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Squarci > domenica 17 settembre 2006 - #38
Elena e Menelao, coppia felice e senza amore
Giangaetano Bartolomei
Ricordo un professore di latino che, commentando non so piA1 quale carme di Orazio, ci proponeva il nesso, non solo etimologico, tra desiderium e de-siderare. Non posso nominare il desiderio senza ricondurlo a quel tramontare di astri da cui nasce. Mi pare che il desiderio sia un sentimento disperato della sera: insorge dopo il tramonto del sole, A?N una rivolta contro l'angoscioso presentimento che il sole non ritornerA? piAo a splendere, che quel sole A?N tramontato per sempre.
Sembra che l'uomo abbia impiegato molte energie (e, certo, anche prima di Epicuro) per cancellare, per negare, per sconfiggere il desiderio; per divaricarlo il piA1 possibile dalla sua radice (che A?N il rimpianto), per risolverlo nel bisogno, nella voglia, nell'appetito. Ci dicono i saggi che A?N, questa, una strada per sfuggire all'infelicitA?.
Se accenno al desiderio, al suo nascere dopo il tramonto, al suo essere res in plancto e nostou-alghia, A?N perchAc, senza desiderio (cioA?N senza rimpianto e nostalgia), non vedo quello che, sinteticamente, siamo soliti chiamare amore: sebbene debba convenire che, nell'amore, l'amante A?N tale soltanto se non sa che la sua bocca e il suo cuore dicono rimpianto e nostalgia, ma, ingannandosi con mente folle, sente di poter raggiungere per la prima volta (nel suo protendersi innanzi, verso l'amata) ciA2 che, invece, ha, un tempo, avuto e ormai perduto per sempre. Se l'amante sapesse davvero, col cuore, di essere mosso da una implacabile nostalgia, non sarebbe piA1 amante, ma uomo del lutto.
L'amore, dunque, vive di un inganno e puA2 morire o per un altro inganno, di un altro amore, o perchAc la veritA? scioglie il suo canto in un sommesso requiem.
A? il requiem piA1 cruciale e terribile della vita di ogni uomo, e talora conduce a morte chi lo recita sino all'ultima strofa. Talaltra trasforma il selvaggio disperato nell'uomo civile, rassegnato. Ai mortali convien pensare cose mortali, se non vogliono morire prima del termine della loro vita. I1 desiderio, per sua natura illimitato, implacabile e trascendente ogni oggetto cui si rivolge, conduce alla rovina chi gli si abbandona, accecato dal miraggio di un impossibile ritorno.
Ci sono due ritorni: il ritorno possibile (quello di Odisseo al regno della civiltA? umana, dopo essersi lasciato trasportare lontano dal desiderio; o quello di Elena alla sua casa, al suo sposo, alla sua figlioletta) e il ritorno impossibile, cioA?N il ritorno che viene tentato abbandonandosi al desiderio. Mi pare che la vita di ognuno sia un continuo intrecciarsi di questi ritorni. So bene che esistono altre, differenti possibilitA? di pensare il desiderio (proiezione di parti idealizzate del SAc, scissione dell'oggetto ecc.), ma non desidero servirmene.

Dicevo che l'amore si manifesta come negazione della sua propria natura di desiderio, come miraggio di possesso, come sfida disperata alla minaccia del lutto. Non mi sfugge che l'istinto, il bisogno, lo stimolo-risposta sono tutte cose vere e, se dio vuole, ci affratellano agli animali; esse hanno uno spazio e un ruolo nell'amore e ci danno la porzione di piacere che l'amore ci dA?; ma l'uomo - lo sappiamo - A?N centauro: dalla cintola in su sta nella storia e nella cultura, cioA?N nel luogo in cui il desiderio (come rimpianto e nostalgia non riconosciuti) si costituisce, nel luogo in cui incombe sempre il pericolo di essere ammutoliti dal lutto.

Ho sempre pensato che chi cerca nel mito, trova sAc stesso, parti di sAc. Non A?N poco. I1 mito A?N un paniere generoso (come certe dolcissime cortigiane delle fiabe): prende con generositA? e restituisce con prodigalitA?: se lo si adopera come un paniere, se non si cerca di farne un oggetto, una cosa, piena, compatta, giA? piena prima che la pensiamo e l'interroghiamo. PerchAc questa A?N la morte del mito, la sua sterilitA?. Sappiamo bene che non esiste la veritA? del mito, cosA- come non esiste la sua versione autentica e genuina. C'era bisogno che il padre dell'antropologia strutturale ci ricordasse che un mito A?N l'insieme delle sue versioni e che giA? il parlare di un mito A?N darne un'ennesima versione? Ogni interpretazione di un mito A?N una sua nuova versione, un altro strato che s'aggiunge. PerchAc il mito, al pari della realtA?, A?N come una cipolla: non ha nocciolo. Con buona pace di chi s'ostina a ricercare il A??nucleo originarioA?? del mito o a separare le versioni A??autenticheA?? da quelle A??spurieA??, A??tardeA??. Come se il mito fosse un testo, scritto molti millenni addietro, e poi travagliato, alterato, sfigurato, dalle omissioni, dalle interpolazioni, dalle aggiunte A??arbitrarieA??, dall'imperizia o dalla presunzione di noi, cattivi amanuensi.

Eccomi dunque a proporre alcune riflessioni sul mito di Elena che non intendono nAc svelarne un'immaginaria A??veritA?A?? (che non sta da nessuna parte) nAc apprestarne una rielaborazione coerente. Riflessioni incoerenti, dunque, anche contradittorie (e magari conflittuali: il conflitto A?N in chi le fa, come potrebbe non essere presente nelle sue riflessioni?). Se si preferisce, ma A?N un po' stucchevole, le chiamerA2 libere associazioni.
Il paniere mitico che mi piace scegliere A?N l'Odissea; in particolare, il IV libro, dove si narra della visita fatta a Menelao da Telemaco in compagnia di Pisistrato. Il quadretto A?N quasi commovente. La figlia di Zeus e di Leda A?N ritornata a casa, pentita (sembra), e un focolare distrutto A?N stato ricostituito, con generale soddisfazione.
Il male A?N stato vinto; l'istituzione A??civileA?? della famiglia ha trionfato sugli smarrimenti della passione illegittima, insensata, rovinosa. C'A?N tutta la materia per un romanzo educativo, destinato alle signorine di buona famiglia della media borghesia (di una volta). Ma, per fortuna, Omero non A?N Delly.
Nel rileggere il IV libro dell'Odissea sento, per la prima volta, un vago disagio, come dinanzi a un discorso inautentico. Disagio nel visitare, insieme a Telemaco e a Pisistrato, questo ricostituito focolare regale, dove regnano rispetto e concordia, come se nulla fosse accaduto, come se invano il fiore della gioventA1 argiva e troiana fosse stato reciso, come se soltanto un capriccioso fuoco d'artificio, voluto da Fato, avesse A??gettato a terra le sacre torri di IlionA?? nelle fiamme di un incendio che da millenni illumina la memoria delle genti elleniche e non solo elleniche. La sproporzione appare letteralmente incredibile.
Stridente, sgomentante contrasto col focolare (anch' esso regale) dell'altro Atride; focolare, questo, dilavato dal sangue. Due fratelli, due mogli adultere (non che i mariti... ma questo era concesso), due finali opposti.
Di Agamennone, Clitemnestra, Egisto ed Oreste sono noti a tutti i casi, nAc la loro lettura, per ambigua e difficile che possa risultare, mi appare inquietante ed enigmatica come quella della coppia apparentemente riconciliata senza tragedia, senza delitto. Dico Menelao ed Elena.
UserA2 dunque la versione omerica del mito di Elena come stimolo per pensare le connessioni e le sconnessioni tra desiderio, amore e civiltA?; tra il desiderio che conduce a morte (Agamennone e Clitemnestra) e la morte del desiderio, o il suo rinnegarsi, che conduce alla parvenza dell'amore A??civileA?? e della vita (Menelao ed Elena). A?, questo, un brandello della pedagogia omerica?
DirA2 sAobito che, nonostante la profusione di epiteti che vorrebbero indicare il contrario, Menelao ed Elena riconciliati mi appaiono, a una prima lettura, singolarmente squallidi, come coppia. Qualcosa che rasenta, od oltrepassa persino, l'ipocrisia su cui si fonda il matrimonio borghese A??modello XIX secoloA??. Ma non dobbiamo dimenticare mai che Agamennone e Menelao sono piA1 che fratelli, sono una A??coppiaA??; e una A??coppiaA?? sono anche Clitemnestra ed Elena. Forse uno psicologo di passaggio pronuncerebbe sAobito, perentoriamente, la parola magica A??scissioneA?? (se piA1 colto, o piAo civettuolo, A??splittingA??). In realtA?, debbo confessare di non vederci per niente chiaro nei miei pensieri su questo mito; sicchAc, come ho giA? preannunciato, dovrA2 affidarmi a congetture e formulazioni differenti, divergenti, incompatibili. Esiste un'altra strada, compatibile con la mente umana? Per esempio, mi domando se, davvero, le due coppie (che, poi, sono quattro) si pongano in alternativa, come modi opposti per fronteggiare il conflitto tra desiderio e realtA?: A??agirloA?? sino al punto di rottura, sino al destino del crimine e della morte, oppure smorzarlo, appena possibile, con un'operazione saggia e ipocrita insieme, con la quale il desiderio, sovvertitore dell'ordine civile e A??agA??toA?? catastroficamente (ma per altri, non per Elena e Menelao), viene negato.
Non fu, Elena, traviata da Afrodite, che la rese irresponsabile? L'Elena che fuggA?? con Paride era, dunque, un'altra Elena, giocata da una forza che l'oltrepassava (dice lei). Ma bisogna anticipare sAobito che questo ipocrita stratagemma A??riconciliatorioA?? A?N creduto solo a metA? da chi lo mette in atto: Elena parla di un suo pentimento, si fustiga rivolgendo contro sAc stessa l'epiteto di A??cagnaA?? o A??faccia di cagnaA??; Menelao dA?, incidentalmente, una versione dei fatti che contrasta con quella data da Elena: non sarA?, questa serie di lapsus, mirata a farci capire che, dietro la facciata della riconciliazione e della veritA? ufficiale, il conflitto rimane ed entrambi i partners conoscono la veritA?? Mi domando se le due coppie non indichino due livelli del conflitto, se, dietro la realtA? A??civileA?? di Menelao-Elena, non ci sia il fantasma selvaggio di Agamennone-Clitemnestra; se siamo A??civiliA??. Se teniamo alle ricompense offerteci dalla civiltA?, facciamo come Menelao-Elena, ma sappiamo di essere nello stesso tempo premuti ad agire come Agamennone-Clitemnestra.
Menelao-Elena si raccontano, ci raccontano una fiaba: Elena A?N stata riaccolta in casa perchAc riconosciuta incolpevole: alla forza di Afrodite nessuno puA2 resistere. Proviamo a rovesciare la lettura: siccome Elena A?N ritornata a casa (ha rinunciato ad A??agireA?? ulteriormente il desiderio sovvertitore), le viene riconosciuta l'incolpevolezza, e viene premiata con la pace e la serenitA? delle mura domestiche. Ma, come abbiamo accennato, A?N perfin troppo evidente che cosa si nasconda dietro questa facciata. Non farA? parte della A??pedagogiaA?? omerica anche il lasciar intendere che si tratta di una facciata, ma contestualmente affermare che tale facciata A?N necessaria all'ordine della vita civile? Come dire: non sono qui a trattarvi da stupidi, a ingannarvi, raccontandovi la storiella della riconciliazione fondata sull'incolpevolezza; lo so anch'io - e ve lo faccio intendere - che le cose, in realtA?, stanno diversamente; ma vi voglio dire, soprattutto, che, se non fingiamo che stiano cosA-, non A?N possibile costruire un mondo civile, fertile, ordinato, produttivo. Qualche millennio dopo Omero, chiunque potrebbe riscrivere la storia sostituendo alla potenza di Afrodite la potenza irresistibile delle pulsioni e facendo di Elena lo zimbello dell'Es. Ma noi sappiamo che Elena A?N astuta, A?N seduttrice, A?N causa di contesa e di rovina, A?N sterile dopo l'avventura con Paride, possiede il segreto di farmaci che tolgono ogni pena, che rendono insensibili a qualunque dolore e li somministra segretamente a coloro che piangono per i mali che ella stessa ha causati (A? quanto fa allorchAc, nel ricordare i dolori e i lutti della guerra di Troia, Menelao e Telemaco e Pisistrato sono sopraffatti dalle lacrime ed Elena versa nelle loro coppe il farmaco che toglie il dolore: piA1 che una manifestazione di compassione o di tardiva riparazione, mi sembra, questa, una compiaciuta manifestazione di potenza che, tra l'altro, mette Elena al riparo dal rancore o dall'ira che potrebbe rivolgersi contro di lei come causa di ogni sciagura).

A questo punto vorrei aprire una lunga parentesi, prima di analizzare piA1 a fondo i rapporti reali e fantasmatici della coppia Menelao-Elena.
Se osserviamo in parallelo le disavventure familiari in cui incappano i due Atridi, possiamo dire che, in entrambi i casi, v'A?N una conciliazione finale: nemmeno la tragedia di Agamennone rimane inconciliata, sebbene tocchi ad Oreste essere protagonista e strumento della conciliazione. In altre parole, il mito ci offre la possibilitA? di A??pensareA?? anche questa tragedia, di parlarne, di chiuderla dentro un discorso che le dA? un senso, una direzione verso un compimento di riconciliazione (il riscatto finale di Oreste). Si tratta forse di esorcizzare il terrore di dover rimanere muti, senza parole, senza pensiero dinanzi al male, al dolore? Vorrei tentare un'azzardata affermazione generale: per l'Orestiade, cosA- come per la trilogia edipica, A?N A??pensabileA?? una conclusione in forma di conciliazione. A? offerta cioA?N la possibilitA? di sottomettere al pensiero il destino cieco, crudele, insensato: di renderlo in qualche modo intelligibile. La civiltA?, la cultura non puA2 accogliere nel proprio seno il puro sbigottimento muto dinanzi all'evento. Del resto, i Greci che andavano a teatro per assistere all'Edipo re non ignoravano il sAcguito della storia: l'Edipo a Colono, per intenderci; e se non si puA2 certamente parlare di tragedia a lieto fine, si puA2 forse parlare di una inflessibile razionalizzazione dell'irrazionale. Diciamo, dunque, per chiudere questa parentesi, che, sia la vicenda Agamennone-Clitemnestra sia la vicenda Menelao-Elena, nonostante il loro decorso sostanzialmente antitetico, si concludono con una conciliazione, con la possibilitA? di pronunciare su di esse una parola che non sia solo disperato lamento, ma espressione di pensiero. Ponte gettato oltre l'abisso della malinconia muta. Alla fine trionfa il pensiero, la parola, la cultura, la civiltA?, come contrario della disperazione. Come dire: qualunque strada si prenda, non si sfocia nel nulla, non si esce dall'ordine umano, dall'ordine del simbolico.

Ma una strada comporta, rispetto a un'altra, un risparmio di dolore, se non un aumento di piacere. Nella tragedia di Agamennone tutti A??agisconoA??, sino alle estreme conseguenze: a cominciare dal grande Atride che sacrifica la figlia Ifigenia per propiziarsi la partenza per Troia; Elena, invece, si A??limitaA?? ad abbandonare la figlioletta Ermione per fuggire con Paride. Elena, che A?N seduttrice (sebbene si dica sedotta), A?N, come ogni seduttrice, fondamentalmente A??abbandonanteA??: abbandona Menelao, Ermione, Paride (prende e lascia; rinnega anche se stessa). Elena non sa amare, sa soltanto A??sedurreA??. Ma la seduttrice che decida di abbandonare il suo A??giocoA??, puA2 diventare una perfetta imitazione di un'ottima sposa e madre. A? quanto fa Elena, dopo aver abbandonato i Troiani sconfitti. Clitemnestra, che non A??giocaA??, che A?N davvero travolta dalla potenza di Afrodite, non puA2, a suo talento, abbandonare sAc stessa, abbandonare Egisto, ingannare Agamennone, mimare la sposa ravveduta. Come tutte le seduttrici, che A??giocanoA??, Elena non paga nulla di persona: esporta il suo conflitto, assiste compiaciuta al combattimento dei galli: Troiani e Greci che si uccidono per lei. Non c'A?N crimine dentro il triangolo Menelao, Elena, Paride: esso produce guerra A??fuoriA??. Per colmo d'ironia, Elena appare migliore di Clitemnestra. Elena, come negazione dell'amore, come trionfo della manipolazione seduttiva, A?N piAo A??compatibileA?? con la civiltA? di quanto non lo sia Clitemnestra, che ama sino alla morte e a prezzo della morte, dell'assassinio.

Ecco l'opposizione tra il gioco erotico, che produce morte solo negli altri, in quelli che non lo prendono come un gioco, e l'amore-passione che fa giocare ai protagonisti la loro stessa vita, innanzitutto.

Lo schema di lettura si A?N dunque complicato: Elena, che sembrava impersonare la rinuncia al desiderio, e il premio che la A??civiltA?A?? offre per tale rinuncia, A?N diventata la seduttrice, che A??giocaA??, e che, proprio perchAc A??giocaA?? e non ama nessuno, A?N sempre pronta a tradire, a tradire persino sAc stessa, negando e rinnegando le proprie azioni, o proclamandosi vittima di forze oscure e irresistibili. TenterA2 di seguire entrambe le possibilitA? di lettura. ComincerA2 (anzi, continuerA2) da quella di Elena seduttrice (che A??giocaA?? e che non sa amare), richiamando un particolare del racconto omerico: dopo la sua fuga con Paride, Elena A?N diventata sterile; e questo serve a giustificare il fatto che Menelao abbia avuto il suo secondo figlio (maschio), non da Elena ritornata, bensA- da una schiava. Leggiamo dai due lati, di lui e di lei, questa circostanza. La seduttivitA? puA3 dare potere, ma essendo A??giocoA?? (cioA?N il contrario del A??lavoroA??) non A?N creativa, non A?N generativa. Indubbiamente, Elena si mostra donna di grande A??potereA?? (seduzione di Paride, riconquista seduttiva di Menelao, possesso di farmaci che tolgono ogni pena), ma, quando sceglie la seduttivitA?, rinuncia alla generativitA?. L'Elena che ritorna non A?N piAo l'Elena che fu sposa, giacchAc ritorna seduttivamente, cosA- come seduttivamente era fuggita: seduce Menelao a riprenderla. FarA? la parte della sposa e madre esemplare, padrona di casa attenta, dolce e ospitale; filerA? la lana: come segno del suo potere, rimarrA? dispensatrice di farmaci che A??seduconoA??, che fanno dimenticare.
Menelao, da parte sua, non puA2 A??fare coppiaA?? con Elena. FarA? coppia soltanto per A??il pubblicoA??, ma il suo legame erotico con Elena si A?N spezzato. I1 suo eros si A?N spostato sulla schiava. PerchAc? Forse perchAc nel ventre di Elena teme di incontrare il pene di Paride? E di doverlo distruggere (distruggendo Elena che lo ospita) oppure prenderlo dentro di sAc, diventando servo della coppia Elena-Paride ?
D' altro canto, proprio il fatto che nella coppia Menelao-Elena non accada nulla di trasformativo (o di distruttivo), ma vi sia soltanto un evento A??linguisticoA?? (una interpretazione pacificatoria dei fatti), mi fa pensare che Elena continuerA? ad abbandonare Menelao, a A??interpretareA?? e poi a riprenderlo, secondo una specie di coazione a ripetere (ma, nel caso di Elena, dietro e dentro tale ripetizione non v'A?N alcuna angoscia da tentare di controllare). La A??sterilitA?A?? di Elena puA2 essere vista anche in questa luce. Vorrei aggiungere alcuni altri tratti che mi paiono caratterizzare la figura di Elena: di lei vengono ricordate la bellezza e l'origine, per metA?, divina. In quanto semidea non puA2 amare e soffrire, puA2 soltanto A??giocareA??. A? vero, Omero dice (sempre nel IV libro dell'Odissea) che, allorquando Menelao ricorda la sventura di Odisseo, reso A??senza ritornoA?? da un dio, tutti piangono, persino Elena: A??piangeva Elena argiva, figlia di ZeusA??. Ma, per intendere il valore di queste lacrime (rappresentazione senza contenuto di dolore), bisogna leggere, una quarantina di versi piA1 innanzi, l'episodio del farmaco, capace di dare l'oblio di tutte le pene, gettato, di nascosto, da Elena nel vino.
Mi pare importante rilevare che:
1) Elena non beve quel farmaco (se fosse stata addolorata, l'avrebbe bevuto anche lei); 2) lo versa di nascosto (la segretezza dell'azione ci testimonia, tra le altre cose, il A??far parte per sAc stessaA?? di Elena);
3) quel farmaco calma l'ira e il dolore: quale ira se non quella diretta verso Elena, come causa di tutti i lutti che vengono angosciosamente evocati?
Dunque, Elena piange, ma non soffre, e il suo uso del farmaco A?N sostanzialmente un atto di potere e di difesa dall'ira. Mi si obietterA? che Elena A?N, per metA?, umana. Direi che, per questa metA?, A?N un po' il prototipo della donna che puA2 rappresentare seduttivamente e teatralmente qualunque parte. Se mi occupassi di mitologia greca, cosa che non sto facendo e non so fare, mi piacerebbe chiedermi perchAc, stando a KerAcnyi, Elena (figlia di Zeus e bellissima) risulti regolarmente sedotta e rapita (da Teseo, da Paride ecc.): balocco passivo in mano a uomini prepotenti e abbandonanti. La cosa mi suona, di primo acchito, alquanto strana. Ma torniamo ad Elena A??moglieA?? di Menelao.
Vorrei concludere questo frammentario e contradittorio A??profilo di personalitA?A?? suggerendo un'ultima considerazione intorno al rapporto amore-morte in Elena. A differenza del suo opposto-complementare (Clitemnestra), Elena espelle da sAc tanto l'amore (non ama, ma A??giocaA??) quanto la morte (non uccide direttamente nAc viene uccisa: fa morire gli altri). Ma, senza la coppia amore-morte, non v'A?N generativitA?, non v'A?N creativitA? umana in senso pieno (perciA3 distinguerei nettamente l'Elena madre di Ermione, dall'Elena che ritorna a casa dopo la seduzione di Paride). Ci si puA2 chiedere, a questo punto, perchAc Menelao se la cavi tanto bene in tutta la vicenda (a differenza di suo fratello) e perchAc Menelao accetti la parte dello sposo di un'Elena pseudo-redenta e perchAc, tuttavia, si faccia generare un secondo figlio da una schiava.
A? vero che il personaggio di Menelao A?N singolarmente povero sia rispetto ad Agamennone, sia rispetto ad Elena, ma anche questa A??povertA?A?? chiede di essere compresa.
Mi sembra che A??Megapente forte, che molto amato gli nacque di schiavaA?? sia il vero e unico figlio di Menelao, giacchAc A??Ermione, che la bellezza aveva dell'aurea AfroditeA??, A?N soprattutto un a??duplicatoa?? di Elena, la quale, a rigore, non ha mai avuto rapporto con alcuno, non ha procreato con Menelao, ma si A?N soltanto sdoppiata. Insomma, la coppia Menelao-Elena, come comunitA? erotica, come alleanza per la vita, come sfida alla morte, semplicemente non esiste; esiste, magari, un contratto fondato su reciproci vantaggi. Debbo confessare che il personaggio di Menelao continua a resistere al mio tentativo di decifrarlo: troppo limpido, troppo semplice, troppo unidimensionale per svelare un segreto. Mi aiuterA? il verso 569?
Menelao mi sembra lontano dal tipo d'uomo che subisce la fascinazione di una Circe, che si degrada per lei, che A?N prigioniero di una vergognosa catena che non sa spezzare. Sembra, piuttosto, molto dipendente dalla sua condizione di re bello, forte, saggio che conviene abbia accanto una regina splendente. Dicevo del verso 569. Proteo, il dio marino che narra a Menelao la sorte subA-ta dagli altri eroi durante il ritorno da Troia, gli predice un destino eccezionalmente felice; gli predice, in breve, l'immortalitA?, dono dei numi: A??perchAc tu hai Elena in moglie e sei per loro il genero di ZeusA??.
L'amore non ha mai dato l'immortalitA? ad alcuno; ed anzi, molti ha condotto a morte prematura; parlo, si capisce, dell'amore-passione, dell'amore totalizzante.
Dunque gli epiteti che Elena rivolge a Menelao (A??non inferiore a nessuno nAc per senno nAc per bellezzaA??) e quelli che gli rivolge Pisistrato (A??Atride, saggio sopra tutti i mortali era solito dirti il vecchio NestoreA??) non paiono puramente esornativi, convenzionali. La saggezza di Menelao (che A?N l'opposto della folle protervia di Agamennone) sembra legata all'assenza, in lui, di passioni come l'invidia, la gelosia, l'arroganza, la possessivitA?, o anche, se si vuole, all'assenza del desiderio. CiA2 che gli dA! l'immortalitA? non A?N l'amore suo per Elena e di Elena per lui, ma il suo essere genero di Zeus, attraverso il matrimonio con Elena. L'immortalitA?, dunque, viene dalla saggezza, non dall'amore; dalla rinuncia all'amore di coppia in favore di una benevola disposizione verso la realtA?. Menelao rinuncia all'amore in favore dell'immortalitA? (questa A?N la sua saggezza); Menelao A?N l'uomo che non brama alcun possesso, nemmeno il possesso di Elena, e che, non desiderando, ha tutto. Meno l'amore.
Per questo, mitica da un lato e A??anticaA?? dall'altro, la coppia Menelao-Elena mi sembra rappresentare compiutamente una delle forme piA1 radicali, e discrete insieme, di morte dell'amore. Veramente, piA1 che di morte, si potrebbe parlare di aggiramento dell'amore: dura barriera contro la quale si spezzano e si frantumano tante vite. Menelao ed Elena sono, in questo, davvero A??diviniA??, se l'amore A?N soprattutto esperienza del limite dell'umano, esperienza di un derisorio e straziante sottrarsi dell'oggetto senza nome (penso, per rimanere nel clima omerico, al vano abbraccio di Odisseo a sua madre, ormai ospite A??delle case della tremenda PersefoneA??: A??Madre mia, perchAc fuggi mentre voglio abbracciarti, che anche nell'Ade, buttandoci al collo le braccia, tutti e due ci saziamo di gelido pianto? o questo A?N un fantasma che la lucente Persefone manda perchAc io soffra e singhiozzi di piAo? A??, XI, 210-214). Ferita che sempre di nuovo si riapre per la inespugnabile trascendenza dell'oggetto del desiderio.
Dico e ridico questo perchAc rifiuto la separazione di amore e desiderio (cosA- come rifiuto la riduzione del desiderio al bisogno: il bisogno si appaga e poi rinasce, in una ripetizione senza fine; ma il desiderio A?N, per sua natura, inappagabile; e sempre inappagato rimane). La inappagabilitA? del desiderio puA2, paradossalmente, fondare la coppia, la solidarietA? di due solitudini che stringono un patto di amicizia, che si danno l'una all'altra senza speranza.
Di qui nasce, mi pare, la possibilitA? che la coppia sorrida, che vi sia sorriso e riso tra due che vedono, con pietA? e benevolenza, riflessa nell'altro la propria immagine di patetico Sisifo, di assurdo cercatore dell'impossibile. I baci e le carezze che gli amanti si scambiano sono anche consolazione che ciascuno dA? all'altro, sapendosi inadeguato al desiderio di lui: io so di non poter colmare il tuo vuoto e non ti odio sol perchAc mi fai sentire la mia impossibilitA? di essere l'oggetto reale del tuo desiderio; accetta, dunque, come segno di solidarietA? e di consolazione, i miei baci e le mie carezze.