Poesie | sabato 14 gennaio 2017
Carlo Di Legge
Come si finisce una poesia
Lo sai. Porta con te le carte
con le parole, anche insulse, scritte
nella tua comoda casa.
La poesia non nasce in salotto,
anche se potrebbe:
ma inizi come finisci una poesia
sull’area di servizio deserta,
pioviggina,
un automobilista che cambia una gomma
chiede i guanti
al benzinaio del servizio notturno,
che gli risponde picche: - signore, e lavati le mani!
Bisogna quasi sporcarsele, le mani
use alla scrittura, stando così vicino all’asfalto,
di ritorno da un luogo mai visto prima,
in auto, sostando, cerchi nella mezza luce
i cessi luridi,
e intanto nella testa ti frullano parole,
rientri in auto, non ancora riparti, annoti febbrilmente,
cerchi anche di dormire i tuoi cinque minuti:
ti conosci, e ne hai per ore, di autostrada.
Succede proprio così, è come
per un qualunque bisogno del corpo.
Già, l’insidioso come. Nient’altro
che l’analogia. Portale
con te dovunque,
le carte, la parola mancante verrà, altro che muse,
forse ti senti un idiota, e non hai tutti i torti,
sai che l’io non c’entra, ma sei
curioso, e disponibile.
E un po’ eccitato: ancora una volta
sei stato trovato.
3 gennaio 2017