Squarci | sabato 25 giugno 2011
Diego Fabi
Verso sentieri di marmo
l silenzio qui è soffocante e t'immerge nel buio. Sui candelabri l'arancione si sfuma col rosso in sfere che illuminano vecchie pareti affrescate.
Questi i sussurri che ho da fare, ascolta tutto, ascolta tutti.
In questo luogo poggiano il piede scalzo solo creature pure.
Nessun grano di polvere, nessun respiro sporco.
I tuoi abiti non hanno importanza alcuna, a nessun cuore con troppi battiti è permesso far eco tra queste mura.
Fregiato quel portone da foglie verdi – lo vedi? – nate da rami di faggio sui quali alcuna faggina diventa matura per poi ricadere. La sagoma del corvo tienila a mente, affinché il suo gracchiare sia per te musica.
Qui l'eterno è immutabile.
Il vento scorre col torrente in un circolo perfetto.
Non sporcare, non cantare, solo ai guardiani è permesso godere tra questi marmi.
Lasciando tutto uguale a se stesso, le tue cosce il tuo petto e le tue labbra non scalfiranno l'immobilità di questi luoghi.
Ma una rosa con un'unica spina: solo lei temono i guardiani, solo lei fa tremare la stanza dei marmi eterni.
Ed è così che appare ciò che vive all'esterno: un cuore trasformato, un muscolo meccanico di ingranaggi metallici di cui il clangore di ogni battito risuona come campane a morto, su di una città sovraffollata.
Non si sente il silenzio, non si ascolta il trambusto. Sgorga una soluzione salina, scorre nella gola arrugginendo ogni bullone, un ragno tesse tele di amianto: veleno e immobilità.
Come ci si arrivi quaggiù non lo si sa.
Nulla resta di ciò che era.
Alla deriva su di un tronco marcio soffocato da piume di gabbiano affamato, stormi di uccelli a banchettare su stormi di immondizia: anche i pettirossi hanno smesso di cantare bellezze antiche, dal loro petto sgorga costante un rivolo di speranza tinta di rosso là dove sangue sacro era zampillato in tempi lontani. Ammassati nella polvere, ricoperti da sacchi di iuta con un lume acceso c'è chi cerca riparo.
Ma anche lì vige la solitudine dell'uomo che troppo ha letto ma nulla ha capito.
Che cosa importa avanzare?
Mentre il padrone è lontano sopraffatto dalla sbornia, che importanza ha trovare la chiave? Pensando alla chiave ognuno conferma la propria prigione. L'immobilità è la prima culla con la sua nenia infinita, è il suo perpetuo dondolare il primo male, quello più intimo. Tutto è immobile e tutto è fisso in se stesso: non vale la pena cercare riparo dal sole alto e vestito da boia.