Squarci | sabato 16 giugno 2012
Valerio Bruner
Sogni infranti e giorni di gloria
La lancetta del serbatoio era a terra, con la coda dell’occhio vide il cartello che preannunciava una stazione di rifornimento a 100 metri di distanza. Mise la freccia ed entrò in una valle solitaria che qualcuno aveva avuto il coraggio di chiamare Happy Folks Resort. Le luci al neon dell’autogrill donavano una certa aria poetica a quella pompa di benzina persa nel mezzo del nulla, a metà tra il sogno e la realtà. Non c’era nessuno in giro, eccezion fatta per qualche anima vagabonda che infestava la valle, alla ricerca di una ragione per continuare a credere che un giorno la pioggia avrebbe lavato via i suoi peccati. Volti anonimi, vecchi fantasmi che vagavano nella notte prima di scomparire alle prime luci dell’alba. Il tanfo di birra calda e di fiori calpestati aleggiava inconfondibile in quella notte d’estate. Il cuore dell’America giaceva a brandelli nel cappello di un vecchio cieco che chiedeva l’elemosina all’entrata dell’autogrill.
Gli anni ’70 avrebbero rivoluzionato tutto, sarebbe stato l’inizio di una nuova era, così si diceva in giro. Le donne si slacciavano i grembiuli, indossavano le minigonne e scendevano in strada gridando al vento la propria rivalsa su una società in cui l’unico visto di entrata era un bel cazzo sull’attenti; i gay non si nascondevano più, al contrario si baciavano in pubblico, sbeffeggiando la sorte toccata a Sodoma e Gomorra nella Genesi dell’oppressione e della dittatura celeste, i neri marciavano al ritmo di Nero è Bello!, nonostante la bellezza non avesse impedito a Malcolm X di entrare con tutti e due i piedi nella fossa. Tutto stava cambiando, eppure tutto sarebbe rimasto così com’era. Sarebbe stata l’ennesima macchia sull’asfalto che la pioggia estiva avrebbe lavato via, come aveva fatto tanti anni addietro con la vita di quel ragazzo di provincia, che non aveva ancora capito che una volta finito lo spettacolo, si esce di scena dalla porta di servizio e senza applausi.
Eppure tutti continuavano a sorridere alla televisione; ma i colletti inamidati e le gambe lunghe non erano la vita, quella tanto amara quanto vera che si poteva sfiorare in quella vecchia pompa di benzina sperduta nel nulla, dove si susseguivano e si intrecciavano le storie di donne e di uomini di cui nessuno si sarebbe mai ricordato tra una decina d’anni. Erano loro i veri protagonisti del sogno americano e allo stesso tempo gli esclusi, pallidi individui che continuavano ad aggrapparsi disperatamente a qualche miraggio che non li facesse andare alla deriva come naufraghi nell’immenso oceano delle promesse non mantenute.
Mise un dollaro nel cappello del cieco ed entrò per comprare qualcosa da mettere sotto i denti. Diede un’occhiata distratta alle riviste, quando la sua attenzione fu richiamata da un giornale, la cui prima pagina immortalava Joe Frazier, il nuovo campione dei pesi massimi che aveva buttato giù Jimmy Ellis alla quinta ripresa. E pensare che al suo posto avrebbe potuto esserci lui, se solo…. “Se solo cosa vecchio rottame? Se solo la vita non si fosse accanita così tanto contro di te, se solo avessi tenuto la guardia alta, se solo….. se solo fossi stata una persona diversa? È tardi ora povero illuso, il tuo turno è saltato ormai.”
«Sono 3 dollari e 13 centesimi signore.»
“Le ricordi le luci del Garden? Erano più accecanti della luce divina quando salivi sul ring, non sentivi nulla all’infuori dei battiti accelerati del tuo cuore mentre ripassavi tutti i jab, i diretti, le schivate, cercando di prevedere le mosse del tuo avversario per anticiparle e mandarlo knockout prima che la tua riserva di ossigeno si esaurisse. Il sapore del sangue, quello non si dimentica tanto facilmente vero? Si mischia a quello dell’adrenalina che ti investe il cervello e alla paura che ti fa rimanere vigile. E poi il boato della folla quando il tuo avversario cade al tappeto. Il momento in cui mostra il suo punto debole e tu lo colpisci veloce e preciso dove fa più male. Queste sono le uniche cose che non dimenticherai mai campione.”
Poi però più in alto si sale e più dolorosa è la caduta. Nessun applauso, nessun tappeto rosso ad indicargli l’uscita, nessuna corona di alloro. Per un pugile suonato come lui il sipario era calato a nascondere quel colpo vibrato sotto la cintola senza nessun preavviso. “Ha ricevuto troppi colpi alla testa Mr. Lento, il prossimo potrebbe esserle fatale, deve smettere di boxare, glielo dico come un amico” ecco come l’aveva liquidato il dottore. All’inizio se ne era fregato, poi quando aveva iniziato ad avvertire quelle fitte e quei capogiri violenti ed improvvisi aveva iniziato ad aver paura. Si svegliava di notte urlando, strappandosi via tubi immaginari che lo imprigionavano nei suoi incubi.
“Non ci sarà un altro round per te vecchio mio, K.O. tecnico, la senti la campana? È finita.” Ma i giorni di gloria, quelli non li avrebbe mai dimenticati, non sarebbe stato così facile consegnarli al vento e vederli scomparire nella polvere. Quei giorni di gloria sarebbero rimasti per sempre impressi su quel trafiletto di giornale ripiegato in un vecchio portafoglio di cuoio, con una foto di un giovane dall’aria imbronciata con la guardia alta e la scritta a caratteri cubitali “SOUTHBOUND JOE VINCE ANCORA”.
E così prima che l’alba del nuovo giorno spazzasse via le illusioni della notte, Southbound Joe rimontò in macchina, sintonizzò la radio su Jimi Hendrix che urlava: “There must be some kind of way out of here” e partì. Forse una via di fuga c’era davvero, un posto caldo dove scrollarsi di dosso tutto il gelo che gli attanagliava il cuore. Può darsi… solo che lui non aveva la mappa con sé e continuò a girare senza meta al confine tra l’inferno e la terra promessa come tante altre anime ingannate, mentre la luna si stagliava immobile come un faro che illumina la rotta dei marinai persi nel grande mare dei sogni infranti.