Squarci | giovedì 31 maggio 2012

Valerio Bruner

Geometra Bruno Roversi...

Geometra Bruno Roversi, Generale delle Armate Bretoniane

Era tutto pronto. Mise la sveglia alle 6.45 e si infilò sotto le coperte. Anna aveva messo a letto i bambini e dormiva già da un paio d’ore. Ripensò soddisfatto ai preparativi che aveva minuziosamente organizzato per tutto il pomeriggio. Domani sarebbe stato il grande giorno, la grande sfida, la battaglia della vita contro il suo acerrimo nemico e collega di lavoro Ragioniere Antonio Piscazzi. Era troppo eccitato per dormire. Si impose di rilassarsi ma non ci riuscì, doveva dare un ultimo sguardo al suo esercito prima di addormentarsi. Doveva parlare alle truppe, incoraggiare gli uomini la notte prima della battaglia, esaltare il coraggio dei suoi campioni.Allontanò delicatamente le coperte cercando di non svegliare Anna che di sicuro non avrebbe compreso il suo impeto militare. Calzò le ciabatte, si alzò e infilò la vestaglia da camera. Socchiuse piano la porta e si diresse fiero ed impettito verso la stanza in fondo al corridoio. Appoggiò l’orecchio alla porta, non sentì nessun rumore. “Bene” pensò “stanno già dormendo, prodi guerrieri. Sanno che il riposo è importante la notte prima della battaglia.” Orgoglioso del comportamento dei suoi uomini girò la maniglia ed entrò.L’aria era fredda, qualcuno aveva lasciato il balcone aperto. Rabbrividì maledicendo ad ogni passo quella stupida di sua moglie. Doveva essere stata lei. Quante volte le aveva detto di non entrare in quella stanza senza il suo permesso. Chiuse l’ampio finestrone e si ripromise di fargliela pagare. Diede un’occhiata in giro per vedere se tutto era ancora allo stesso posto. Da domani avrebbe girato con la chiave della porta appesa al collo, cosicché nessuno avrebbe potuto fare danni in sua assenza. Una rabbia primordiale si stava impossessando di lui, rischiando di annebbiargli la mente. Come si era azzardata quella donna ad entrare senza il suo permesso? Era una pazza incosciente. Non volle nemmeno lontanamente pensare ai danni che avrebbero potuto fare i bambini se fossero sgattaiolati nella stanza mentre Anna ficcava il naso nei suoi affari. Sentii un formicolio alle mani, avrebbe voluto serrarle intorno alla gola di sua moglie e stringere forte. Fece un lungo respiro e si calmò. Gli uomini non dovevano vedere il loro generale preda delle emozioni. Li avrebbe agitati inutilmente, avrebbero dubitato di lui.Si avvicinò al grande tavolo rettangolare al centro della stanza, vi appoggiò una mano sopra per tastare il campo di battaglia. Gli occhi gli si riempirono di gioia ad osservarli. In prima linea erano schierati cinquanta Armigeri armati di picca – costituivano la parte sacrificabile dell’esercito, quella da mandare al massacro perdistrarre il nemico. Guardò quegli uomini con la casacca a strisce blu e rosse, i colori della casa reale, pensando a quanti avrebbero perso la vita nello scontro di domani. Cercò di non pensarci troppo, d’altronde un generale doveva essere cinico e calcolatore se voleva vincere la guerra. Due manipoli da venti Cavalieri del Regno erano disposti ai lati dello schieramento nella tipica formazione a lancia, che gli avrebbe permesso di sfondare le linee nemiche al primo impatto caricandole sui fianchi. Intorno alla chiesa diroccata, che offriva un ottimo riparo dalle truppe nemiche, aveva suddiviso sessanta Arcieri in tre gruppi da venti. Aveva preferito disporli come Schermagliatori, un assetto che gli avrebbe garantito una certa sicurezza dalle catapulte e dalle baliste del Ragionier Piscazzi.A una ventina di centimetri dal grosso dell’esercito si trovavano le sue truppe scelte: trenta Cavalieri della Cerca armati di pesanti spadoni e cinquanta Cavalieri del Graal, la truppa di elite alla quale nessun avversario poteva resistere. Due grossi trabucchi e dieci Cavalieri in groppa a cavalli alati terminavano il suo prode ed imponente esercito di Bretonnia. Cercò con lo sguardo i suoi campioni, li individuò e li prese da parte – ciò che un generale diceva ai suoi secondi in campo non poteva essere ascoltato dai semplici soldati.“Miei prodi” esordì fieramente “domani saremo chiamati a respingere le orde del Caos, il male incarnato. Non mi aspetto da voi meno di quanto abbiate fatto nelle precedenti battaglie: coraggio, onore e disciplina. Cavalchiamo insieme verso la vittoria!” concluse con la voce rotta dall’emozione. Ora era davvero tutto pronto. Rimise i campioni tra i ranghi, chiuse a chiave la porta e andò a dormire sereno.Il suono della sveglia fu il rumore più dolce che avesse mai udito. Si sentiva forte e riposato. Svegliò Anna perché gli preparasse una colazione sostanziosa mentre lui andava a farsi una doccia e vestirsi prima dell’arrivo del generale nemico.“E mi raccomando” aggiunse mentre sua moglie si infilava la vestaglia da camera ancora assonnata “dato che è domenica e non c’è scuola non voglio nessuno tra i piedi, né te né i bambini mentre sono con il Ragioniere nello studio. Hai capito bene?”“Sì sì Bruno ho capito, ho capito” gli disse mentre scendeva le scale per andare in cucina.Si lavò e si preparò con calma, scese in cucina e consumò una colazione abbondante a base di uova strapazzate e pancetta croccante. Bevve una tazza di caffè e guardò l’orologio: le 8.00. Bene. Aveva ancora due ore per rivedere il piano di battaglia e riesaminare la strategia da usare prima che Piscazzi bussasse alla porta.Salì velocemente le scale, entrò nello studio e si richiuse la porta alle spalle. Con gesti meccanici, come faceva prima di ogni scontro, si avvicinò alla rastrelliera delle armi – aveva speso un patrimonio per collezionare le lame più pregiate – prese una lunga spada normanna e andò verso la poltrona accanto al manichino che indossava un’armatura medioevale. Se l’era fatta fare su misura da un famoso fabbro toscano. Appoggiò la spada lunga alla poltrona e prese il grande elmo a forma di testa di leone. Lo infilò e si sedette a pensare.Era talmente assorto che non si accorse dell’arrivo del Ragioniere. Fu Anna ad avvisarlo. La povera donna trasalì nel vedere il marito aprire la porta con indosso quell’enorme elmo dalla folta criniera rossa.“Che c’è? Che vuoi?” la voce metallica e attutita a causa dell’elmo.“C’è il Ragioner Piscazzi, Bruno.”“Bene, bene. Che aspetti fallo accomodare su!” le berciò come si fa ad una mucca per costringerla ad entrare nella stalla.“Vado, vado” rispose la donna avviandosi verso le scale. La guardò scendere: aveva anche le fattezze di una vacca, non potè fare a meno di pensare.Prese posto accanto al tavolo a aspettò il nemico.Il Ragioner Piscazzi, un uomo alto e dinoccolato con pochi capelli in testa e il naso adunco, sembrava un avvoltoio famelico. Entrò a passi spediti nello studio con in mano una valigetta nera contenente le sue truppe del Caos.“Buongiorno Geometra Roversi” Piscazzi lo salutò stringendogli la mano “o devo chiamarla Sir Bruno?” Il sorriso che gli rivolse era odioso quasi quanto la mano sudaticcia e la stretta molle. Quell’omuncolo non aveva nulla di un generale, pensò Bruno. Provò una piacevole sensazione immaginando di staccargli la testa con un fendente di spada.“Non faccia lo spiritoso Ragioniere! Oggi siamo nemici se lo ricordi. Forza disponga le sue truppe sul tavolo, si sbrighi!”L’uomo parve risentito dalla quella risposta, ma non disse nulla. Gli si poteva leggere una rabbia recondita sotto le sopracciglia cespugliose. “Bene” pensò Bruno “così combatterà impulsivamente e perderà.”Piscazzi sistemò ordinatamente le proprie truppe sul grande tavolo da gioco. Disponeva di un enorme armata di Guerrieri e Cavalieri del Caos armati di mazze espade gigantesche in groppa a bestie fameliche. Tirò fuori dalla valigetta le temute catapulte e baliste con le quali avrebbe decimato gli Arcieri Bretoniani prima che potessero scoccare. Seguirono i Barbari delle montagne su dei grossi carri da guerra e giganti campioni dalle armature lucide e nere. Per ultimi collocò sul tavolo dieci grossi demoni dall’aspetto antropomorfo. Quelli erano i più temibili, avrebbero potuto sbaragliare le sue truppe in un batter baleno. Doveva rimanere calmo. Si impose di rimanere calmo.“Diamo inizio allo scontro Geometra” disse Piscazzi con un ghigno malefico “oggi si decide il campione di Warhammer. A lei la prima mossa!”Fu uno scontro epico. Il Bene si scontrò con il Male, la Luce respinse le Tenebre. Le truppe avanzarono, i cavalieri alzarono alti gli stendardi e si lanciarono alla carica dei demoni, le frecce oscurarono il cielo, i carri mieterono i fanti come spighe di grano. Gli uomini combatterono e morirono al comando dei loro abili generali. Dopo tre ore ininterrotte di gioco i Bretoniani di Bruno stavano avendo la meglio. Nonostante avesse perso i trabucchi, tutti gli Arcieri e buona parte dei Cavalieri del Regno e degli Armigeri, il Geometra Roversi poteva ancora contare sulla fitta schiera di Cavalieri del Graal affiancati dai Cavalieri sui Pegasi. Il Ragionier Piscazzi invece era allo stremo delle forze e gli restavano solo due demoni e pochi manipoli di Guerrieri appiedati.“La vittoria è mia!” pensò Bruno lanciando i dadi per la carica decisiva. E in quel momento, proprio mentre mandava avanti la cavalleria per il colpo finale, i bambini entrarono correndo nella stanza inseguendosi l’un l’altro. Tommaso, il più piccolo, rovinò addosso al padre facendogli perdere l’equilibrio. Per non cadere l’uomo si appoggiò al tavolo da gioco facendolo ribaltare, scaraventando al suolo tutti i soldatini, vivi e non mentre il Ragionier Piscazzi cercava di salvare goffamente le sue preziose miniature di metallo.Si rimise in piedi in preda ad una furia cieca che si era impossessata di lui. Prese il bambino per il collo della camicia e gli assestò un paio di schiaffi. Il piccolo iniziò a piangere più per lo sguardo negli occhi del padre che per i ceffoni ricevuti.“Anna!!!! Vieni a prenderti questi due idioti! Guarda cosa hanno combinato!!!!! Annaaaaaaa!!!!” urlò così forte che per poco gli occhi non gli schizzarono fuori dalle orbite.“Si calmi Geometra si calmi” intervenne Piscazzi reggendo le miniature che era riuscito a salvare dal disastro “è solo una partita, la rifaremo la settimana prossima non si preoccupi.”Era come sordo alle parole del collega. Continuava a pensare che era tutta colpa sua perché si era dimenticato di chiudere la porta a chiave. Era stata quell’idiota di Anna a distrarlo e a farglielo dimenticare e ora era tutto perduto. Quella puttana e quei mocciosi avevano mandato in fumo il suo sogno di vittoria. E quel mentecatto del ragioniere voleva rimandare la partita perché sapeva che avrebbe perso. Doveva fare qualcosa, non poteva lasciare impunito un simile affronto, gli uomini non lo avrebbero più rispettato.Si alzò e corse senza pensarci verso la spada appoggiata alla poltrona. La prese e puntò Piscazzi, gli occhi iniettati di sangue.“Geometra ma cosa fa? E’ pazzo? Guardi che….”Gli staccò la testa con colpo preciso – come aveva sognato di fare tante volte – prima che quello potesse finire la frase. Il corpo privo di vita si accasciò al suolo in uno spruzzo di sangue che imbrattò il muro alle sue spalle. Una lunga scia rossa iniziò ad allargarsi sotto il cadavere. I bambini rimasero impietriti dalla scena, incapaci di realizzare cosa sarebbe successo. Morirono così, senza piangere o urlare. Scavalcò i corpi privi di vita dei suoi due figli e scese le scale, incrociando Anna sul suo cammino.“Bruno che hai fatto?” l’espressione incredula di lei si trasformò in terrore puro quando vide il marito sporco di sangue, la lama appiccicosa e imbrattata di cervello e capelli.“Ti avevo detto di tenerli lontani!!!” urlò con tutta la sua forza mentre le calava la spada sulla testa aprendola in due come un cocomero. Il corpo della donna rotolò giù per le scale con un tonfo, la spada ancora incastrata nella testa.Ritornò lentamente nello studio, cercando di non mettere i piedi nelle pozze di sangue che avevano reso il pavimento infido e scivoloso. Recuperò i suoi campioni, li ripulì del sangue che gli nascondeva le fattezze e i colori e li allineò sulla scrivania dove passava intere notti ad assemblare e dipingere le sue truppe. Si sedette e li osservò. Ripensò alla frase del finale de I Cavalieri che fecero l’impresa di Pupi Avati. Li accarezzò e disse orgogliosamente: “ Miei prodi abbiamo portato a casa la vittoria.”


Su Valerio Bruner
Nato a Napoli nel 1987, si è laureato in “Lingue e Culture Comparate” presso l'Università di Napoli "L'Orientale". Interessato alla letteratura di ogni tempo e di ogni luogo, scrive poesie e racconti. È appassionato di cinema, di blues e di Bruce Springsteen. Attualmente scrive per le sezioni Esteri (Nord America) e Cultura per “il Levante” di Napoli. Scrittore di poesie e racconti, "La Ballata del Drago e del Leone" è il suo primo testo teatrale.

Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.

La Ballata del Drago e del Leone, di Valerio Bruner (Gli Ibischi, 2013)