Squarci | sabato 18 febbraio 2006

Carmen Vicinanza

Prévert

Tuo padre amava Prévert, mi hai detto, sciacquando le tazze chino sul lavello della cucina. Hai ritrovato i suoi diari. Aveva trascritto stralci di poesie di Prévert.
Hai letto i suoi pensieri a vent’anni. Non ha mai visto i trenta. Eppure aveva fatto già tante cose.
Anche tu ne hai fatte tante. Sarebbe fiero di te, lo sento. Puoi leggerlo nei piccoli segreti che ha voluto lasciarti. Non si scrive nulla che non si voglia conservare.
Avrà sentito l’esigenza di comunicare col futuro. Sei il figlio di Icaro che, quando scriveva, non sapeva neppure che sarebbe stato tuo padre. Non conosceva il tuo volto, non immaginava cosa avrebbe creato.

Mi parli talmente tanto poco di lui che scopro soltanto dopo anni questa sua vocazione poetica. Mi hai detto che neanche io ti parlo mai di mio padre. È vero, non so perché.

Mi emoziona sempre parlare con te. E’ come assaporare un privilegio. Scavi nel mio profondo anche quando scherzi.
Sono orgogliosa di essere un tassello del tuo ingranaggio. Non è facile da spiegare,
ma non importa. Le cose importanti non hanno bisogno di spiegazioni. E va bene così.


Su Carmen Vicinanza
Nasce a Salerno nel 1970 sotto il segno dello Scorpione, che per l’astrologia indiana è la peggiore disgrazia astrale che possa capitare ad un essere vivente… Si è laureata in “Lingue e letterature straniere moderne”, con indirizzo orientale, studiando le lingue hindi e urdu. Con la laurea ben riposta nel cassetto, ha sempre lavorato in altri settori. Ha iniziato col teatro, come attrice, regista, autrice. Ha fatto traduzioni e lavorato come interprete. Ha poi trovato il lavoro che più sembra appartenerle: una società di ufficio stampa e pubbliche relazioni per manifestazioni culturali. Ha una passione smodata per l’India dove va appena le è possibile. Ha sempre adorato scrivere, appuntare, fissare sensazioni, emozioni, umori. Non è mai stata pubblicata forse anche perché ha sempre custodito, con un senso di possesso misto a pudore, i propri libercoli.

Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.