa magari.

E allora sarai di nuovo pronto ad ammettere che Conscio e Inconscio sono due entità distinte e separate,
E che hai tutto il diritto di innamorarti di qualsiasi cosa non sia Te.
Ma l’Inconscio rimane comunque un parente scomodo, troppo stretto.
E consumare con lui sarebbe un incesto e un delitto.

Lo sai.
Preferisci seppellire questa consapevolezza in qualche strato profondo del tuo Io.
Ma lo Sai.

Tutto per innamorarsi ancora. È così squisitamente irragionevole. Innamorarsi…

Tutto per non Amare.

Vivere tra due finzioni, pur di non Amare.

E ancora, quel sogno, rimane un seme di (falsa?) speranza.

Quell’uomo strinse un patto con i Demoni:

Venne investito della carica di Sacerdote della Chiesa Oscura. Uno dei tanti.
Promise che avrebbe diffuso ed esteso la sfera d’influenza demoniaca nel mondo, a patto che egli potesse ritornare a vederlo come un tempo.
Non sopportava più la vista del sangue. Degli escrementi. Il puzzo di morte. Putrefazione.

Divenne così un Agente Inconsapevole.
Portatore di corruzione.
Servo dell’oscurità.

Il suo Regno tornò in piedi. Sua moglie rinacque e suo padre fu fiero di lui…

Sottile poi, quel confine tra Illusione e Speranza.

“I sogni sono le scorie del sonno.”
“Come i pensieri, che sono le scorie della mente.”


Parte 3: Arriva John.

Ricordo poco distintamente quando da uno divenni due.

Purtroppo il passo successivo sarà più semplice.
È sempre così.
Discendere la spirale è sempre più facile che risalirla.

Come è vissuto l’uomo del tuo racconto?
Ha continuato la sua discesa?

E tu? Continui ancora la tua? Giochi ancora con i fuochi fatui?

Forse.

Ti sei mai chiesto quante sono le facce del Demonio?
Mai provato a contarle?
Per quanto tu possa andare avanti nella tua ingenua progressione numerica, Lui riesce a trovare sempre un nuovo modo di apparire.

Lui ti tenta.

Io ribatto.

Esegui un colpo magistrale, te ne compiaci, ed ecco che Lui si è insinuato nel tuo compiacimento. Sei sempre dove ti vuole Lui.

Come sai tutte queste cose?

Chi non le conosce è già fatto Demone.
Hai mai sentito parlare degli Agenti Inconsapevoli?

Allora… Io…?

Forse.

Troppo spesso ti sembra di aver capito qualcosa di importante e il tuo processo logico viene interrotto da qualcos’altro. Una sveglia al mattino, una madre che ti chiama per il pranzo. La pubblicità durante un film, nel momento più bello. Una cambio di scena improvviso, sapientemente orchestrato da un abile regista, per aumentare la suspance di un racconto.
Eppure, senza simili interruzioni, forse non ricorderemmo mai così profondamente.

Stai attento. Non distrarti. Non distrarti.

Ma è già tardi. L’ho fatto.

Ho percepito l’attimo in cui il due è diventato tre.

Buonasera Dave. Il mio nome è John.
Vengo dalle Terre del Sogno.

Il vestito bianco. È tutto ciò che serve per descriverlo.

Così palesemente angelico. Talmente alto, splendente, distante, alieno.

Ho sempre temuto le mosche. Ma questo è diverso.
Non hai mai avuto l’opportunità di guardare qualcosa e di provare un sapore strano, come se fosse l’eco di un ricordo distante?

Il Rimbombo, feedback di una detonazione avviata in un luogo diverso, in un tempo diverso.

Un suono che, per quanto cupo, triste e misterioso, ricorda una sensazione di pace infinita.
Ma solo un ricordo.
Svanisce nel momento in cui cerco di farlo mio.

Quell’eco di sogni, visioni o rumori distanti si è incarnata.

Perché sei qui?

Una mosca. Alla fine, è dunque questa la forma che hai scelto.

Dave. Sto cercando la Donna Senza Nome.

Se un angelo ti dicesse che la donna che non hai potuto fare altro che sognare esiste davvero, e che lui è qui per cercarla, tu gli crederesti?
Se l’ambasciatore fosse fatto della stessa sostanza eterea dei sogni…
Riprova che forse, su un piano diverso…

“Noi siamo i nostri sogni”.
“Narcisismo”.
“Caduta”.
“Incesto”.

Ho il diritto. Ho il diritto!

Quando si parte?

Parte 4:

Non faccio in tempo a concludere, che la domanda si è trasformata in:
Quando siamo partiti?


Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.