Squarci | domenica 11 febbraio 2007
Teresa Di Rosa
Acqua e vento
Che cosa posso scrivere? Il tempo è troppo poco… una sola settimana. È impossibile sviluppare un’idea in una sola settimana. L’ispirazione, dove diavolo la trovo? Che cosa posso scrivere? Un racconto su un prigioniero condannato a morte? La confessione di un inetto a vivere? Non mi convince. Scrivere qualcosa di classico? Ma sarei in grado di farlo? C’è una traccia? “Da quel giorno tutto cambiò…” Non mi convince. Ho bisogno di un’idea. L’incubo di uno scrittore: l’inaridimento della vena creativa. Calmo, devo stare calmo. È meglio se mi faccio una camomilla. Teiera, acqua, fornelli. Dov’è la confezione di camomilla?
Non riesco a ricordare niente! Nessuna tecnica per stimolare l’ispirazione, e sì che ce ne sono! Non riesco a concentrarmi, ad avere quella specie di illuminazione. La cosa importante è l’idea. Le parole seguono. «Datemi una parola e vi racconto una storia», diceva Tolkien. Avrei bisogno di lui, della sua mente, della sua anima. Ma io non conosco la sua anima, né quella di qualcun altro. A malapena conosco la mia. La conoscenza è potere. Conoscere l’anima di una persona significa dominarla ed è questo il motivo per cui l’anima, come giusto che sia, è insondabile.
L’anima deve rimanere insondabile anche a causa dell’esistenza del nostro lato oscuro, della nostra Bestia che è sotto il nostro controllo, soggiogata a stento. Sappiamo benissimo che non può essere vista né tantomeno conosciuta dagli altri e spesso nemmeno da noi stessi. Forse è proprio questa l’idea giusta, quella che cercavo!
Le 9 in punto e devo consegnare domani. Ce la farò. Ok, cominciamo a buttare giù: fogli, penna… e il titolo? The soul day. È orrendo! Lo cambierò dopo…
“Ci sono giorni in cui vorresti non essere mai nato. Vorresti sparire, così, semplicemente. Vorresti essere tagliato in minuscoli frammenti, completamente. Non lasciando nulla dietro di te. Io mi sento così. Da anni. Senza alcuna via d’uscita. Mia moglie. I miei figli. Gabriele e Sara. Non mi amano. Non mi hanno mai amato. E come potrebbero? Io sono un inetto a vivere, un personaggio sveviano che ha preso vita. Sono stato un impiegato in una compagnia di assicurazione per più di vent’anni. Ho una casa, una famiglia e una vita normali. Molti sarebbero felici al mio posto, o ne sarebbero persuasi, essendo il tipo di vita toccato in sorte alla maggior parte delle persone. Tuttavia non posso essere felice, io. Decisamente non era la vita che sognavo da bambino. Mi sarebbe piaciuto essere un pittore. Ma non avrei potuto. Mi manca il talento. Ora sono soltanto un amante dell’arte. Probabilmente ne so più di un esperto. Il mio pittore preferito? Non c’è qualcuno in particolare. Forse Picasso, Klimt, Caravaggio, Antonello da Messina.
Devo fare una premessa. Sono ateo. Se fossi rimasto cristiano sarei impazzito. Credere in una vita dopo la morte è soltanto l’esorcismo della nostra paura della morte, della nostra paura che, quando siamo morti, siamo morti. Interrotti. Finiti. Annullati. Scomparsi. Cancellati. Le persone hanno paura di questa eventualità. Ma non io. È differente per me. Sapere che la morte è la fine della vita è stato sempre un pensiero confortante.
Ad ogni modo, sono terrorizzato adesso. Temo che la morte non metta la parola fine a noi stessi. Temo vi sia altro dopo la morte. C’è stato un giorno. Da quel giorno tutto cambiò…”.