Squarci | sabato 16 giugno 2012
Vincenzo Cioffi
Di menti care
“Palla...”
Il super santos rosso rotola ai piedi di una ragazzina. La guardo per un lunghissimo minuto. I capelli rossi sono raccolti in due trecce, che ricadono soffici sulle clavicole. Il viso allungato, spruzzato di lentiggini, è rivolto verso di me ed i suoi occhi verdi mi fissano.
“Ciao Chiara” le dico sorridendo.
“Ciao Marco” la voce, cristallina e allegra, copre tutti i suoni che mi circondano.
Cosa devo dirle? Vorrei parlare, ma ho la gola secca, mi sento la lingua pesante, se provo ad articolare una parola l'aria mi si smorza nei polmoni,
“Mi ridaresti la palla?” farfuglio in modo quasi incomprensibile.
Allunga il pallone, stringendolo tra le mani, verso di me. Lo prendo con molta calma, lasciando scorrere le dite sulla plastica ruvida, sugli sbalzi delle scanalature, fino alle sue mani. La pelle liscia.
Mi giro di scatto verso il campo e lancio la palla al portiere. Guardo di nuovo Chiara, ha le mani lungo i fianchi, con i palmi appoggiati al raso della gonna nera.
“Cosa fai?” Le chiedo prendendo sicurezza.
“Torno a casa”
“Ti va se ti accompagno?”
Alza le spalle, la blusa bianca fa contrasto con la gonna. Le prendo una mano e la tengo nella mia. Il cuore quasi mi scoppia. Le dita si intrecciano, mentre ci avviamo verso la villetta in fondo alla strada. Guardo diritto avanti a me, fissando un albero o un cancello. Ho paura che sia solo un sogno, che se osassi guardarla lei sparirebbe ed io mi risveglierei stringendo il cuscino.
Ci troviamo davanti al suo cancello. Troppo in fretta, troppo silenziosi. Mi guarda ora, diritto negli occhi. Scatta in avanti e, veloce come un battito di ciglia, mi bacia. Sento il sapore del Labello. Ogni singola increspatura delle sue labbra si imprime su di me. Si volta verso il cancello e scappa verso casa, senza mai girarsi indietro.
Chiudo gli occhi, strizzando le palpebre fino a vedere centinaia di pallini colorati che danzano nel buio.
Il sole mi acceca quando li riapro. L'odore salmastro dell'acqua marina mi riempie le narici.
Chiara è nell'acqua, il costume due pezzi blu mette in risalto la pelle ambrata dal sole. Una goccia le scende sensuale dai capelli bagnati, lungo il collo sottile, fino ai seni abbondanti.
Prima di rendermene conto sto correndo verso il mare. Il freddo mi percorre come una scossa, mentre in corsa mi immergo fino alla vita. Tutto si spegne nella quiete dell'azzurro sottomarino, solo per colpirmi di nuovo quando riemergo accanto a lei. Le rubo un bacio, assaporando il salato della sua lingua, mentre le stringo i fianchi snelli, tenendola stretta contro di me. Sorride. Gli occhi sono velati dall'oro del sole e mandano bagliori di onde marine. Le passo una mano sotto le ginocchia e la tengo in grembo, come una bambina. Chiara poggia la testa sul mio petto e una cascata di capelli fulvi le ricopre il viso.
“Ti amo” mi dice.
Fisso l'orizzonte dove un gabbiano si tuffa verso la superficie increspata emettendo il suo grido raschiante.
“Anche io, bambina” le rispondo.
Giro la faccia verso il sole e chiudo gli occhi per godermi il calore e la brezza.
“Marco...”
“Marco...”
La voce viene dalle mie spalle. Riapro gli occhi e chiudo l'album di foto. Sull'uscio c'è Marta, mia figlia. Una volta da piccola mi disse: “se ti chiamo papà, tu sarai sempre e solo il mio papà, ma se ti chiamo Marco potrai essere il mio Papà, il mio amico e la mia guida.” La sua voce cristallina era identica a quella di Chiara alla sua età. Da quel giorno mi ha sempre chiamato per nome.
Le scosto una ciocca di capelli dall'orecchio, asciugandole una lacrima con il pollice.
“Andiamo?” Le chiedo.
È identica a sua madre, occhi verdi e lentiggini. Mi prende per mano e assieme andiamo a salutare Chiara, prima che i chiodi sigillino per sempre la sua bara.