Viaggi e scritture di viaggio | martedì 20 novembre 2012

Francesco De Sio Lazzari

Intervista a Massimiliano Del Vacchio

Ti sei laureato all’Orientale di Napoli in Lingue e Letterature Straniere Moderne il 6 luglio 2005, discutendo (col prof. Sergio Bertolissi) una tesi di laurea su “La conquista della Siberia: mercanti, esploratori, cosacchi”. Vuoi dirci che cosa
t’interessava in questo tema di ricerca?

Scegliere un tema per una tesi di laurea non è certo semplice, soprattutto se il desiderio è quello di portare avanti un lavoro interessante e costruttivo. La proposta che mi avanzò il Prof. Bertolissi, che già stimavo da anni e con il quale avevo sostenuto due esami di Storia dell’Europa Orientale, mi parve molto interessante perché l’obiettivo era di raccontare una regione poco conosciuta e su cui si era scritto poco, ovvero la Mangaseya, territorio inesplorato, sconosciuto ai più, crocevia di forti interessi commerciali, territorio ricco di storia e risorse. Di questo argomento ciò che mi attraeva di più fu proprio la sua caratteristica di essere “un luogo remoto”, nuovo, da scoprire, parte di un territorio tra i più affascinanti del Paese, la Siberia, su cui nei secoli hanno scritto poeti, scrittori e viaggiatori alla ricerca di fortuna, decantandone il fascino e l’impenetrabilità. Insomma, l’approccio a quella tesi in qualche modo mi sembrò quasi una conseguenza degli anni di vita trascorsi all’estero, di viaggi e di scoperte che io stesso avevo intrapreso, anche se verso destinazioni decisamente più accessibili e facili.

Capisco… Quali lingue hai studiato all’Orientale? Quali le ragioni delle tue scelte?

A “L’Orientale” ho studiato russo, come lingua quadriennale, inglese e francese come lingue biennali. Le ragioni delle mie scelte sono state due. La prima, una scelta pratica; la seconda una passione. Quando m’inscrissi a “L’Orientale” mi resi velocemente conto che scegliere come lingua portante dei miei studi una lingua europea (e gettonata) come l’inglese o lo spagnolo sarebbe stato sbagliato e forse poco utile, perché questo avrebbe significato seguire corsi di lingua e di letteratura insieme a tantissimi altri studenti.
La mia scelta ricadde quindi sul russo, una lingua alternativa, nuova (vent’anni fa lo era sicuramente) e studiata da pochi giovani. Ricordo che nel primo anno di corso eravamo solo un centinaio di matricole, numero che andò diminuendo negli anni. Questa fu sicuramente una scelta indovinata perché, essendo in pochi, non solo fu possibile instaurare rapporti più diretti e umani con docenti e lettori, ma diede a tutti noi la possibilità di seguire meglio ogni singolo insegnamento ed essere seguiti con maggiore attenzione e dedizione da ogni docente.
La seconda ragione che mi spinse ad optare per il russo fu anche il mio grande interesse nei confronti della Storia dell’ex Unione Sovietica che, nei due anni precedenti alla fine del percorso scolastico, aveva attratto in modo particolare la mia attenzione. La mia iscrizione a “L’Orientale” risale al 1991, ovvero due anni dopo la caduta del muro di Berlino e l’inizio del declino di buona parte delle roccheforti comuniste europee. Quel mondo, che la Russia rappresentava in quello specifico momento storico, tra i più importanti di tutto il XIX secolo, grazie alla perestrojka e a tutti i capovolgimenti socio-politici che portò con sé, fece scaturire in me il desiderio di capire qualcosa di più di quella cultura e di quel popolo che, nonostante l’apparente freddezza, si sono rivelati negli anni dei miei studi e delle esperienze di vita all’estero uno dei popoli umanamente più coinvolgenti, grazie non soltanto allo spessore del passato culturale, ma grazie alla profondità e sensibilità dell’anima che contraddistingue – appunto – il popolo russo.

La frequenza dei corsi dell’Orientale ha precisato alcuni tuoi interessi iniziali? Si può dire che abbia dato a essi una forma più compiuta? C’è qualche docente che abbia esercitato su di te un’influenza più marcata?

Ho frequentato un Istituto Tecnico Commerciale, quindi il mio ingresso a “L’Orientale” potrebbe apparire come una scelta casuale e poco consona ai miei studi precedenti, ma non è così. La scelta d’iscrivermi in questa Università piuttosto che in un altra mirava sicuramente ad ampliare un’area d’interessi con cui avevo già una certa familiarità, ma la frequentazione dell’Ateneo e dei corsi è stata innanzitutto una graduale scoperta di un mondo nuovo, fatto di soggetti, persone, attitudini e comportamenti non solo diversi, ma soprattutto particolari e stimolanti. A “L’Orientale” devo sicuramente l’opportunità di avermi aperto una porta essenziale, quella della conoscenza non solo culturale ma soprattutto umana. Negli anni in cui frequentavo l’Università non passava giorno in cui tra studenti non si parlasse di viaggi, di Paesi stranieri, di storia di popoli e delle loro abitudini, di partenze. C’era chi sognava di andare in Giappone e chi negli Stati Uniti; c’era chi si divertiva parlando con le poche parole di arabo imparate nei primissimi corsi di lingua, chi con quelle di cinese.
Questo, senza neanche che me ne rendessi conto, è stato da subito uno stimolo incredibile che, negli anni, ha fatto crescere in me la voglia di conoscere e di imparare, viaggiando. Il processo che si è innescato è stato in prima istanza istintivo, ma successivamente ho compreso con consapevolezza ciò che stavo cercando. Le mie esperienze degli ultimi anni, così come i social network che uso e il blog personale che gestisco sul web, mi permettono in maniera sicuramente immediata e diretta di comunicare le impressioni del percorso di conoscenza che sto vivendo progressivamente. Tutto questo processo evolutivo di scoperte e consapevolezze è nato casualmente, attraverso importanti esperienze di vita e di confronto con il mondo esterno, esperienze che l’Università prima di tutti mi aveva proposto in quanto studente e che io accolsi con gioia, ovvero l’Erasmus.
Grazie a questo progetto di studi mi fu data la possibilità di dare una svolta al mio percorso universitario e alla mia vita, staccarmi dalla mia famiglia e dalle mie radici, lasciarmi alle spalle i punti di riferimento abituali, le mie certezze, i miei affetti, solo e soltanto per il desiderio di scoprire, imparare nuove lingue e crescere umanamente. Partii per Parigi e da quella esperienza in poi la mia vita cambiò radicalmente, grazie a scelte che in qualche modo mi hanno permesso di seguire le mie aspirazioni ed i miei desideri. Da quel momento Parigi è diventata la mia casa.
Peraltro, se da un lato l’Erasmus mi diede l’opportunità di partire e di scoprire un nuovo mondo, è anche vero che dall’altro mi obbligò da subito a dovermela cavare da solo, perché pochi erano gli aiuti che l’Università offriva ai propri studenti che si aprivano a questa esperienza, soprattutto per tutto ciò che riguardava il trasferimento all’estero: da solo, con pochi soldi, senza un alloggio, senza grandi contatti né conoscenze, ovvero tutte condizioni che in qualche modo dovrebbero essere garantite e che sono inevitabilmente più difficili quando si arriva in una grande città come Parigi e non in piccoli centri universitari.
Io fui molto fortunato, perché pochi giorni prima della partenza conobbi nel centro storico di Napoli una studentessa francese che, proprio grazie all’Erasmus, aveva trascorso a “L’Orientale” un anno di studio e che mi offrì la sua ospitalità a Parigi. A casa sua rimasi per due settimane, prima che riuscissi a trovare un posto dove alloggiare per conto mio, insieme ad altri studenti che non ebbero di certo la mia stessa fortuna, essendosi ritrovati per settimane intere, o addirittura per mesi, a dormire in un ostello, sostenendo una spese economica onerosa, prima ancora di trovare una sistemazione accettabile.

Ti avevo chiesto se c’è qualche docente che abbia esercitato su di te un’influenza più marcata?

Del mio percorso universitario ricordo con grande stima ed affetto il Prof. Angelo Bongo, docente di Lingua russa. Durante gli anni in cui sono stato suo studente, il Prof. Bongo è stato simbolo di grande integrità. Di lui stimavo la passione per il ruolo che rivestiva, ma anche il rigore, la severità e la serietà con cui fu capace di trasmettere a noi studenti il significato e il valore dello studio, insieme a un metodo di apprendimento linguistico che tutt’oggi, nel mio tanto girovagare, tengo sempre presente, ogni volta che arrivo in un nuovo Paese e mi diletto da subito a imparare una nuova lingua.

Scegliere “L’Orientale” per i tuoi studi ha significato la scelta di un Ateneo molto originale rispetto agli altri Atenei della Campania. Un Ateneo dove si respira, dovunque, lo spirito del diverso, del rapporto con culture differenti dalla nostra.
Un Ateneo dove si è sempre messi in discussione come soggetti…

L’errore che fanno in tanti è pensare che a “L’Orientale” giri gente “un po’ strana”, ma chi lo pensa non conosce affatto lo spirito che corre nei corridoi e nelle aule di questa Università. Quell’essere “un po’ strani’ significa soprattutto avere la possibilità di seguire percorsi alternativi e più originali rispetto a tanti altri. A “L’Orientale” io ho sicuramente trovato la dimensione giusta che faceva per me. Dopo vent’anni dalla mia iscrizione, non so davvero che cosa sia diventato oggi questo Istituto, ma ai tempi della mia frequentazione si respirava nell’aria la voglia di confrontarsi, di scoprire l’altro, la propria e la diversità altrui, grazie a tante lingue, a tanti umori e ideologie, a tanti indirizzi di vita che “L’Orientale” indirettamente offriva a tutti noi studenti, compensando così la mancanza di organizzazione e di servizi che vent’anni fa, a mio avviso, erano presenti e forse marcati.
A questo si aggiunge anche la percentuale di stranieri che studiavano e che credo studino tutt’oggi in un’Università così rinomata, offrendo a tutto l’Ateneo, proprio come dici tu, un’immagine e uno spirito diverso, multiculturale, umanamente e culturalmente ricco, e a noi un luogo in cui fosse possibile incontrarsi, dare spazio a rapporti stimolanti tra culture e studenti, aprendo a tutti una strada di vita importante, una strada “alternativa”, per l’appunto. La maggior parte degli amici che ho frequentato in quegli anni, hanno quasi tutti intrapreso percorsi diversi fra loro, ma tutti all’insegna della multiculturalità, delle esperienze di viaggio e di vita all’estero, dove l’apertura e la comprensione dell’altro come individuo e come espressione di un mondo e di una cultura sono sempre stati una peculiarità e al centro delle loro scelte. Insomma, io credo che per tanti di noi “L’Orientale” non sia stata soltanto un’università, ma anche una scelta di vita.

Credo che già prima della laurea tu abbia iniziato a viaggiare. Mi sbaglio o la mia sensazione è esatta? In te c’è qualcosa di Bruce Chatwin e della sua ricerca sull’alternativa nomade… Sei sempre alla ricerca… Inquietudine o desiderio del nuovo? Sono due sentimenti che possono sembrare collegati, ma non sempre lo sono. C’è chi è interiormente inquieto e c’è chi semplicemente insegue il nuovo. Nel tuo caso?

La tua sensazione è giusta. Già alla fine del primo anno accademico, a 19 anni, decisi di partire per un mese e mezzo in Inghilterra e in Irlanda, dove lavorai per un po’ e seguii un corso di lingua inglese per stranieri, i classici corsi estivi che rappresentano un ottimo approccio alle lingue straniere e al viaggio. Alla fine del terzo anno accademico invece partii per Parigi, con il progetto Erasmus di cui ti parlavo poco fa. Da Parigi in poi tutto cambiò. Viaggiai un anno in Sud America, mi trasferii per due anni in Irlanda, qualche mese in Russia, ancora altre parentesi di vita e di lavoro a Parigi, e solo dopo dieci anni da quella mia prima partenza, sostenni gli ultimissimi esami e portai a termine il percorso di laurea che, nonostante sia stato frammentario e dilatato nel tempo, mi ha permesso di arrivare alla laurea con maggiore consapevolezza, di me stesso e di ciò che avevo deciso per la mia vita, e forse anche con un po’ di orgoglio in più, quello di chi aveva viaggiato e messo a frutto le conoscenze che l’Università gli aveva trasmesso, e che poteva dire che quella laurea, quel percorso universitario e le scelte che ne erano seguite, avevano avuto un senso, avevano dato i propri frutti, aiutandomi a fare scelte “diverse” e a realizzarmi come uomo, capace di seguire i propri sogni e i propri desideri.

Ti sembrerà strano, ma in fondo non credo di essere né interiormente inquieto né all’inseguimento del nuovo. Negli anni ho capito che quando viaggio mi sento più leggero, anzi ti dirò con tutta onestà che quando viaggio sono felice, e questo è ciò che m’interessa più di qualunque altra cosa. Viaggiare è ormai diventata per me una necessità. Quando si riesce a partire dai luoghi in cui siamo nati e cresciuti, a staccarsi dalle proprie origini e a vivere esperienze come quelle che io ho avuto la fortuna di fare, partire, ripartire, cambiare e non fermarsi diventa un qualcosa di molto semplice, naturale e quasi automatico. È uno stile di vita, una scelta per l’appunto, in cui mi ritrovo del tutto a mio agio. Quando viaggio sento soprattutto il bisogno di aprirmi all’altro, d’incontrare le persone che, indirettamente, mi aiutano a costruire il mio percorso, a dargli un senso ed un significato tutto suo.
Viaggiando vorrei dimostrare alla gente che non tutti i turisti sono uguali, ma che c’è anche chi, come me, ha voglia di conoscerli, di affezionarsi ai loro gesti, d’intenerirsi dinanzi a un loro sguardo, di andargli incontro, apertamente, senza paura e senza freni.
Quando viaggio sono alla ricerca di sorrisi. Questo per me è un bisogno fondamentale nella mia esperienza. Questi ultimi tre anni di viaggio, in modo particolare, sono stati soprattutto all’insegna della ricerca di luoghi familiari, di luoghi dove forse ho desiderato, illudendomi, di trovare una realtà in cui decidere di fermarmi, per sempre. Luoghi e realtà che nel mentre sono cambiati, forse irrimediabilmente (la Siria ne è un esempio), ma ai quali resto legato con sentimenti molto forti e a volte combattuti, un misto di malinconia, verso luoghi ai quali sono emotivamente legato ma che attraversano un periodo storico estremamente duro, e di felicità, per avere avuto la fortuna di non averli vissuti come un semplice turista di passaggio, ma con lo sguardo di chi è attento alle culture e all’umanità dei popoli che incontra. Questo desiderio, questa speranza, questa voglia di farmi una casa in ogni posto in cui approdavo, circondato da affetti e care amicizie, è proprio ciò che mi ha permesso di spostarmi di Paese in Paese con serenità, e per così tanto tempo, che ha mosso il mio calmo viaggiare di questi ultimi anni, anni duranti i quali ho imparato a dare al tempo una dimensione diversa, capendo che il mio tempo doveva adattarsi a quello del mondo che mi circondava, senza andare di fretta, ma approfittando pienamente di ciò che mi veniva offerto gratuitamente da luoghi e persone: tenerezza, sorrisi e affetti.
In giro c’è chi viaggia per conoscere luoghi, chi per conoscere la storia di un Paese, chi per non annoiarsi, chi per vivere un’esperienza unica nella sua vita, chi per conoscere gente nuova e chi infine per scoprire nuove emozioni. Io viaggio per tutte queste ragioni insieme, ma viaggio anche per sentire un po’ d’amore, quello che percepisco quando incrocio uno sguardo sul mio cammino, che mi emoziona e mi dà una ragione per continuare, ad emozionarmi e a viaggiare, come quello di tutte le persone che hanno reso speciale questo mio lento andare degli ultimi anni.

Quali sono i Paesi che hai visitato? Quali hanno suscitato maggiormente il tuo interesse e perché?

Oltre i Paesi in cui ho vissuto, per periodi più o meno lunghi, ovvero la Francia, l’Irlanda, la Russia, l’Argentina e il Venezuela, ho viaggiato per un anno in tutta l’America del Sud, un lungo viaggio fatto da ragazzo, allo scoperta di destinazioni remote ed esotiche. Ho poi viaggiato per oltre un anno attraverso il Nord Africa maghrebino (Marocco e Tunisia) e il Medio Oriente (Turchia, Siria e Giordania), alla ricerca di emozioni e luoghi familiari, così come in Grecia, durante un lungo soggiorno d’immensa tenerezza. Infine ho trascorso qualche mese in India, attraverso una cultura ricca ed emotivamente travolgente. Ora mi accingo a cominciare una nuova esperienza in Sri Lanka, con l’idea e la speranza di poter continuare con calma e serenità la scoperta di culture e popoli ai quali mi sto abituando lentamente, ovvero quelli asiatici, luoghi e popoli di certo non familiari come quelli del bacino del Mediterraneo, ma che si rivelano di giorno in giorno estremamente coinvolgenti.

Gli ultimi anni, proprio perché occupano un momento della mia vita in cui vivo il viaggio con maggiore maturità, sono quelli ai quali sono più legato. I Paesi del Maghreb e quelli del Medio Oriente occupano un posto sicuramente speciale nella mia esperienza di vita ed emotiva. In quanto “viaggiatore a caccia di sorrisi”, questi luoghi sono una terra estremamente fertile, ricca di occhi capaci di emozionare, gente semplice e ospitale, che ha sempre saputo commuovermi con la tenerezza dei suoi sguardi, con la generosità e l’umanità che li contraddistingue, riuscendo a toccare il cuore di un giovane italiano, forse un po’ solo e schiacciato dalle responsabilità di una vita pesante e difficile. Insomma, gente da un grande cuore, lontana anni luce da tante di quelle immagini che ci vengono volutamente imposte quando si parla di alcuni Paesi e di alcune culture, come quella mussulmana.

Nel tuo blog affermi che “Parigi fu la scoperta che il mondo esisteva davvero..”. Sarei d’accordo quando individui in Parigi… una finestra sul mondo. Parigi come luogo in cui ci si apre al mondo. Fu così, anche per me, in anni lontani e che ricordo sempre con grande nostalgia, come un periodo incantato. Vuoi spiegarci più ampiamente ciò che dici di Parigi?

Sì, la citazione che riporti è esattissima e va proprio intesa in questo senso: Parigi come finestra che si apre al mondo, come luogo in cui poter respirare il mondo, almeno per chiunque abbia la volontà e le capacità di farlo. Noi italiani siamo sempre stati un popolo di emigranti, ieri come oggi, anche se con meccanismi e motivazioni diverse, ma a noi manca del tutto la “cultura del viaggiare”, quella del viaggio indipendente, solitario, da zaino in spalla insomma, cultura che invece i Paesi del nord Europa posseggono naturalmente a pieno titolo. In questi anni di vita in viaggio, credo di essere stato aiutato molto dalle mie origini, la mia italianità e soprattutto la mia “napoletanità”, quelle di un popolo capace di adattarsi a circostanze tra le più diverse e anche difficili, capace di sapersi “arrangiare”, capace di farsi voler bene da chiunque grazie alla sua umanità e onestà d’animo. Queste caratteristiche mi hanno permesso di non trovarmi mai in difficoltà, smarrito o disorientato in realtà nuove ed estranee, e credo mi abbiano dato gli strumenti necessari per affrontare tanti anni di vita lontano dall’Italia.
Se è vero però che le mie radici e la storia della mia terra mi hanno permesso di riuscire negli anni di viaggio e di vita all’estero, è anche vero che Parigi mi ha insegnato a farlo, a partire e a viaggiare, senza timore alcuno, a concepirlo come un atto normale e naturale, come una parte dovuta di un percorso umano, senza pormi troppe domande, come spesso invece mi viene fatto in Italia. Questo binomio è proprio quello che mi permette tutt’oggi, che non sono più un ragazzino, di fare scelte condivise da pochi, di pensare di poter partire “altrove” in qualsiasi momento, continuare a desiderare di trasferirmi in un altro Paese straniero, vivere nuove esperienze di vita, imparare nuove lingue, vivere la mia vita serenamente, senza condizionamenti esterni, e forse anche continuare a sognare.
Ernst Hemingway affermò: “Se sei abbastanza fortunato di aver vissuto a Parigi come un giovane uomo, allora per il resto della vita ovunque andrai, sarà con te…”. In queste sue parole mi ci sono sempre ritrovato ed identificato. Amo Parigi, è lì che sono cresciuto umanamente, è lì dove ho capito e scoperto tante cose di me e della vita, che la mia cara, ma provinciale Napoli, non poteva ancora insegnarmi. Parigi ha sempre avuto un ruolo importante nella mia vita, ieri come oggi, perché è sempre stata un saldo punto di riferimento, ha rappresentato stabilità e sicurezza, un luogo dove poter “tornare” ogni volta che ne sentissi il bisogno, un luogo dove poter trovare un’alternativa a qualsiasi decisione volessi prendere per la mia vita. Parigi ha significato aver la possibilità di respirare libertà, indipendenza, multiculturalità, diversità in senso ampio, liberandomi di limiti culturali che spesso impediscono di spiccare il volo da soli. Parigi mi rivelò che c’era una vita oltre Napoli e l’Italia, che viaggiare e scoprire il mondo era una cosa molto più semplice di quanto avessi sempre immaginato e pensato.
Conoscere il mondo è proprio ciò che ho deciso di fare vent’anni anni fa e tutt’oggi rappresenta una delle ragioni che mi danno la forza, la voglia e l’energia per farlo.

Infine, vorrei soffermarmi su di una tua affermazione nella quale sembra sintetizzarsi la tua visione della vita: “Non ho la più pallida idea di quanto tempo resterò in viaggio, ma questo importa poca, perché la cosa che veramente conta per me è poter viaggiare, farlo con uno spirito sereno e aperto, realizzare e raccontare i propri sogni, quelli di chi, alla soglia dei 40 anni, ha deciso di cambiare la propria vita, abbandonando i meccanismi di una ‘vita normale’, le proprie certezze e sicurezze, e rischiare, per cercare di essere felice, viaggiando”.

Tutti noi, credo, arriviamo a un certo punto in cui sentiamo il bisogno di fare un bilancio, capire quello che c’è di giusto e di sbagliato nella propria vita e cercare di risolvere ciò che ci crea dubbi, insoddisfazioni e incertezze. Penso di aver vissuto questo momento quattro anni fa circa, quando vivevo a Parigi e già da qualche anno conducevo una vita serena e soddisfacente, ma senza un vero senso. Avevo un ottimo lavoro e cari amici, uno status sociale che mi gratificava, vivevo in una città bellissima, ma non ero felice. Parigi, come tutte le grandi metropoli del mondo, è una città difficile e di tanto in tanto credo sia necessario allontanarsi, per metabolizzare i suoi complessi meccanismi di vita, per “cambiare aria”, frequentare nuove persone, respirare nuove atmosfere, spezzare quel ritmo pressante delle grandi città e imparare a seguire il corso normale dei propri giorni, dandosi il tempo giusto per vivere il passare di quei giorni, senza fretta, senza stress e senza angosce. Gli ultimi anni trascorsi a Parigi, infatti, non sono certo stati i più sereni della mia vita. Sebbene avessi costruito, lentamente e con fatica, un mio piccolo e forse fragile equilibrio, che credevo mi soddisfacesse, per quattro anni non avevo smesso di vivere enormi solitudini, preso da un senso di responsabilità enorme nei confronti di me stesso, spinto inconsciamente ad accettare sacrifici che mi hanno poi reso schiavo del lavoro e delle mie stesse abitudini.
Per questo motivo un giorno, in modo molto naturale e casuale, ho pensato che fosse giusto darmi un’altra opportunità, voltare una pagina importante del mio percorso umano. In quel momento pensai che sarebbe stato meglio partire per un po’. Il problema, ma in fondo tale non è, è che quell’un po’ è diventato molto di più di quanto avessi immaginato. Una volta scoperto il mondo, fermarsi e tornare indietro diventa estremamente difficile, per fortuna, dico io.
Nel momento stesso in cui decisi di partire di nuovo, presi coscienza di che cosa fosse importante per me. Io volevo tornare a viaggiare, volevo tornare a vivere così come avevo sempre fatto, costruirmi una vita differente da quella che avevo condotto in quei lunghi quattro anni. Non è stato facile. Il viaggio ha sempre significato tanto per me: non soltanto evasione dal proprio mondo e dalle proprie abitudini, ma soprattutto un grande momento di riflessione, di apprendimento, di apertura, di crescita, e questa volta, molto più delle precedenti, credo che tutto ciò abbia avuto più che mai un significato assai forte per la mia vita.
Un anno prima della mia partenza per questo lungo viaggio iniziato tre anni fa, ricordo che mi trovavo in Egitto per una breve settimana di vacanza, tra Il Cairo ed Alessandria. Ero in spiaggia, durante il magico mese del Ramadan, non c’era nessun altro al mare, tranne me e i giovani bagnini di quel pezzetto di spiaggia in cui mi trovavo per un po’ di relax. Durante quei giorni al mare passai con loro molte ore, chiacchierando del più e del meno, iniziando ad avvicinarmi a quel mondo e a quella cultura che già da tempo mi avevano sedotto e conquistato. Uno di quei giovani, Ahmed, un giorno mi fece una domanda molto semplice, diretta e naturale: “Massi, qual è il tuo sogno?”. Rimasi senza parole, non sapevo che cosa dirgli e, anche dopo averci pensato per qualche minuto, con mio grande imbarazzo continuavo a non avere una risposta da dargli, perché semplicemente non avevo più sogni nel cassetto, a parte la mia mesta vita fatta di troppi silenzi e solitudini. Ricordo che tornai in hotel perplesso e turbato, per quel mio silenzio e quel vuoto interiore immenso, che la vita inaspettatamente mi aveva sbattuto in faccia con estrema crudezza. Era arrivato il momento di cambiare vita. Ho chiuso così la porta del mio piccolo bilocale del dodicesimo arrondissement e ho definitivamente chiuso con la vita di quegli ultimi anni, parte di un passato molto lontano. Per tanti mollare tutto e cambiare radicalmente vita può sembrare un’impresa difficile o coraggiosa, e di certo non è un gioco da ragazzi, soprattutto se ragazzi non lo si è più, ma se la convinzione è forte e se la voglia è tanta, farlo non sarà poi così traumatico, anzi ci aiuterà semplicemente a rinascere, così come è stato per me. Nel mio caso credo che tutto sia stato solo un po’ più naturale, perché “partire” è sempre stato un meccanismo essenziale della mia vita, durante i miei lunghi viaggi e durante gli anni trascorsi da nomade all’estero, lavorando, vivendo o semplicemente girovagando, ma sempre con la mia dignità di Viaggiatore, allora come adesso. Oggi viaggio con una maturità e una consapevolezza diverse di quando avevo vent’anni e sono proprie queste a dare un senso nuovo al mio viaggiare.

Leggendo il tuo blog (http://massifish2.wordpress.com) non si può fare a meno di notare la tua apertura agli altri, l'amore col quale ti dispone nei confronti di coloro che incontri. Tu viaggi per incontrare più che per vedere… E quindi il tuo è un cammino verso l’umanità.

Sì, quello che dici è l’essenza delle scelte che ho fatto in questi ultimi anni. Viaggiare per visitare un Paese non mi ha mai interessato. Non è un caso che di “vacanze” vere e proprie ne abbia fatte pochissime nella mia vita, così come non è un caso che abbia sempre scelto di trasferirmi e stabilirmi in altri Paesi, lavorare e vivere le realtà che ognuno di essi poteva offrirmi, piuttosto che visitarli per qualche settimana. Non è nemmeno un caso che in questi ultimi anni di viaggio sia potuto restare settimane intere o addirittura mesi in piccoli villaggi o cittadine, familiarizzando con i mondi con cui venivo a contatto, seguendo ritmi calmi e lenti, perché solo scegliendo questo ritmo avrei potuto conoscerli e capirli, farli miei, respirarli a pieni polmoni, e non solo visitarli. I luoghi e le persone che mi hanno accompagnato in questa esperienza, rendendola emotivamente eccezionale, sono tutt’oggi presenti nei miei ricordi e nei miei pensieri e rappresentano un punto di appoggio notevole ogni volta che mi accingo a visitare un nuovo Paese, preso dai timori di fallire e di non riuscire ad instaurare i suoi abitanti lo stesso rapporto fraterno che ho sempre instaurato nei precedenti viaggi. I sorrisi, gli occhi, gli sguardi e le emozioni che si sono mossi in questa lunga esperienza, tutto questo mondo fatto di umanità, amore e calore, sono una forza notevole, che continua a sostenermi nelle mie scelte e nel mio percorso umano. Con questo mondo di umanità ho sempre avuto un rapporto particolare, intimo, fatto di complicità e d’intesa, e ho sempre avuto grandi difficoltà a far entrare altri nel rapporto tra me e le persone che davano vita al mio viaggio, un rapporto idilliaco tutto mio, fatto di atmosfere e di emozioni estremamente personali. Col tempo ho capito di aver finalmente imparato a parlare alla gente, a sorriderle nel modo giusto, ad accogliere con discrezione la loro generosità, a leggere attentamente i loro occhi così come loro i miei. Lascio ad altri il compito di raccontare della storia di un Paese, delle sue bellezze architettoniche e del suo passato storico. Io ho capito che so parlare alla gente ed è questo che ho deciso di raccontare.
Ancora un’osservazione. Dici, da qualche parte, che i Paesi arabo/musulmani sono stati, per tante ragioni, ciò di cui avevi bisogno per curare piccole ferite, quelle di un uomo solo, un po’ schiacciato dai ritmi della grande città, nonché dal peso delle responsabilità nei suoi stessi confronti, inevitabili quando si comincia a “crescere”. E affermi che “il calore, i sorrisi, gli occhi e gli sguardi, l’affetto e l’amore di cui questi Paesi sono capaci, mi hanno aiutato a maturare, a sentirmi un po’ più appagato”…
Credo che in questi Paesi calore, sorrisi, occhi e sguardi, affetto e amore siano riservati soprattutto agli stranieri. Tu, straniero, ami loro e te ne incanti. Loro s’incantano con te e di te. L’amore risponde all’amore…
Sarebbe da riflettere su questa singolare dialettica, per la quale siamo noi stessi davvero – in tutta libertà – quando siamo con gli altri. Non a casa, non coi nostri connazionali. La patria come deserto (di gioie, di sentimenti, di amore). L’altrove come oasi che ci dà serenità e ci rigenera. È da rifletterci!
Sì, credo che sia proprio questa la cosa più importante che ha reso eccezionali questi anni … Sono tornato a sognare, cosa che non ero più capace di fare da tanto tempo. Da quando ero ragazzino, già dai miei 13/14 anni, ho dovuto rinunciare ad alcuni sogni e la mia vita ha preso una strada completamente diversa, proprio a seguito di queste rinunce. Quindi, il viaggio ha ragione di esistere perché mi ha offerto di nuovo la possibilità di tornare ad avere sogni che mi danno la forza e la voglia di fare progetti, di avere nuove speranze. Il blog e l’energia che ci metto per scriverlo, sono un esempio dell’espressione di questa forza e di questo cambiamento. Certo ho sempre, di tanto in tanto, momenti di forte pessimismo rispetto alla vita, al mio futuro e alla mia condizione di essere umano rispetto alle proprie emozioni, ma vivo molto meglio con queste idee e queste convinzioni.
Il viaggio nell’altrove come recupero di un altro altrove: quello dell’infanzia e dell’adolescenza. Ecco perché provi spesso tenerezza: ti avvicini a coloro che ti suscitano tenerezza, come nei tempi lontani del tuo passato. Ritrovi ciò che allora hai sperimentato solo fuggevolmente, e puoi permetterti, adesso, di viverlo in modo più forte e più consapevole. E tuttavia… la tenerezza dell’adolescenza resta. Sempre viva, come una fonte che non cessa di zampillare. Non a caso accenni spesso a colori, sorrisi, calore umano, bellezza e amore… e tanto tempo a disposizione! Vedi? Sorrisi, calore umano, bellezza e amore! Anche i colori sono qualcosa di non verbale. Una forma di comunicazione (parzialmente) censurata nei Paesi occidentali, e ancora viva, forse, nel Medio Oriente e nei Paesi del Maghreb.
C’è una frase che mi ha accompagnato spesso : “Tu sei un bravo uomo”, una frase che mi hanno ripetuto in tanti e che mi faceva piacere sentirmi dire. Spero di ritrovarmi e di ritrovare lo spirito di questa frase anche in Asia.
Ora credo di essere pronto a viaggiare diversamente. Quello che ho vissuto in Nord Africa e in Medio Oriente è stato eccezionale, unico, almeno per me. Ora volgerò altrove il mio sguardo, e anche il mio cuore, verso altri mondi, altri universi, per incrociare occhi e sorrisi differenti. Ma tutto questo lo scopriremo insieme col tempo.

Ancora una domanda. Prima di te altri scrittori o pensatori hanno sperimentato l'importanza del viaggio come esperienza di conoscenza. Qualche libro ha segnato in modo particolare la tua formazione? Qualche autore?

Potrei fare i nomi di vari scrittori e di testi che mi hanno accompagnato in tanti anni di viaggi, lasciando un segno importante, da Conrad a Kerouac, da Terzani a Bill Bryson o allo stesso Chatwin, che menzionavi poco fa; da racconti significativi come "On the road" e "In Patagonia" a “Un indovino mi disse”, ma nessuno di essi ha inciso sul mio percorso culturale ed umano in maniera più marcata di altri. Tutti loro, insieme, credo abbiano semplicemente contribuito a facilitare questa mia apertura verso l'altro, ad aiutarmi indirettamente nelle mie scelte di vita, a sviluppare questo progressivo e forse inconsapevole desiderio di scoprire il mondo, seguito con gli anni dalla necessità di raccontarlo in prima persona.
Mi sono sempre reputato un comunicatore verbale, piuttosto che uno “scrittore”, ma col tempo ho scoperto un’irresistibile passione, inaspettata, ovvero scrivere e raccontarmi. Le mie letture, legate alle sensazioni di viaggi fatti di scoperte emotive e conoscenze umane, credo mi siano ritornate utili nel momento stesso in cui ho sentito il bisogno di esprimere con maggiore concretezza il mondo straordinario che solo un viaggio può offrire. Ognuno di questi autori, quindi, è stato in qualche modo un punto di riferimento, nel mio viaggiare e scrivere di questi ultimi anni.

C’è qualcosa che vorresti dire agli studenti dell’Orientale che leggeranno questa intervista? Secondo te, come dovrebbero vivere la loro esperienza nell’Ateneo? E che cosa, a tuo avviso, può dar loro l’Università “L’Orientale” nel suo insieme (come esperienza complessiva)?

La scelta del proprio percorso universitario non è sempre facile. Al primo anno di studi, io stesso ero confuso, non ero sicuro che la mia scelta fosse stata quella giusta, così come per i corsi e gli esami che avevo indicato per il piano di studi. Ciò che ho cercato di fare in quel primo anno è stato guardarmi intorno, ascoltare, vedere le possibilità che “L’Orientale” poteva offrirmi, aprire le porte sulla conoscenza che lì, piuttosto che in un altro Ateneo, sentivo che avevo la possibilità di varcare. Lo ripeto: in quei primi anni sono stato una vera spugna e, se da un lato ho avuto qualche difficoltà di adattamento a metodi di studi del tutto diversi da quelli ai quali ero stato abituato venendo da una scuola professionale, dall’altro ho potuto iniziare con grande naturalezza quest’apertura al mondo, che ormai da anni caratterizza la mia vita, le mie scelte ed anche le miei emozioni.
Chiunque decida di fare ingresso a “L’Orientale”, credo debba mettere in conto da subito la possibilità di partire e di viaggiare, anche per brevi periodi, affinché il corso di studi scelto, nonché lo studio di una o più lingue straniere, acquisti col tempo un senso più profondo ed esca dal binario prettamente universitario, per acquistare forma, sostanza e concretezza. Credo che questo sia un punto importante che ogni studente dovrebbe tenere presente iscrivendosi in un Istituto di questo tipo.
Al tempo stesso mi sento di dire che l’Università dovrebbe essere vissuta da tutti anche in senso molto più ampio, non limitandosi soltanto alle ore di lezione, agli esami e al proprio corso di studi. L’Università va intesa anche come luogo d’incontro di conoscenze e di molteplici punti di vista che, in un modo o in un altro, possono influenzare il proprio percorso universitario ed umano. Nel mio caso, i movimenti studenteschi del 1994, che portarono avanti mesi di scioperi e una lunga occupazione dell’Ateneo, rappresentano un’esperienza importante nella mia vita e nel mio percorso all’interno di un’Università che stava ormai cambiando, a causa dell’autonomia finanziaria degli Atenei e del conseguente sgretolamento dell’Università pubblica e, io credo, anche del sapere ad esso legata.
In quel periodo, sull’onda dello spirito di cambiamento e d’innovazione che diede vita a vari gruppi studenteschi e associazioni culturali, mi candidai insieme ad altri colleghi alle elezioni dei rappresentanti degli studenti presso gli organi universitari, elezioni che con mia gioia e stupore vinsi sia per la Facoltà di Lettere e Filosofia che per il Consiglio di Amministrazione generale dell’Ateneo. La mia fu purtroppo un’esperienza molto breve, perché pochi mesi dopo la nomina partii per prestare servizio civile presso una struttura associativa del sud d’Italia, e fui costretto a dare le dimissioni in ambedue gli incarichi. Quell’esperienza fu comunque molto significativa, non soltanto perché mi permise di condividere un desiderio comune con altri studenti e colleghi, ma perché mi aprì le porte verso un ideale di principi in cui ho sempre creduto ma che in quei mesi l’Università, nel bene e nel male, mi aiutò a capire e a sviluppare, ideali di condivisione, di parità, di umanità e di uguaglianza nell’accesso alla conoscenza.
Idee e ideali che tutt’oggi mi accompagnano nelle mie scelte di vita.









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Su Francesco De Sio Lazzari
E' il Decano di Orientexpress, carica che deve solo al minaccioso scorrere del tempo. (Volentieri rinunzierebbe, ma sembra sia impossibile!) Ha insegnato "Storia delle religioni” all’Orientale, ispirandosi all’idea che l’insegnamento debba soprattutto decostruire le certezze. Sensibile ai dislocamenti dei testi, alle intensità, ai divenire, alle linee di fuga, insegue da sempre le suggestioni di un pensiero che sia spazio di dissoluzione, dissolvenza di soluzioni. Ama i percorsi autodistruttivi, i rituali della perdita, l’indifferenza alle certezze.

Sulla rubrica Viaggi e scritture di viaggio
All’inizio dell’ Odissea è l’invocazione del cantore alla musa affinché narri dell’eroe multiforme che “tanto vagò”, “di molti uomini vide le città e conobbe i pensieri” e “molti dolori patì sul mare nell’animo suo” (Odissea, I, 1-3). Viaggio e narrazione, viaggio e scrittura, sono qui apparentati, e diventano un unico modo per dire il movimento dell’eroe. Le avventure nello spazio servono a oggettivare e a rendere visibile l’avventura della mente e del cuore. L’iniziale invocazione del poeta trova una sua duplicazione nella reggia di Alcinoo, quando la regina chiede all’eroe di dire chi sia e da quale stirpe discenda. Alla domanda sulla sua identità Odisseo risponde: “Difficile raccontare, o regina, dal principio alla fine”: a ribadire che ogni viaggio è anche un racconto e che ogni racconto è anche il senso dei viaggi che ognuno compie fuori e dentro di sé. L’Odissea è il racconto di un narratore che “racconta come il viaggiatore racconta” (J.-L. Moreau, Odyssées, nel volume collettivo Écrire le voyage, Paris 1994, p. 37). Chi viaggia ha dentro di sé e davanti a sé la propria storia (nel doppio senso dell’accadere e del racconto), come colui che racconta è un vero e proprio viaggiatore nello spazio e nel tempo: “la letteratura non è che un racconto di viaggio. Essa consiste nell’esplorare le possibilità di narrazione…” (J. Roudaut, Encyclopædia Universalis, 1995 - XIX). "I più grandi geni hanno sentito la necessità di viaggiare; hanno compreso che era il miglior modo per perfezionare le proprie conoscenze" (J.-B. de Boyer, marquis d'Argens, Critique du Siècle, ou Lettres sur divers sujets, par l'Auteur des Lettres juives, chez Pierre Paupie, La Haye 1755, t. I, p. 194).

Enzo Cocco

Orientale Lumen - Studi e vita all'Orientale, di Francesco De Sio Lazzari (I Dibattiti, 2020)