Squarci | giovedì 26 novembre 2020

Arianna Panza

A spasso per Napoli sotterranea

C’è un mondo intero di cui ignoriamo l’esistenza. Siamo sicuri di conoscere quello abbiamo intorno, eppure ci sbagliamo. C’è qualcosa di molto più profondo e sotterraneo in ogni cosa. Possiamo divertirci a esplorarlo e scoprirlo o lasciarlo al suo posto, senza approfondir lo. Ma, in ogni caso, quel qualcosa resta e resterà per sempre lì, dove l’abbiamo lasciato.

Napoli ha un intero mondo sotto di sé. È un mondo fatto di cunicoli, acquedotti, caverne, gallerie. In superficie, sono scontate le luci, i colori, i rumori. Basta scendere qualche gradino e tutto questo sparisce. Buio. Soltanto qualche rara lanterna, messa da chi questo mondo l’ha esplorato. Si arriva in una vasta caverna. La guida con le sue parole mette paura e qualcuno, spaventato, torna su in superficie, tra i colori. Certo, mette paura il mondo buio.

Passando in un cunicolo, si arriva in un’altra cavità. Al soffitto è appesa una bomba. È come sentire le grida della gente, le sirene d’allarme che annunciano i bombardamenti, l’ansia di non sapere se si tornerà su. Correre, scappare. Prendere, avvisare. Tutto lì sotto. Per proteggersi dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale le persone si rifugiavano in queste caverne, che un tempo avevano fatto parte di un enorme acque dotto che attraversava tutta Napoli.

Continuiamo nel percorso. Come gli operai dell’acque dotto, noi camminiamo attraverso i cunicoli un tempo riempiti d’acqua.

Mille fiaccole, mille timide lucine si fanno luce nella parte più buia di questo magico mondo.

La seconda parte del percorso è la più difficile. Attraversiamo cunicoli stretti meno di cinquanta centimetri con le fiaccole sopra la testa. Camminiamo lateralmente, in fila indiana. Qui solo le nostre fiaccole illuminano la via, perché la galleria è così stretta che non ci sarebbe spa zio per le lanterne. L’unico modo per affrontare questo cunicolo è continuare senza guardare né avanti né in dietro, senza pensare di essere sottoterra, senza possibilità di uscita. Immagino chi doveva lavorare qui sotto. Era solo, completamente solo. Non poteva sapere se sarebbe sopravvissuto o se sarebbe rimasto lì, inghiottito dalla terra e dall’acqua. Ma continuava, non si arrendeva. Anche noi continuiamo, impavidi e sicuri. A un certo punto, una parola passa da un capo all’altro dell’ultima parte della fila: bivio. Dopo un momento di tremenda paura, capiamo che la strada in realtà è solo una, e continuiamo. Ma davanti a noi, invece della strada, c’è una catenella. Gambe che tremano. Il mio cuore sembra scoppiare. “Guida! Guida!” La risposta della guida è vicina, e questo ci fa preoccupare ancora di più. Ci siamo persi. La guida continua a urlare. Alla fine, riusciamo a trovare la strada e raggiungiamo il resto del gruppo. Otto piccole fiaccole si erano perse, eppure nessuno se ne era accorto. Il cunicolo stretto è finito e dopo qualche cisterna ancora piena d’acqua, torniamo in superficie. Le fiaccole si spengono. Hanno svolto, ancora una volta, il loro indispensabile lavoro, guidando i curiosi alla scoperta delle magie del loro mondo sotterraneo. Tutto, giù, torna deserto. Si possono sentire solo gli echi di chi ci è stato dentro: l’acqua, le persone bombardate, le loro storie, e adesso anche noi. Torniamo su, nel mondo esplorato, dove tutto è conosciuto e niente è un mistero. Perché il vero mistero, ora lo sappiamo, è nascosto nelle viscere della terra.


Su Arianna Panza
La più giovane scrittrice di Orientexpress. Tredici anni al suo debutto con idee e sensazioni già molto chiare sui libri e la loro... amicizia.

Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.