Da Kyoto | venerdì 18 agosto 2006

Alessandro W. Mavilio

Karma e sangue freddo

Spesso per scherzare (con chi mi può capire) uso dire questa frase: "Karma e sangue freddo"...

Scherzando scherzando ho pensato che questa frase dipinge a pennello i Giapponesi e il loro modo di vivere la società, il mondo.

Mi spiego.

Il senso civico e l'educazione di questo popolo sono proverbiali. Masse enormi di persone si muovono senza quasi lasciare tracce o "scorie". Basti pensare ai vagoni dei treni (dove transitano milioni di persone al giorno); basti pensare ai bagni degli aerei Alitalia che coprono la tratta Italia-Giappone, e nei quali, a fine volo - dopo ben 11 ore in cui 450 persone si sono date il cambio in poche toilettes (!) - il bagno viene "consegnato" alla squadra di pulizie dell'aeroporto di arrivo più pulito di come la squadra di pulizia dell'aeroporto di partenza lo ha consegnato ai clienti.

Eppure capita anche di vedere cose che lasciano sbalorditi noi Occidentali:

1) Una vecchietta cade rovinosamente dalla bicicletta perché l'equilibrio l’ha tradita proprio mentre costeggiava un insidioso marciapiede... Nessuno accorre.

2) Un bambino ha perso la mamma in un grande magazzino - e urla disperato - ma nessuno gli si accosta per tranquillizzarlo. Se è il caso, ci penserà il personale del grande magazzino.

3) Io dimentico una borsa nello stesso grande magazzino di cui sopra e nessuno pare accorgersene. Nessuno, evidentemente, mi ha guardato, nessuno - anche chi mi ha guardato - mi corre dietro per dirmi della mia borsa.

Quando lo sbadato di turno si accorge della perdita non può far altro che tornare sui propri passi, e ricostruire i propri movimenti fino a risalire, come un segugio, alla propria borsa. Che è rimasta lì, intatta e integra, tra fiumi di persone (tutte sbadate?)...

Eppure i Giapponesi piangono per il dolore, temono gli ospedali, amano i bambini, sono capaci di slanci commoventi e carezze tremendamente dolci... A patto che tutto ciò avvenga nella sfera privata. O anche in pubblico, ma che il bersaglio del loro "amore" sia una persona della sfera personale e non uno sconosciuto.

Cosa sarebbe portato a fare un Occidentale - ben educato - alla vista di una vecchietta che cade rovinosamente dalla bicicletta? O di un bambino - bellissimo e struggente - che chiama la mamma? O alla vista di un turista sbadato che dimentica la borsa? Ma è ovvio! Se può, corre dietro alla persona, si lancia, offre e, se può, previene addirittura il problema.

Una vecchia sta per cadere? Ci si lancia prima che cada.
Il bimbo ha preso tutt'altra strada, tra gli scaffali, rispetto alla mamma? Lo si instrada, magari con una smorfia, prima che perda di vista, definitivamente, la mamma.
Un Giapponese rimbambito dimentica la borsa? Lo si insegue - a rischio di sembrare un rapinatore in fuga - per restituirgli le sue cose.

Bene, tornando al karma, noi Occidentali non sappiamo che cosa sia. I Giapponesi nemmeno (!), ma sembrano conoscerlo, rispettarlo e applicarlo in maniera innata.

Ogni azione genera una "scia" in questo mondo, e non ci si prende cura, non si preoccupa di azioni che non ci riguardino o investano direttamente.

Né piccole né grandi azioni.
Nulla va fatto affinché tutto si compia nella sua interezza.

Per questo nei cuori dei Giapponesi non c'è cavalleria, non c'è pena per anziani e handicappati, non c'è preoccupazione per il bimbo smarrito. Non può essercene per non andare contro al naturale fluire degli avvenimenti. E questi avvenimenti (eccezionali o
quotidiani) non hanno calore né gelo. Sono solo avvenimenti, cose che accadono. Nel trambusto del Giappone, nelle metropoli o nel silenzio ronzante della loro campagna.

Qualcuno ha generato un sistema che solleva i Giapponesi dal provare questi pericolosi sentimenti in grado di mettere scompiglio nell'ordine naturale delle cose. Solo le istituzioni sono presenti e assistono anziani, ciechi, handicappati, bambini, barboni, stranieri... In maniera ineccepibile e preventiva.

Ma il "popolo" vive agendo al minimo, e "questo qualcuno" si preoccupa di tenere sempre ben piena la pancia dei suoi sudditi.


Su Alessandro W. Mavilio
Orientalista, scrittore, cineasta. Laureato in Lingua e Letteratura giapponese presso l’Università “L’Orientale” di Napoli, Alessandro Mavilio ha insegnato per più di un decennio all’Università Industriale di Kyoto. Nell’àmbito del progetto “Taoist Movies” è autore anche di numerosi cortometraggi sperimentali girati in Giappone.

Sulla rubrica Da Kyoto
Di tanto in tanto un contributo da Kyoto, l'antica capitale del Giappone. Perché questo è un mondo immenso e le grandi distanze, le culture diverse, mettono alla prova le capacità del pensiero. Il pensiero e le visioni del mondo non sono mai scontati. Se si cambia orizzonte geografico, e l'angolo d'osservazione per guardare il mondo e per riflettere su di esso, ci si accorge subito che i punti di vista - gli stili del pensiero - sono innumerevoli... Questi scritti sono stati raccolti in circa dieci anni e si sono condensati e completati nel libro "Il Recinto. Sguardi e riflessioni sul Giappone".

Il Recinto. Sguardi e riflessioni sul Giappone, di Alessandro W. Mavilio (Gli Ibischi, 2015)