L'aurora tra rosa e verde | martedì 2 settembre 2014
Vincenzo Cocco
Ciò che mi turba
Ciò che mi ‘turba’ nelle foto che hai inviato è la prevalenza del verde su ogni altro colore: il verde nelle aurore boreali è così ‘prevalente’ da essere ‘invadente’.... è ‘diffusivo’ e ‘inclusivo’... non lascia essere gli altri colori....
La nostra aurora (che è un ‘crepuscolo’, anche se del mattino, l’ora, dice Baudelaire nel Crépuscule du matin, in cui “la lampada, come un occhio sanguinante che palpita e si muove, fa una macchia di rosso sul giorno”), la nostra aurora, dico, è toccante perché il rosa è così discreto da lasciar essere ogni altro colore: è una macchia trasparente attraverso cui e grazie a cui tutti gli altri colori (il bianco e il celeste soprattutto) si esaltano, riconoscenti......
La suggestione delle aurore boreali, tu dici: e usi un termine, suggestione, che stabilisce tra la realtà e l’io un rapporto in cui l’azione muove dall’esteriorità verso l’interiorità, con la realtà che suscita nell’io atteggiamenti, desideri, pensieri, emozioni….. è la realtà, secondo te, che affascina e produce fascino. Con Simmel, invece, ritengo che il rapporto tra paesaggio e animo sia dialettico e reciproco: una linea invisibile, perché indefinibile, divide e tiene insieme paesaggio e io: non è possibile definire dove inizia e finisce l’azione proiettiva dell’io e dove inizia e finisce la suggestione della realtà sull’animo umano
Qui un problema di carattere teorico relativamente al paesaggio: il paesaggio è la proiezione di uno stato d’animo o determina lo stato d’animo?
Questione dibattuta a partire da Henri-Frédéric Amiel quando scrive, nel suo Journal intime, che “qualsiasi paesaggio è uno stato d’animo: e chi sa leggere in entrambi è meravigliato di ritrovare la similitudine in ciascun dettaglio”(Journal intime, L’Âge d’Homme, Lausanne, 1978, tome II, p. 295). Quest’idea è formulata dopo una passeggiata di mezz’ora che egli fa in un giardino “par une fine pluie”: “Paesaggio d’autunno. Cielo teso di grigio e increspato da diverse sfumature [...] natura malinconica, le foglie cadono da un solo lato come le ultime illusioni della giovinezza sotto le lacrime di dolori incurabili”(ibidem).
Secondo Pessoa, invece, il paesaggio esiste indipendentemente da noi (l’animo, se proprio si vuole, è una sorta di paesaggio). Ti trascrivo il passo di Pessoa, tratto da Il libro dell’inquietudine:
“Ha detto Amiel che un paesaggio è uno stato d’animo, ma la frase è l’esile felicità di un esile sognatore. Quando il paesaggio è un paesaggio, esso cessa di essere uno stato d’animo. Oggettivare significa creare; e nessuno direbbe che una poesia scritta è lo stato d’animo di pensare di farla. Vedere è forse sognare, ma se lo chiamiamo vedere invece di chiamarlo sognare è perché distinguiamo il sognare dal vedere.
Del resto, a cosa servono queste speculazioni di grammaticale psicologia? Indipendentemente da me cresce l’erba, piove sull’erba che cresce, e il sole indora il prato d’erba che è cresciuta o crescerà; i monti si ergono da tempi immemorabili, e il vento passa nello stesso modo in cui Omero, anche se non fosse esistito, l’ha sentito. Sarebbe più giusto dire che uno stato d’animo è un paesaggio; la frase avrebbe il vantaggio di non ospitare la menzogna di una teoria ma solo la verità di una metafora”(F. Pessoa, Il libro dell’inquietudine, a cura di Maria José de Lancastre, Feltrinelli, Milano 1997, pp. 86-87).
Che mi turbi, nelle foto delle aurore boreali, la prevalenza del verde su ogni altro colore (il verde nelle aurore boreali è così ‘prevalente’ da essere ‘invadente’.... è ‘diffusivo’ e ‘inclusivo’... non lascia essere gli altri colori) deriva dal fatto che una realtà estranea entra nel mio sguardo. Ciò dice che il paesaggio ha anche una connotazione storica. Si rifletta sulla geografia interiore o immaginaria del soggetto rispetto alla geografia reale. Nel corso della storia i paesaggi (il loro valore simbolico e figurativo) sono cambiati: pensa alla foresta. Dante, che è la summa del modo di sentire medievale, Cartesio che inaugura la modernità, pensano alla foresta come a un luogo tenebroso, metafora e simbolo dell’erramento e del male. Bisogna attendere Rousseau perché la foresta diventi luogo in cui l’io trova se stesso. E, ancora, Nietzsche, che dirà di amare la foresta e non la città, la prima essendo il luogo dell’oltreuomo.
Georg Simmel, nella sua Filosofia del paesaggio (1912-1913), ritiene che il rapporto tra io e paesaggio può essere pensato attraverso l’idea di Stimmung: termine che dice stato d’animo, ma, in musica, accordatura: accordo che in musica si ha quando si armonizzano, secondo i rapporti dovuti, le varie parti d’uno strumento. Nel caso del rapporto tra interiorità ed esteriorità quando si armonizzano animo e realtà esterna. C’è, secondo Simmel, un movimento a spirale tra animo e paesaggio.
Da queste considerazioni rispondo alla domanda: “Se il colore del risveglio fosse il verde, e il cielo fosse attraversato da lampi e luminosità diffuse, questa situazione inciderebbe sicuramente su ognuno di noi.... e in modo diverso, tenendo conto della nostra sensibilità e del nostro modo di ‘vedere’ che è anche un nostro modo di ‘sentire’ ”.
Una brevissima affermazione conclusiva: il modo di vivere e sentire il paesaggio è storicamente dato.