Squarci | domenica 12 agosto 2007

Celeste Napolitano

Lettera a una persona scomparsa

Il desiderio di trovare ancora qualcosa, lassù tra le nuvole, mi spinge a non staccare lo sguardo da quella massa che oggi mi sembra nient’altro che amorfa e incolore. Forse, se smettessi di piangere, troverei un senso nel lento fluire delle onde del cielo. Invece guardo e non riesco ad individuare niente che somigli al tuo viso. E nel caleidoscopio dei ricordi tutte le situazioni che abbiamo vissuto insieme prendono vita, apparendo nitide, come se fossero recenti, proprio adesso che cerco di scacciarle dalla memoria. E’ comunque bello. E fa un po’ male. Penso quasi con orrore ai giorni più belli della mia vita, a quelli che verranno:la laurea, il matrimonio, i riconoscimenti che sogno, notte e giorno…e se ci fossero le nuvole,mi vedresti lo stesso?
Non so aspettare che scenda la notte e sogno quei momenti anche col sole, mentre cammino per strada, mentre viaggio, mentre affronto le mie giornate senza averti più accanto. Non mi soffermo sulla vita che mi scorre intorno, ma su quella che vivo nella mia mente, e cerco di immaginare momenti belli e brutti,e mi sforzo di affrontare tutto a testa alta, come tu mi hai insegnato a fare. Questa sensazione di vuoto, però, davvero non l’avevo mai prevista. Ho imparato col tempo che esistono cose, nella vita, che non bastano una viva attenzione e la più prestigiosa delle scuole a spiegarti. Che il dolore, a un certo punto, evapora e va a rannicchiarsi lì, in un angolo di cielo, coprendone la vista. E si mescola con l’amore, e con i sogni…
Il mio rimpianto più grande è solo il desiderio di un tuo abbraccio. Sono alla ricerca ossessiva di un contatto, di una mano virtuale che mi unisca a te (quando il tuo profumo, da solo, non basta più a farlo), ovunque tu sia.
Tutti trovano nella tua assenza qualcosa di insopportabile. Io, semplicemente, non riesco ad accettare che tu non ci sia più.
Non riesco a pensare di tornare a casa e non saperti preoccupato per me e per i miei studi.
Mi capita spesso di sentirmi lontana da tutto e tutti. E vedo, nei miei silenzi, qualcosa di più profondo, di più sincero e reale di una manifestazione continua di dolore.
Mi sono ricavata un bozzolo nel quale rintanarmi quando mi sembra che tutto scorra troppo indifferente, e tuttavia resto tranquilla e vivo le mie giornate ricordando quanto ci siamo divertiti, noi due.
Navigo alla deriva, tra i miei pensieri sparsi,e mi perdo…
Leggo di più. So che ti faceva piacere scoprirmi assorta in un libro diverso ogni volta, e che ti
divertivi a scoprirmi ogni giorno un po’ più grande.
Ogni tanto guardo le poche foto scattate insieme, segni tangibili di emozioni cristallizzate in età, corpi e luoghi che non esistono più, se non dentro noi stessi.
Sono rimasta l’unica custode dei miei ricordi con te.

L’idea di iscrivermi alla facoltà di medicina mi perseguita. Non c’entra molto, lo sai, con le mie inclinazioni letterarie (che mi derivano da te), con il mio amore per la scrittura. Eppure vorrei trascorrere la mia esistenza a cercare la cura contro l’Alzheimer, contro il suo muro invalicabile, contro quei silenzi a cui ti costringeva. Farei in modo di ridarti, almeno in parte, tutte quelle idee e le belle parole che ti rubava, una in più, ogni giorno. Restituirei tutto a te, restituendolo ad altri.
Se non ci fosse stata quella malattia a cancellare i tuoi discorsi (i pensieri, quelli non li ha mai sfiorati: si vedeva da come sorridevi, da come osservavi il mondo), saresti andato via ugualmente - lo so - ma almeno mi avresti detto per l’ultima volta quanto mi volevi bene, e che per te siamo tutti uguali ma io sono “un po’ diversa”…
Provo uno strano rimpianto, perché penso che avrei dovuto dirti tante cose che poi non ho potuto più dirti. E te ne sei andato proprio ora che finalmente avresti potuto essere orgoglioso di qualcosa di me. Ho bisogno di averti accanto.

Ti ho sempre considerato un dono, un privilegio. E vivo male il fatto che tu mi sia stato portato via. Mi sento defraudata del tuo amore, dei tuoi sorrisi, della tua presenza. Sento, per la prima volta nella mia vita, la morte come un ingiusto furto di qualcosa che mi apparteneva...

Quando si racconta di te e di quanto tu fossi bravo, onesto, leale, generoso, me ne vado altrove senza commentare. Mi sembra che i miei ricordi, pieni soltanto di una tenerezza infinita, e la mia vita con te, non abbiano assolutamente nulla in comune con tutto ciò di cui si parla. Non amo i discorsi che ti riguardano. Preferisco rannicchiarmi da sola e ricordare in silenzio. Preferisco chiudermi in camera ed ascoltare la musica che ascoltavamo insieme, come se tu fossi qui, da qualche parte, pronto a spiegarmi le parole difficili che non capivo, e che d’ora in poi imparerò da sola.
Nell’angolino più segreto della mia mente c’è una stanza tutta per te, tutta per noi, dove si annidano le infinite cose che mi hai insegnato, i doni che mi facevi ogni giorno insegnandomi ad essere come te, i sorrisi, le carezze, qualche dolce rimprovero che oggi rimpiango. In quell’angolino nascosto agli altri è racchiusa la mia vita di prima, i miei ricordi più belli che, d’ora in avanti, divideremo equamente, tu da lassù ed io qui.
Tra i miei ricordi prevale un pomeriggio di primavera. Eravamo proprio qui. Un vetro ci separava dal “cielo infinito”, e la tua mano indicava ai miei occhi di bambina quello che ora è diventato il teatro dei miei ricordi, e che ad ogni sguardo proietta una scena diversa della mia vita.
In fondo ho trovato...
È questo il mio abbraccio per te…


Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.