Squarci | sabato 3 novembre 2018

Alessandro W. Mavilio

Il sogno di grazia

Dopo mesi passati nel più doloroso turbamento interiore, stamattina mi sono svegliato come grazie a una carezza: un’enorme mano leggerissima ha tolto via coltri e coltri di zavorra dal mio cuore.

Sognavo qualcosa, all’alba. Sognavo amici e famiglie, uomini, donne e bambini che conosco qui a Sapporo, e allo stesso tempo osservavo, come da estraneo, la mia solitudine, insoddisfazione, incontrollabile rabbia personale degli ultimi tempi. Eppure questi due lati inconciliabili si conciliavano e bilanciavano in sogno, e sperimentavo così una sorta di dimenticato equilibrio, un perfetto equilibrio, direi.

Poi ai miei occhi appariva il simbolo del Tao, molto piccolo e in basso a sinistra del mio campo visivo, quasi come una sovraimpressione televisiva, provvidamente e magicamente spogliato di tutte le sue sovrastrutture storiche e filosofiche. Mi appariva alla stregua di un logo qualunque e lo osservavo con inammissibile indifferenza. E più lo fissavo e più mi sembrava non emanare alcuna carica mistica finché… una sua metà mi è apparsa come il simbolo di una bianca pancia bassa, gravida del suo puntino nero, che irrompe nello spazio del nero più grande, e la protuberanza superiore del nero mi è apparsa come una testa troppo sviluppata, una chiara mia macrocefalia da troppo pensare, con uno sgranato, stupito occhio bianco…



Mi sono visto nel Tao.

Ho ben chiara la banalità di questo messaggio, soprattutto nell’ambito del mio (forse assurdo) rapporto di coppia, ma che grande aiuto! Poi mi è giunto forte e chiaro un messaggio silenzioso e finale, dilatato quanto la storia del mondo, trasmessomi tuttavia in un istante estraneo a ogni lingua umana. Un messaggio che io rilancio così: nessuno scappa alla ottusa, assurda, rotondità del mondo, nessuno lo può fermare: tanto semplice, ma nessuno lo può apprendere e comprendere davvero. Alla fin fine non è forse esso un’enorme giostra?

Il sogno aveva inoltre qualcosa di particolare rispetto ai miei soliti. Era infatti come se portassi avanti più sogni, della stessa fattura e leggiadria, in inaudita contemporanea. Mi sembrava di sognare su un pentagramma, e spesso nel sogno saltavo da una riga all’altra, e ovunque atterrassi, sebbene le storie e i personaggi fossero diversi, il messaggio del sogno non cambiava! Ovunque ricevevo lo stesso messaggio e sperimentavo questa beata riconciliazione con le cose più disparate.

Ho ricevuto diversi insegnamenti da tutte le dimensioni visitate ma purtroppo la beatitudine del risveglio non ha favorito l’immediato download delle informazioni nella dimensione mondana. Ho letteralmente combattuto, per tenere vivo il ricordo delle situazioni sognate, o quantomeno per fissare una traccia. Ma il sogno era appunto multi-traccia e dopo nove ore non ricordo altro che quanto sto scrivendo…


Su Alessandro W. Mavilio
Orientalista, scrittore, cineasta. Laureato in Lingua e Letteratura giapponese presso l’Università “L’Orientale” di Napoli, Alessandro Mavilio ha insegnato per più di un decennio all’Università Industriale di Kyoto. Nell’àmbito del progetto “Taoist Movies” è autore anche di numerosi cortometraggi sperimentali girati in Giappone.

Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.

Il Recinto. Sguardi e riflessioni sul Giappone, di Alessandro W. Mavilio (Gli Ibischi, 2015)