Squarci | lunedì 25 gennaio 2010

Aristide Abbati

Incontro con la Signora in Nero

Subito dopo il primo bombardamento di Rimini, all’inizio di novembre del 1942, mio fratello Achille, mia sorella Marisa ed io, siamo stati portati a San Marino dai nostri genitori, che lì ci hanno lasciati, insieme a nostra zia Lina, per sottrarci ai pericoli bellici. Infatti si presumeva che San Marino, come repubblica autonoma e neutrale, sarebbe stata rispettata da entrambe le parti belligeranti, presunzione poi rivelatasi fallace. Tuttavia, man mano che il fronte si avvicinava alla Linea Gotica, sempre più frequenti si facevano i bombardamenti su Rimini ed il sorvolo del territorio di San Marino da parte dell’aviazione anglo-americana, i tristemente noti quadrimotori Liberator, mentre le sirene d’allarme ne preannunciavano l’arrivo. Già nell’estate 1943 alcuni Sammarinesi cominciarono a trasferirsi, con materassi, coperte ed effetti personali, nelle gallerie della linea ferroviaria Rimini - San Marino, scavate sotto cento metri di roccia viva; presto molti altri, noi inclusi, li seguirono insieme a sfollati provenienti da Rimini e dalle cittadine della costa, cosicché le gallerie divennero delle enormi, affollatissime camerate, da cui si usciva solo per le esigenze fisiologiche, per cercare provviste nelle campagne circostanti e per cucinare qualche modestissimo cibo.
Noi ragazzini, appena suonava l’allarme, incuranti degli strilli e rimbrotti degli adulti, scappavamo dalla galleria verso i punti panoramici della città, per vedere gli aerei e verificare dove avrebbero bombardato; talvolta riuscivamo perfino a vedere i grappoli di bombe appena sganciati, che luccicavano al sole; poi tutto veniva nascosto dalle altissime nuvole di polvere e fumo; di solito su Rimini, che ne uscì distrutta all’80%.
Il 26 giugno 1944 avevo sentito l’ululare della sirena ed ero corso ad un punto d’osservazione fuori le mura, nella parte bassa della città, distante un paio di chilometri dall’imbocco della galleria. Avevo appena cominciato a percepire il rombo cupo degli aerei che fui investito da un violento spostamento d’aria ed assordato da un tremendo scoppio, cui ne seguirono molti altri.
Mentre correndo risalivo la strada diretto verso la galleria vedevo, circa duecento metri più avanti, un piccolo carretto tirato da un asino; in piedi sul carretto un uomo che frustava e incitava l’asino per farlo accelerare. Ancora uno scoppio violento: il carrettiere viene scaraventato a terra ed anche l’asino stramazza. Nel passar lì vicino sempre correndo, vedo sia l’uomo che l’asino orrendamente sventrati dalle schegge della bomba: è il mio primo incontro ravvicinato con la Signora in Nero e non è certo piacevole.


Su Aristide Abbati
Nato a Rimini nel 1931, da padre ferrarese e madre viennese, entrambi medici, dopo un periodo ad Ancona nell’Istituto Tecnico Nautico ed un altro di lavori vari, è entrato nel settore nautico, con incarichi dapprima di carattere tecnico, poi commerciale. Per motivi di lavoro ha viaggiato parecchio, con particolare frequenza in Francia, Germania e Stati Uniti. Appassionato di vela, senza tuttavia aver raggiunto livelli rilevanti in tale sport. Da molti anni in pensione, nonno orgoglioso di tre splendidi nipoti, tutti all’Università, si diletta di lettura e talvolta di tradurre dispense e tesi di laurea per figli universitari di amici e dei loro amici, senza mai rinunciare ad una passeggiata di un paio d’ore prima dell’alba sul lungomare di Terracina.

Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.