Squarci | domenica 27 novembre 2005
Maresa Sanniti di Baja
Aspettando Maria
Anche quel giorno. Era lì, sulla panchina al bordo del controviale, con la giacca chiusa fino al collo, le ginocchia accostate, le mani delicatamente poggiate in grembo. Quel viso impenetrabile, quell’aria distaccata lo irritavano quasi. Le aveva dato un’identità e un nome, semplice e convenzionale come lei: si chiamava Maria, lavorava in una fabbrica di camicie, e aspettava una collega, Anna, che l’accompagnava con il motorino. Cosa realmente succedesse però non poteva saperlo, perché quando finiva il giro e tornava al capolinea lei non c’era più.
Lo irritava l’evidente distacco con cui Maria accettava la monotonia della vita, chiusa nell’attesa che lui vedeva ripetersi ogni giorno, sempre uguale. E allo stesso tempo era attratto da lei, la cercava prima ancora di salire al suo posto di guida; non riusciva a pensare all’eventualità che qualche mattina lei non ci fosse; la sua presenza garantiva la quotidianità, la monotona sicurezza che la vita andava sempre, comunque, avanti.
Già, l’odiosa quotidianità! I riti fissi dove i soli cambiamenti erano l’alternarsi dei turni di servizio di giorno o di notte. La famiglia. Sua moglie perennemente pallida, i capelli in disordine, l’aria di chi ha dormito poco e sofferto molto. Il corpo sodo e gli occhi luminosi avevano ceduto presto di fronte alle notti insonni con i bambini in pianto, i panni da lavare, i conti da quadrare, un pranzo e una cena decenti da mettere insieme. E poi i bambini. Matteo ormai aveva tredici anni, Luca quasi dodici. Diventavano grandi e questo era un sollievo. Ma erano due in più a portare problemi. E poi chiedevano sempre, pretendevano. Con Matteo in particolare era difficile parlare, con la testa fra le nuvole e le ambizioni artistiche, mentre la vita è fatta di problemi pratici, malattie da curare, bollette da pagare, futuro incerto.
A volte si sentiva stanco come se avesse sulle spalle il peso di tutta la quotidianità del mondo. Odiava la sua incapacità di reagire. Alla guida dell’autobus, guardando le cime dei monti oltre il porto, si chiedeva se al di là di quel confine la vita avesse colori più vivi e cosa sarebbe successo se, tutto a un tratto, avesse spinto l’acceleratore e cambiato rotta per andare a vedere.
Ma questo, pensava, non sarebbe mai accaduto.
Si sentiva come un leone in cattività: le sbarre della gabbia erano i suoi percorsi fissi, i semafori, il traffico, i pedoni che sbucano fuori d’improvviso, lo slalom dei motorini. Ma per fortuna c’era Maria. L’unica cosa bella. La vita di lei gli apparteneva; lui la creava aggiungendovi ogni tanto nuovi particolari.
Viveva sola, perché lui non le aveva ancora immaginato una famiglia. La camera da letto era giallina, scialba come lei; la testata del letto di legno, scomoda per leggere un po’ la notte prima di addormentarsi. Comunque, Maria non leggeva la sera, tornava stanca. A volte non cenava nemmeno, le bastava il pranzo alla mensa in fabbrica. Piuttosto, preparava la biancheria pulita per il giorno dopo, lavava quella che aveva indossato, la stendeva sul portasciugamani del bagno (dalle piastrelle bianche) e si addormentava presto in attesa del suo domani sempre uguale…
Quella mattina lui avrebbe iniziato il turno in ritardo. L’acquazzone della notte e le onde gonfie del mare avevano sconvolto la città che, mezzo allagata, stentava a rimettersi in moto. In alcune zone mancava la corrente.
Il suo solito bar sonnecchiava ancora all’angolo. Ricominciava a piovere, faceva freddo. Certo Maria si era messa un pullover verdino sotto la giacca. Sperò che Anna non fosse già passata a prenderla.
Per fortuna lei era ancora lì, nonostante il ritardo di lui. Lì sulla panchina, ferma sotto la pioggia, senza neanche alzare il cappuccio per proteggersi i capelli. Lui girò la chiave e azionò il tergicristallo, prendendo tempo per vedere se Anna arrivava, con i passeggeri frementi, irritati per i contrattempi di quella giornata iniziata male. Mise in moto e partì di mala voglia, sperando che il semaforo diventasse rosso e gli concedesse qualche minuto. La speranza si avverò e dallo specchietto riuscì a guardare Maria.
Ma ecco che a un tratto qualcosa succede. Una macchina si ferma nel controviale e Maria parla concitatamente, attraverso il finestrino, con l’uomo alla guida, che ha un impermeabile blu. Poi sta per allontanarsi. Ma l’uomo scende di corsa, la raggiunge, la tira per un braccio. Lei sembra respingerlo. Il semaforo diventa verde, i clacson gli suonano contro spazientiti. Con le mani sul volante, non sa cosa fare. Vorrebbe mettere la retromarcia e soccorrere Maria, portarla in salvo, ma ecco che la scena cambia: Maria e l’uomo salgono in macchina e gli sfrecciano davanti.
E allora sì che le rompe, le sbarre della gabbia. Spinge l’acceleratore al massimo, lanciato in un inseguimento all’ultimo respiro. Corre all’impazzata, ignorando fermate e semafori, tagliando la strada a macchine, motorini e pedoni, che si scansano allibiti. Alcuni passeggeri protestano, altri urlano, uno cerca di aggredirlo. Ma ormai niente può fermarlo. Come ha sempre desiderato, va avanti nella sua corsa inseguendo Maria, l’uomo con l’impermeabile e i monti laggiù in fondo.
Ed ecco che Maria non è più un personaggio scialbo, ordinario. Ha una vita avventurosa, altro che piastrelle bianche, pareti gialline e pullover verdino! È una ladra, una rapinatrice professionista, e l’uomo con l’impermeabile è suo complice: litigavano su come spartirsi il bottino del prossimo colpo…
E l’autobus vola per la città, per strade, stradine e rioni popolari, attraversa veloce ponti di periferia, corre per viottoli di campagna. Poi la macchina blu si ferma all’improvviso e lui frena di botto. I passeggeri si ammassano per il contraccolpo. Ormai sono isterici. Una donna piange, un bambino urla. Ma lui non pensa ad altro. Scende, corre alla macchina e afferra l’uomo per il bavero dell’impermeabile. «Brutto ladro», sta per dirgli, «hai rubato anche i miei sogni». Ma lo guarda e sgrana gli occhi. L’uomo, ha la sua faccia, i suoi occhi…
Si sveglia, sudato. Sua moglie è in cucina, gli arriva l’odore del caffè. La raggiunge. I capelli di lei sono sempre in disordine, ma forse è meno pallida, ha i fianchi più sodi, gli occhi meno stanchi. Matteo e Luca litigano sul tavolo della colazione per una barretta di cioccolato al latte. La sua famiglia, in fondo, non è tanto male. E forse dietro alla montagna i colori sono gli stessi.
Si veste ed esce. Il bar sembra più sveglio stamattina. Già prima di raggiungere l’autobus sa che la panchina sarà vuota. Tutto a un tratto, gli sembra di sentire l’aria della primavera, di vedere colori più accesi. Il cielo è di un azzurro immenso, le aiuole di un bel verde, e il mare risplende nella trasparenza di quella fredda giornata.
Inserisce con calma la chiave nel contatto. Un lungo respiro e poi mette in moto. Ecco che l’autobus parte, dolcemente, verso un nuovo giorno.