L'aurora tra rosa e verde | giovedì 4 settembre 2014
Rosaria de Marco
Ho sotto gli occhi il rosa aurorale
Mentre scrivo ho sotto gli occhi il rosa aurorale che impregna di sé il versante glabro di Capo Miseno e tutta la costa tufacea del golfo. E le case, di qualunque materiale costruite e di qualsiasi colore dipinte. E il massiccio volume del castello aragonese di Baia.
Sotto l’effetto potente di questo colore culturalmente gentile, il verde della vegetazione si fa grigio, come fosse in ombra, anche se guarda a Levante.
Il mare invece trattiene il suo azzurro camaleontico e casuale (oggi il tempo è bello), limitandosi ad accogliere in superficie la patina di rosa che diluisce nella liquidità e illumina solo il cavo dell’onda minima (oggi un’increspatura appena).
Comprendo e condivido la sensazione di freddo associata al verde dell’aurora boreale. I colori, in misura più apprezzabile e intuibile di qualsiasi altra cosa per convenzione definiamo “realtà”, risultano dalla relazione oggetto (o fenomeno)/soggetto percipiente. Modeste possibilità di stabilire con sicurezza cosa si intenda per verde, o blu. Certo, nella soggettività la cultura copre un ruolo determinante, Omero è senz’altro responsabile del sentimento cromatico caldo che associamo all’aurora. Epperò Omero, come noi, era Mediterraneo (o, se si preferisce, espressione mitica di mediterraneità) come noi, sotto i cui occhi, quando il tempo è bello, il giorno si apre e si chiude nel rosa, letterariamente meno indifferente dell’azzurro e, per contiguità di frequenza, del verde.
La fisicità della geografia, detto in altri termini, non può essere trascurata in una riflessione sui colori.
Il verde sembra avere una natura spiccatamente materica che soffre nel passaggio a uno stato di rarefazione, fino a diventare perturbante. Per le nostre latitudini, la luce verde (anche quella rara e miracolosa del rayon vert) è un’effrazione all’ordine cromatico, sostenibile in quanto tale, e solo se circoscritta nell’intermittenza circolare di un semaforo o di un faro d’atterraggio, o nella stagionalità boreale, circolare e circoscritta anch’essa.
I verdi dell’erba, del fogliame degli alberi, dei muschi del sottobosco, delle muffe che striano i muri umidi e i formaggi invecchiati, trasmettono tutti sensazioni di frescura, freschezza, freddo, fino a quello estremo della decomposizione. Nei film e in altre rappresentazioni grafiche o letterarie, il verde è spesso associato agli alieni. Insomma, questo colore non presenta buone qualità di trasferimento, ovvero tende a “snaturarsi”, quando riveste l’insolito.
Dunque, se dovesse capitarmi di svegliarmi nel verde, mobile e attraversato da lampi, mi sentirei in allarme, saprei che tutto sta per cambiare, senza sapere in che modo: la luce verde dà il via libera, è vero, ma dove porterebbe una via non illuminata dalla presenza rassicurante del rosa?
Il rosa è la certezza che qualcosa di buono può ancora accadere (fossero anche solo le condizioni atmosferiche).
Il rosa è il colore-rappresentazione più prossimo alla pelle, all’incarnato, al seno materno e, più cupo, all’utero generatore.
Come è ovvio, tutto quanto fin qui scritto trova il suo senso soltanto nel fatto che io non sia islandese, o peggio.