Squarci | domenica 22 aprile 2012

Valerio Bruner

Un incontro inaspettato

Ho sempre pensato che i pub siano un ritrovo per falliti. Sapete quel genere di posti frequentati da quelle persone che non fanno un cazzo nella vita perché non se le fila nessuno. Sono sempre loro infatti a dire: “Vado a farmi una birra al pub.”
Mio padre era uno di loro, mio nonno si è salvato solo perché la nonna lo inseguiva fin dentro l’Oxford Arms e ce lo faceva uscire a calci in culo. Mia madre purtroppo non aveva lo stesso spirito energico. Ed io Ralph Kenningan sono il degno figlio di mio padre. Sono anni che vengo sempre qui all’Oxford a farmi una pinta di London Pride, la birra nazionale più schifosa che si possa immaginare. Ma è anche la più economica e per uno come me, che ancora cerca lavoro negli Stables, è una manna dal cielo.
Dicevo comunque che il pub è un posto da sfigati. Me lo dice anche Ron il barista ogni volta che ne deve cacciare fuori uno che si è fatto una birra di troppo e che gli ha vomitato sul bancone. “Li vedi questi stronzi Ralph?” mi dice asciugandosi le mani sul grembiule “sono dei bambini! Non hanno ancora i peli intorno al cazzo e vogliono bere la birra. Dico io, andate a ubriacarvi allo Zoo Bar con i pivelli come voi invece che venire a rompere il cazzo a me. Banda di sfigati! Che ti servo?”
“Un’altra Pride Ronnie. Alla tua amico!”
Ok sono quasi ubriaco. Un’altra pinta e poi a nanna se non voglio passare la notte a vomitare nel cesso di qualche Mc Donald’s. Mi ero portato il taccuino appresso sperando di buttare giù due versi, ma l’unica cosa che sono riuscito a scrivere dopo cinque pinte è: “Ardo per i tuoi baci mia Ninfa, concedimi le tue grazie o mia bella, ché il tempo ci sfugge.” Puah, che cazzata! Scommetto che se andassi vicino a una donna e le leggessi questi versi, prima mi riderebbe in faccia poi mi darebbe un penny per pagarmici da bere. Maledetto il giorno che ho abbandonato il posto al British – in realtà mi hanno mandato via - per scrivere poesie e girare il mondo. Alla fine ho girato solo fra Scozia e Irlanda. Ah, vaffanculo! Mi ci vuole un’altra birra ancora, meglio vomitare che pensare al passato.
Mi avvicino barcollando leggermente al bancone e vedo le gambe più lunghe e più belle che abbia mai visto nei miei pellegrinaggi in lungo e in largo per la Gran Bretagna. Alzo lo sguardo e, cazzo, rimango folgorato da un paio di tette grosse quanto meloni! Qui ci vuole il porto d’armi per un calibro del genere. Ah sì, poi ha due occhi verdi, una cascata di capelli rossi e una spruzzata di lentiggini sulle guance.
“Questa si che è una sventola” penso mentre cerco di ricacciare indietro un rigurgito. Ho perso da un paio d’ore la dignità tanto che le declamo ad alta voce: “Ardo per le tue gambe Ninfa, concedimi le tue poppe. Amen.” Mentre pronuncio l’ultimo verso mi chiedo se parta prima una sberla o un calcio.
“Come te la passi Kenningan? Hai un pessimo aspetto ma sembri ancora vivo! Ti ricordi di me? Sono Jenna, Jenna Galloway. Ci siamo laureati lo stesso anno alla UCL!” mi dice con un sorriso meravigliosamente dolce.
“Jenna Galloway? Cazzo ma avevi i brufoli l’ultima volta che ti ho visto! Burp…scusa sono un po’ ubriaco…Beh ciao come va? Cristo sei bellissima! Che ci fai qua?” Non riesco più nemmeno a spiaccicare una parola senza che mi si attacchi la lingua al palato.
“Grazie Ralphie! Anche tu stai….bene, mettiamola così. Che mi racconti allora? Di che ti occupi? Hai moglie, figli, cosa? Scusa tutte queste domande ma non avrei mai pensato di rincontrarti.”
A dire il vero non lo avrei pensato nemmeno io, di rivederla. Erano passati secoli dall’ultima volta che l’avevo vista. Era stato un paio di giorni dopo la cerimonia di laurea, quando l’avevo mollata in mezzo al Quad. Jenna era pazzamente innamorata di me ai tempi dell’università, non era cattiva ma aveva i brufoli, una cosa che ha sempre cozzato con il mio modello di donna ideale. In compenso era una infoiata assurda! Infatti ci avevo fatto coppia un paio di settimane solo per farmelo menare nei bagni dell’università e per scoparmela quando i suoi erano via. Con la scusa di studiare insieme mi ero fatto le migliori cavalcate della mia vita. Nonostante i brufoli – mi bastava non guardarla in faccia e moscio non mi veniva – Jenna ci sapeva fare eccome. E poi ingoiava e questa era la ciliegina sulla torta. Ancora mi ci faccio le seghe pensando a quei giorni. Però di starci tutta la vita non ne avevo la minima intenzione e gliel’avevo detto chiaro e tondo. Era scappata via in lacrime ma questi cazzi e amen. Ma ora a guardarla è tutta un’altra storia: Jenna Galloway è semplicemente bellissima. Sento di avere un’erezione.
“Ehm…no ma quale moglie e figli! Sono ancora su piazza. Niente, adesso sono momentaneamente disoccupato…ma aspetto una telefonata per una proposta di lavoro da un giorno all’altro.” Si come no. L’unica telefonata che davvero aspetto è quella dell’agenzia a Camden che mi tartassa perché non ho ancora pagato il fitto. “Ho lasciato la sezione restauri del British perché volevo girare il mondo e scrivere poesie.”
Diciamo che è una mezza verità: al British c’ho lavorato certo, ma mi hanno cacciato dopo che ho ridotto in frantumi una punta di freccia risalente al Neolitico o che altro. E quelli che avevano fatto? Mi avevano dato un calcio in culo e tanti saluti! Ne avevano venti di quelle punte di merda e per una sola mi avevano mandato sul lastrico. Beh quello che ho fatto dopo lo potete facilmente immaginare. E no, non avevo trovato un altro lavoro.
“Ma piuttosto TU che mi dici Jenna? Che fai qua a Londra?” Sono ansioso di saperlo visto che non ha l’aria da fallita che mi porto io appresso. Sembra una appena uscita da una riunione di lavoro, di quelle importanti.
“Beh Ralph faccio la puttana. Ho appena finito con un cliente. S’intenda non sono una di quelle zoccole che per dieci pounds ti succhia l’uccello dietro la stazione di King’s Cross. Sono una di classe: mille sterline per una notte con me caro mio.” Lo dice come se niente fosse, nemmeno mi avesse detto che lavora per Amnesty International.
“Wow che storia! Beh allora scommetto che sai scopare da favola! Cazzo scusa Jenna sono un po’ ubriaco.” Ma che ho in mente? Una sventola come Jenna sta parlando con me e io le urlo in faccia se sa ancora fare un pompino. Devo essere davvero andato.
“Beh caro, l’esperienza frutta in questo mestiere. Poi tu dovresti saperlo come scopo, no? Credo che era per questo che facesti coppia con me, anche se solo per un paio di settimane.” Ora non sta più sorridendo.
“Si hai ragione, sono stato uno stronzo a mollarti così quel giorno. Per quello che vale mi dispiace Jenna. Posso offrirti un drink?” le chiedo per fare ammenda.
“Un Rhum andrà bene Ralph. Offro io, lascia stare. Sir! Un Rhum per me e un…che bevi?”
“Un’altra Pride Ron!”
“Aye.” Ron non ci può credere che quella stangona in cappotto di pelliccia e scarpe di Jimmy Choo sta parlando con me che ho una giacca di pelle di tre taglie più grande e le scarpe scalcagnate.
“Beh agli incontri inaspettati allora!” le propongo di brindare.
“E a alle sorprese che si nascondono dietro!” aggiunge lei con un sorriso che mi fa venire il cazzo più duro di quello che è.
Non starò qui a raccontarvi per filo e per segno di cosa abbiamo parlato quel paio d’ore nel pub di Ron e credo che nemmeno vogliate saperlo. Voi volete solo sapere se me la sono portata a letto. Già vi vedo a ridere pensando “Se questo fallito si scopa una come lei, c’è speranza per tutti.” E infatti di speranza ne avete eccome. Salito sul 29 che mi riporta a casa – casa poi: un buco di stanza giù a Rowstock Gardens che divido con due svedesi e un portoricano – mi siedo e infilo una mano nella tasca della giacca alla ricerca di sigarette immaginarie. E invece ci trovo un sottobicchiere: c’è il suo numero di cellulare con sotto scritto “gratis per un vecchio amico”. Woo! Se questa non è una benedizione allora io sono ricco e vivo su a Kensington. Che io sia dannato! Mi sa che non ha mai dimenticato le scopate che ci siamo fatti a casa sua. 37 Fairmead Road: la casa dei piaceri! Ma che divago a fare? Qua mi devo dare una sistemata se voglio fare una bella figura. Solo che ora sono le due del mattino e ho un fottuto bisogno di pisciare e stendermi sul letto. Speriamo che quell’idiota di Svenn, Svennson o come cazzo si chiama lui, non stia dando una festa con quei quattro accattoni amici suoi.
“Ehi Ralph! Unisciti a noi dai! Abbiamo ancora qualche lattina!” mi biascica in faccia quel cazzone allampanato. Ecco come non detto.
“No grazie ragazzi, passo. Vado a dormire.”
Mi faccio una pisciata mentre uno stronzo mi guarda dal fondo del cesso nuotando in tondo. Maledetti accattoni! Cristo tiratelo lo sciaquone almeno. Salgo in stanza e mi metto a letto cercando di non fare caso al rumore dei bus che fermano proprio sotto casa. Tra una fermata e l’altra riesco comunque a prendere sonno.
Mi sveglio di soprassalto. Che ore sono? Merda ho la testa vuota e lo stomaco a pezzi. Le 10.00 del mattino…beh magari mangio qualcosa e poi torno a letto. No! Che cazzo dico?! Devo chiamare Jenna assolutamente che me la devo scopare. Quanto mi rimane nel portafoglio? Vediamo….cinque schifosissimi pounds con la faccia di quella vecchia battona su sfondo verde acqua. Beh andranno bene. Magari ci compro una bottiglia da Sainsbury’s per 2 pounds e 10 cents e con il resto prendo le sigarette. Scendo a fare colazione ora prima che sbatta a terra.
“Hola Rafie! Buenos dias! Que tal? Has encontrado trabajo?” mi fa Santiago il portoricano quando mi vede.
“Santiago lo sai che non parlo spagnolo. Che cazzo hai detto? Vabbè lascia perdere” gli dico mentre apro la dispensa alla ricerca di qualcosa da mettere in pancia. Niente. Non ho fatto la spesa ieri. Poco male, appena lo stronzo sale di là lo
alleggerisco di qualche galletta. Porco bastardo, crede che non lo sappia che mi ha rubato due lattine di birra la settimana scorsa.
Mi ci vuole una doccia calda e poi la chiamo.
“Si chi è?”
“Ehi Jen sono io Ralph. Senti senza giri di parole: dove e quando ci vediamo?” Sono troppo arrapato per tutte quelle stronzate sul come stai e che cosa stai facendo. Poi fa la puttana mica la crocerossina.
“Wow se sei diretto! Non sei cambiato affatto a quanto vedo…Senti vediamoci all’angolo di Hyde Park verso le 5. C’è un hotel a pochi minuti dalla fermata del bus. Ci vediamo là davanti. A dopo Ralphie.”
“A dopo Jen.” Cazzo non ci posso credere. Oggi è una bellissima giornata – la pioggia viene giù dritta o leggermente inclinata – esco per una passeggiata giù a Camden. Passo davanti l’Oxford….beh magari una pinta sola…me la faccio segnare da Ron. No, assolutamente no. Devo comprare una bottiglia di vino. Non posso presentarmi a mani vuote. Sarebbe da scostumati: una topa megagalattica da mille sterline a botta mi propone di scopare gratis e io non le porto nulla. Niente da fare Ralph Kenningan è un uomo rispettabile. Compro il vino e le sigarette, faccio un giretto per gli Stables e torno a casa.
Alle 4.30 sono già fuori all’Hotel. Non sto più nella pelle. Mi sono dovuto fare un paio di seghe prima di scendere per calmarmi un po’ e non presentarmi carico all’appuntamento. Sono passati otto anni dall’ultima volta e non voglio rovinarle il ricordo. Cazzo eccola che arriva. Dio che bomba!
“Già qui Ralphie?”
“Eh sì, sai mi trovavo in giro e mi sono anticipato di un pò.” Mezz’ora di anticipo, manco fossi lo sposo all’altare. “Ti ho portato una bottiglia di vino Jen.” Gliela porgo.
“Ah sei gentile. Grazie. Appena su ce la beviamo. Seguimi.” Non le ha dato nemmeno un’occhiata. Questi cazzi.
Saliamo su al quinto piano, dove Jen ha una stanza che usa per gli appuntamenti quando si trova a Londra. La camera è piccola ma ben arredata, roba da ottanta sterline a notte come minimo. Pareti bianche, poltroncina di pelle, scrivania di legno, minibar nell’angolo e….letto con lenzuola di seta nere. Questa sì che è classe porco mondo. Mi tolgo la giacca e mi accomodo sulla poltroncina.
“Allora Ralph vatti a fare una doccia mentre io mi preparo per te. Che dici zucchero?”
“Dico che va benissimo piccola.” Cazzo già ce l’ho duro.
Faccio come mi ha detto. Mi faccio la doccia in quella vasca che vale quanto l’intero bagno di casa mia, metto l’accappatoio e ritorno in stanza. E lei sta là: biancheria nera di pizzo, calze nere e scarpa tacco 12. E pensare che quasi mi faceva schifo quando me la sbattevo tanti anni fa.
“Coraggio Ralph, non essere timido. Togliti l’accappatoio e vieni qua.” Mi dice sfilandosi la mutandina e gettandomela in faccia.
“Ehi pupa solo una cosa. Non ho i preservativi – non mi era rimasto un centesimo – non ho avuto il tempo di comprarli.”
“Non ti preoccupare. Prendo la pillola ché sono allergica al lattice. Dai coraggio prima che mi raffreddo.”
Tranquilli ragazzi, stavolta vi racconterò tutto quanto per filo e per segno. Se io ho avuto la benedizione di farmela, a voi spetta come minimo un accurato resoconto dell’evento. Allora mi avvicino a lei e glielo schiaffo in bocca senza tanti complimenti. Porca puttana come me lo lavora bene. Poi se lo mette tra le tette e si fa scopare così per un pò. Mi monta sopra e si fa una cavalcata di quelle che nemmeno la regina delle amazzoni. “Cazzo” penso guardandola mentre le tette le vanno su e giù “questa è più infoiata che mai. Non posso mica venire ora. Quando mi ricapita un’occasione del genere.” Ora è il turno mio: la prendo e me la chiavo da dietro aggrappandomi ai quei lunghi capelli rossi. E come cazzo urla Jenna. Quasi me ne vengo. No, ci vuole un’altra spinta. Quando non ce la faccio più a trattenermi, la rigiro davanti e le vengo dentro guardandola negli occhi. Che sguardo ragazzi! E che scopata! Era anche meglio di quanto mi ricordavo.
Apro la bottiglia di vino e tra un bicchiere e l’altro il cazzo torna di nuovo sull’attenti.
“Pupa” le faccio “me lo concedi un extra? Qua ne ho ancora per un altro giro.”
“Sempre lo stesso eh? Dai vieni qua e vediamo che posso fare” mi dice posando il bicchiere vuoto sul comodino.
Stavolta mi faccio fare un pompino giusto per vedere una cosa. Sì, ingoia ancora.
Mi accascio letteralmente sulla poltroncina e la guardo rivestirsi. Che bella che è. Se lo avessi saputo che diventava così le avrei chiesto di sposarmi tanti anni fa e forse le cose non sarebbero andate uno schifo come adesso.
“Ora devo andare cucciolo. Ho un appuntamento con uno di Chelsea. Mi viene a prendere tra cinque minuti e mi porta fuori a cena. Più sono vecchi e più diventano romantici.” Si avvicina e mi bacia sulla guancia. “Tu prenditela comoda, finisciti il vino e fatti un’altra doccia se vuoi. Quando vai via ricordati di lasciare le chiavi ad Alfred. Ciao zucchero.”
La guardo allontanarsi e mentre sta per uscire le dico: “Morirei per te piccola.”
Lei mi guarda sorridente e fa: “Lo hai appena fatto. Ho l’AIDS.” e si richiude la porta alle spalle.
Qualcuno ha tirato la catena del cesso e io sto colando a picco. Mi chiedo che mi farò scrivere sulla lapide. Qualcosa tipo “Qui giace Raphael Kenningan, poeta e grande coglione”. Prendo la bottiglia e mi faccio una lunga sorsata.
Mah! Di una maniera si deve pur morire, non trovate?


Su Valerio Bruner
Nato a Napoli nel 1987, si è laureato in “Lingue e Culture Comparate” presso l'Università di Napoli "L'Orientale". Interessato alla letteratura di ogni tempo e di ogni luogo, scrive poesie e racconti. È appassionato di cinema, di blues e di Bruce Springsteen. Attualmente scrive per le sezioni Esteri (Nord America) e Cultura per “il Levante” di Napoli. Scrittore di poesie e racconti, "La Ballata del Drago e del Leone" è il suo primo testo teatrale.

Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.

La Ballata del Drago e del Leone, di Valerio Bruner (Gli Ibischi, 2013)