Squarci | domenica 18 dicembre 2005
Paola D'Agostino
Fumo
Da quando ho smesso di fumare, credo che il tabacco induca alla pigrizia. Ma non ad una pigrizia mentale, no, alla pigrizia fisica, anzi ad una pigrizia fisica e mentale insieme. All’inquietudine del post-moderno, se fumi, rispondi accendendoti una sigaretta, da fermo, senza lasciare o cominciare nessun’altra attività. Solo fumare.
Ma se non fumi, o meglio se non fumi più, quando ti assale quell’indisturbato istinto di evasione, o di riflessione, quell’energia “poietica”, se non puoi più accenderti una sigaretta allora fai qualcosa di diverso, scrivi, dipingi un quadro, disegni un oggetto qualunque, oppure innaffi un geranio smorto, o pianti un albero di limoni.
Insomma, moltiplicando per 10 (volendo essere ottimisti) o per 20 (se fumavi un pacchetto al giorno) quei 5 e più minuti dedicati alla sigaretta, si ottiene uno sconto di un’ora o due al giorno sul tempo totale della nostra vita, e poi se si moltiplica per i mesi e gli anni, e per tutto quello che se ne può trarre, allora non fumare è una sorta di riappropriazione del tempo, nonché del corpo, che si libera da una gestualità necessaria (quella di guardare la proprie dita, indice e medio ma non solo, illanguidirsi intorno al cilindro esiguo disegnato dal tabacco).
Ora, sono convinta che tutte le campagne anti-fumo che di recente affliggono la comunità non dipendano da un desiderio dello Stato-chioccia di proteggere la salute del cittadino-pargolo, ma anzi, al contrario, da un tentativo di aumentare la produttività dell’uomo-impiegato, eliminando il pericolo di quella ora o due che egli passerebbe, altrimenti, a chiacchierare con i colleghi e tramare ai danni della società tra un tiro e l’altro.
Ho smesso di fumare, perciò scrivo queste righe. La mia inquietudine post-moderna cerca ora nuove valvole di sfogo, nuove gestualità non obbligate, nuovi spazi di intervento.