News | venerdì 14 settembre 2012

Il velo

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QUESTO RACCONTO È STATO SELEZIONATO PER LA PUBBLICAZIONE TRA QUELLI SCRITTI DAI PARTECIPANTI AL "LABORATORIO DI SCRITTURA CREATIVA E" TENUTO DA LICIA PIZZI, PER LA CASA EDITRICE ORIENTEXPRESS E CON IL PATROCINIO DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “L’ORIENTALE”, FACOLTÀ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE.
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IL VELO
di Mena Giugliano

Lo specchio rifletteva degli occhi stanchi, li rivelava quasi lucidi, come se una lacrima volesse solcare gli zigomi, ma non ne avesse completamente il coraggio. Quegli occhi la fissavano, in qualunque posto della stanza si ponesse, la seguivano incessantemente. Si sarebbe sentita meglio se se ne fosse disfatta? Eppure quasi tutti quelli che capitavano in quella stanza avevano parole di apprezzamento per il suo dipinto.
Erano quasi le 11.

«È arrivata la signora G. per me?»
«Sì» risuonò la voce metallica dal piano superiore.
«Falla scendere».

Vera si dette un’occhiata nello specchietto e ripensò all’ultima seduta con lei. La vide arrivare proprio come se l’immaginava, con la sua arietta un po’ svampita, sicuramente reduce da uno dei suoi soliti incontri.
I successivi quarantacinque minuti sarebbero stati un susseguirsi di inutili dettagli sessuali, o finalmente sarebbe riuscita a spostare l’attenzione sulla reale causa di quegli appuntamenti settimanali?

«Ciao».
«Ciao» le fece eco la signora G.
Erano passate dal “buongiorno” al più confidenziale “ciao” in modo spontaneo, quasi immediato. Erano più di due mesi che Vera incontrava la signora G., anche se non le era ancora ben chiaro cosa la avesse spinta a rivolgersi a lei. Forse, ancora per poco. Vera, al momento, sapeva solo che era maldisposta e non poteva permetterselo, ma verso di lei nutriva una naturale antipatia che si acuiva ogni volta che la signora G. accavallava le gambe e sfoderava tutto il suo fascino, sebbene non ci fosse nessun uomo nel raggio di un chilometro, ma solo gli occhi indagatori del quadro sulla parete di fronte. La tela non piaceva alla signora G., non le era piaciuta fin dall’inizio, quasi indagasse dentro di lei più di Vera stessa.
Le gambe incrociate segnavano l’inizio dei suoi racconti intriganti e ricchi di particolari sensuali non richiesti. Non in quel contesto. Di certo non da parte di Vera. Ma era come se la signora G. raccontasse le vicende di un’altra, non le proprie, come se nulla la attraversasse per davvero.
Come poteva rapportarsi a una persona che riteneva così superficiale, così distante da lei, ma allo stesso tempo sentirsi attratta dai suoi modi di fare, dai suoi gesti, dalle sue banalità?
Vera cercò di restare lucida. Quella mattina Toni non l’aveva chiamata e ogni tanto la sua mente si assentava: cosa stava facendo… sì ok, era a lavoro, ma perché non le aveva fatto neppure una chiamata rapida?
Basta, ci avrebbe pensato dopo. Adesso c’era la signora G.
Era inquieta, aveva paura di dire banalità. Non le era mai accaduto prima d’ora, non con una paziente come lei.
La seduta scorreva lenta, i soliti discorsi, i soliti dettagli, le solite occhiatacce fulminanti a quel quadro che tutto sembrava voler sapere di lei, che capiva cosa stava nascondendo. La signora G. si sentiva denudata nella sua intimità davanti a quegli occhi. Quelle pupille indagatrici avevano capito che lei era un baro, che non giocava a carte scoperte, che taceva una parte di sé, laddove invece avrebbe dovuto svelarsi del tutto, o quantomeno lasciar venir fuori i propri mostri, senza sotterfugi né maschere.
Cominciava a diventare chiaro che la signora G. non si fidava affatto della propria terapeuta e per Vera era arrivato il momento di capire il perché.
Ad ogni automatico attorcigliamento dei riccioli attorno al dito si infittivano i dettagli, diventavano sempre più minuziosi. Se solo la signora G. avesse amato l’uomo con cui condivideva quella fisicità così curata e particolareggiata, Vera non avrebbe provato quel fastidio, quel disagio e quell’incomunicabilità tali da diventare incontenibili.
La sera prima la signora G. aveva avuto il suo incontro settimanale con la persona di cui si definiva, quasi con una punta di vanto, l’"amante". L’incontro, non a caso, avveniva sistematicamente la sera prima della seduta, quasi a voler suggellare il legame insito, la concatenazione tra i due eventi. Stavolta, però, il racconto scorreva un po’ spinoso, si percepiva una lieve tensione sotterranea, entrambe la percepivano, come una bomba che stesse per scoppiare entro pochi secondi.
Ora Vera stava capendo che era ben altro quello che la signora G. temeva di dire, quello che velava sotto il suo atteggiamento seducente, il motivo per cui sentiva il bisogno di usare quell’arma anche lì, anche con lei.

«Ieri l’ho vista» continuò la signora G. «ho visto finalmente la “fidanzata” del mio uomo, dell’uomo con cui mi vedo, dell’uomo con cui vado a letto». La descrizione dettagliata fece subito diventare tutto chiaro, chiarissimo agli occhi di Vera. Quello che sentiva dentro dalla mattina, uno dei suoi peggiori incubi si stava avverando. Erano giorni, settimane, ormai, che sospettava che il suo Toni avesse un’altra. Le sue serate con gli amici, le sue dimenticanze, le sue disattenzioni erano troppo palesi per essere semplici coincidenze. Vera non aveva voluto crederci, non avrebbe mai pensato di cadere nel più banale degli stereotipi, né di potersi imbattere in una così rara casualità.
Era proprio così, la signora G. era l’amante di Toni e glielo stava dicendo in faccia, per dimostrarle che il suo ruolo di terapeuta le serviva a ben poco in una simile circostanza.
Lei, così razionale nella sua professione, ora avrebbe dovuto tirar fuori tutta la sua impulsività, svestire i panni della psicologa e indossare quelli della donna passionale qual era realmente, qual era quando era insieme a Toni.
La signora G. la fissava con i suoi occhi di ghiaccio, in attesa di una sua reazione.
Lei non amava Toni, ma lo usava solo perché lui le offriva una situazione di comodo e lei non voleva rinunciare a quelle comodità.
Tutto apparve nitido agli occhi di Vera. Anche lei, come la signora G., aveva le sue comodità nella relazione con Toni, alle quali non voleva rinunciare.
Il dolore durò pochi istanti, quelli che bastano a chi ha imparato a proprie spese che i cambiamenti costano fatica e che è molto più facile e comodo adagiarsi. Quello che fece Vera: si adagiò e rimase.
«Allora a giovedì prossimo, Vittoria».

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MENA GIUGLIANO ha 29 anni, è appassionata di lingue dai più definite morte, ma, secondo il suo parere, più vive di coloro che le definiscono tali. Non potrebbe vivere senza di esse, la musica, la palestra e soprattutto le persone che ama.